NipPop

Neo Tokyo Impact: NipPop al Future Film Festival

14 Aprile 2014
Federica Cavazzuti

Futuropolis è il titolo dell’edizione di quest’anno del Future Film Festival, tenutasi a Bologna dall’1 al 6 aprile scorsi. Il festival del cinema di animazione ha così selezionato una serie di opere cinematografiche che rappresentano, in un modo o nell’altro, un ambiente urbano proiettato nel futuro.

Numerosi sono stati i contributi dal Giappone al tema proposto: le atmosfere cupe che fanno da sfondo agli scontri cittadini tra bande di terroristi e polizia nel drammatico Jin-Roh – Uomini e lupi (Hiroyiuki Okiura, 1999), proiettato il primo giorno come ouverture ai lungometraggi giapponesi al festival, nel quale si sviluppa una conflittuale storia d’amore ricalcata su un rapporto vittima-carnefice, simile a quello tra la bambina e il lupo narrato nella fiaba Cappuccetto Rosso; il celeberrimo Metropolis (Rintarō, 2001), basato sul manga di Tezuka Osamu, che racconta di un mondo in cui esseri umani e robot vivono insieme, tutti ugualmente dominati dalla massiccia presenza dello Ziggurat, l’enorme grattacielo in costruzione simbolo del potere del governo cittadino; o la Tokyo ormai completamente in balia dei cyborg di Ghost in the Shell – Arise (Kazuchika Kise, 2013) che, in proiezione speciale al festival, racconta la serie di vicende che portano la giovane androide Motoko Kusanagi a istituire la sua squadra speciale, Sezione 9, che sarà protagonista dell’omonima saga di cui Arise rappresenta il prequel.

In particolar modo, NipPop è stato presente all'interno del Future Film Festival con un evento speciale dal titolo Neo Tokyo Impact: Fotogrammi della Post-Apocalissi. L'incontro, condotto da Paola Scrolavezza, ha proposto un percorso a cavallo fra la cinematografia documentaristica, l’animazione e la fotografia, per suggerire una rilettura e un commento alle rappresentazioni della metropoli contemporanea alla luce del sempre più distorto rapporto con i suoi abitanti, e all'indomani delle grandi tragedie che hanno colpito il Giappone nell'epoca contemporanea: il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda Guerra Mondiale e il terribile terremoto dell'11 marzo 2011. Due infatti in particolare i fulcri di analisi: lo spazio urbano della metropoli post-atomica e quello della città post-sismica.

L'apertura è stata lasciata alle immagini iniziali di Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone, lungometraggio del 2007 scritto e diretto da Hideaki Anno, e basato sulla serie originale dell'anime Neon Genesis Evangelion, che ha mostrato al pubblico una metropoli devastata dai continui attacchi degli Angeli (Shito in giapponese, Apostoli): siamo a Neo-Tokyo-3, città fortezza nata dalle ceneri di una Tokyo rasa al suolo dalle conseguenze di un cataclisma conosciuto come Second Impact. Queste immagini della città distrutta, degli edifici in rovina, delle strade deserte hanno costituito l'occasione per avviare una riflessione sullo spazio urbano e le sue rappresentazioni, così come sono state trasformate dallo scoppio degli ordigni atomici alla fine della seconda guerra mondiale. Un tema, questo, ancora oggi molto sentito e altrettanto rappresentato nella produzione artistica nipponica, tanto da essere ripreso anche nella scena iniziale di Akira (Katsuhiro Ōtomo, 1988) dove, in una Tokyo inquadrata dall'alto, proprio da quegli edifici che costituiscono il centro del potere economico e politico del Giappone, si irradia una luce bianca che si allarga fino ad abbracciare tutta la città. Impossibile non pensare immediatamente al fungo atomico che ha distrutto le metropoli di Hiroshima e Nagasaki: lo spazio urbano è quindi memoria del passato, e qui diventa il simbolo del fallimento della modernità e delle sue promesse di progresso e sviluppo.

Attraverso la proiezione di documentari come Tokyo Scanner (Oshii Mamoru, 2004) e Commuters (Marc Gouby, 2010), l'incontro ha voluto poi presentare una riflessione sul rapporto fra le città contemporanee e i suoi abitanti: in particolar modo si è visto come il primo documentario, con le sue panoramiche sui diversi quartieri e i primi piani accuratamente scelti su determinati edifici, cerchi di problematizzare il distorto rapporto fra la comunità degli abitanti e i centri di potere e di controllo politico ed economico che costruiscono nuove gerarchie di valori e ridefiniscono in maniera sensibile la relazione che si instaura fra la dimensione dello spazio pubblico e quella dello spazio privato. Se questo filmato è interamente concentrato sulla dimensione urbana della grande metropoli, e i suoi veri protagonisti sono gli edifici e le strade, più che le persone, il secondo documentario opera invece un'analisi molto ravvicinata degli abitanti della Tokyo contemporanea. Girato interamente sui treni della Ginzasen (la prima linea metropolitana costruita a Tokyo), si focalizza sul flusso ininterrotto di pendolari, offrendo una visione ravvicinata delle diverse tipologie di persone che abitano la città. Filo conduttore della narrazione sembra essere la rappresentazione dell'automatismo, la de-umanizzazione e la trasformazione dell'essere umano in un involucro vuoto, un automa in grado di eseguire solo semplici comandi, funzioni elementari, destinato a spegnersi una volta portato a termine il proprio compito, come mettono in risalto i diversi primi piani di persone addormentate durante il consumato tragitto verso le proprie abitazioni, la sera tardi, dopo il lavoro.

A partire da questa de-umanizzazione è stato facile collegarsi al tema della metamorfosi del corpo umano, elemento ricorrente e quasi onni-presente nella cinematografia di animazione contemporanea. Basti pensare, per esempio, al già citato Akira che, nella scena della terribile trasformazione di Tetsuo, quando questi perde definitivamente il controllo sul proprio corpo, interpreta le inquietudini umane all'indomani dello scoppio della bomba atomica e delle orrende e talvolta letali mutazioni che colpivano il fisico di quanti che erano stati esposti alle radiazioni, i sopravvissuti allo scoppio, che nel loro corpo hanno portato e continuano a portare per tutta la vita i segni della tragedia.

Problemi messi in scena non solo nella cinematografia, ma anche nell’arte fotografica, altro potentissimo mezzo espressivo capace di veicolare significati forti per tematiche ancora oggi molto sentite.

Come per esempio Neo Ruins (Motoda Hisaharu, 2004-2010) una serie di litografie dove l’artista reinterpreta luoghi celebri e immediatamente riconoscibili di Tokyo (l'incrocio di Shibuya, il tempio di Kannon ad Asakusa, Ginza), rappresentandoli come se un gigantesco cataclisma li avesse appena colpiti: la città è immobile, gli edifici sono giganteschi spazi deserti, contenitori svuotati di senso, strutture senza più forma. Costruzioni informi. Così come sono spazi desolati quelli immortalati da Hiroito Nomoto nella serie di scatti dal titolo Façade (2011), fotografie delle rovine di alcuni edifici dopo il disastroso terremoto del Tohoku verificatosi l'11 marzo 2011, che richiamano subito alla mente la fragilità umana di fronte ai grandi cataclismi, e si ricollegano nemmeno tanto sottilmente alle atroci immagini delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki scattate nei giorni successivi allo scoppio degli ordigni nucleari, creando un inquietante parallelismo e un senso di ciclicità e di inevitabilità della storia e del nostro destino.

Ha chiuso l'incontro la toccante e bellissima scena finale di Metropolis, nella quale la ginoide Tima, ormai quasi del tutto privata del camouflage esterno che contribuiva ad attribuirle sembianze umane, precipita nel vuoto ed è inghiottita dalla metropoli sottostante. Domandando a Keinichi, o forse domandando a se stessa, “Io, chi sono?”, per sottolineare con forza la perdita di punti di riferimento, in definitiva della propria identità, nella dimensione urbana del nostro mondo post-atomico, post-catastrofe di cui la città, con tutto il suo panorama di simboli, è la metafora perfetta.

 

Scritto da Federica Cavazzuti e Francesco Barbieri

 

 

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