NipPop

Il crossdressing nella scena inglese, da Shakespeare a Little Britain

13 Aprile 2018
Giulia Neri

 


Nel corso del terzo incontro di Waiting for NipPop, Gino Scatasta ripercorre e illustra la storia del crossdressing nell’ambito teatrale vittoriano e in quello televisivo contemporaneo.

Seguendo il filo conduttore dell’eccentrico, del queer e del non convenzionale, ovvero di quelle che saranno le tematiche principali del festival NipPop 2018, intitolato appunto Borderlands: a-tipico Giappone, il ciclo di quattro incontri Waiting for NipPop: Crossdressing in Context. Da David Bowie al Teatro Takarazuka organizzato da NipPop in collaborazione con Power to the Pop – Osservatorio sulle culture pop contemporanee, è giunto al suo terzo appuntamento. Gino Scatasta, già curatore del primo incontro incentrato su David Bowie, sposta questa volta la sua attenzione sul crossdressing in ambito teatrale e televisivo nella scena britannica, delineandone la nascita e i primi esempi.

L’incontro a La confraternita dell’uva

Definiamo innanzitutto “crossdressing” come la pratica di indossare vestiti generalmente associati all’altro sesso, qualunque sia lo scopo che si voglia raggiungere: un semplice travestimento, una parodia, uno spettacolo. Ed è proprio attorno a quest’ultimo punto che ruoterà il nostro discorso: il drag spettacolare, il travestitismo nella scena teatrale, nello specifico quella inglese.

Troviamo l’inizio di tale consuetudine nell’epoca del teatro rinascimentale (seconda metà del Cinquecento/prima metà del Seicento), periodo in cui alle donne era preclusa la possibilità di lavorare come attrici. Come riuscire quindi a portare sul palco ruoli femminili? È proprio in risposta a questa necessità che fanno la loro comparsa i cosiddetti boy actors, ovvero giovani ragazzi che interpretavano le parti femminili negli spettacoli. Molto spesso, una volta terminata la fase adolescenziale, questi ragazzi abbandonavano il mondo del teatro; ma alcuni decidevano di rimanere, e di specializzarsi unicamente in figure del gentil sesso. Il motivo è intuitivo: è facile immaginare un ragazzino che interpreta per esempio Giulietta, ma è difficile che riesca altrettanto bene in un ruolo come quello di una vecchia nutrice.

Un boy actor

Nemici della pratica erano i puritani, i quali si rifacevano a una specifica frase normativa della Bibbia (“La donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una veste da donna”) per condannare questo primo abbozzo di travestitismo, definito da alcuni come peccaminoso, abominevole, qualcosa che istigava dunque agli impulsi sessuali. Una frase emblematica dei timori puritani è quella pronunciata da Samuel Pepys, riferita al boy actor Edward Kynaston: “Aveva le gambe più belle che avessi mai visto”.

Edward Kynaston

Così, una volta che i puritani giunsero al potere, tutti i teatri vennero chiusi; e in seguito, con la restaurazione della monarchia nel 1660 e la conseguente riapertura dei teatri, i boy actor si videro gradualmente sostituire da vere e proprie attrici donne.

Margaret Hughes, una delle prime attrici donne inglesi

Ma la pratica di far recitare agli uomini ruoli femminili non si spense del tutto, anzi rimase nella tradizione teatrale più “povera”, che visse infatti proprio in questo periodo uno dei suoi momenti più vividi. Parliamo di opere di intrattenimento popolare, probabilmente derivate dagli spettacoli dei mummers, con cui condividono la caratteristica principale: tutti gli attori erano uomini. Molto spesso tali spettacoli erano muti, o quasi; riprendevano fiabe popolari, ed erano percorsi da continui sottintesi sessuali.

Un ulteriore esempio di spettacolo popolare è la pantomima, interessante da analizzare per il gioco di ambiguità che andava a creare tra ruolo e attore. I personaggi erano infatti essenzialmente tre: un principal boy, interpretato da un’attrice donna; una dama anziana, interpretata da un attore uomo; e una ragazza ingenua, interpretata da un’attrice donna, l’unica quindi che manteneva il suo genere. Ciò che più va a sottolineare l’ambiguità è la connotazione sensuale di cui si caricavano le attrici donne vestendosi da uomo; gli abiti maschili dell’epoca infatti erano più “scoperti” di quelli femminili, e in questo modo, paradossalmente, le donne risultavano agli occhi del pubblico come un oggetto sessuale.

 

Vesta Tilley nei panni di un principal boy

Spostando invece l’attenzione sull’ambito televisivo, e facendo quindi un salto in avanti fino agli anni Sessanta, vediamo la nascita di programmi che accentuano la questione dell’identità di genere. In questo contesto, non mancano show che molto spesso utilizzano temi come il travestitismo e il crossdressing per costruire i loro sketch in modo umoristico. Un esempio è il comico Benny Hill, che condusse un programma in cui era solito travestirsi da donna.

Il comico inglese Benny Hill

Interessantissimi da questo punto di vista sono poi i Monty Python: un gruppo di quattro comici britannici famoso per i suoi sketch in cui i membri essenzialmente si travestivano e interpretavano sciatte donne della working class. La sensualità trasmessa dai boy actor come Edward Kynaston è svanita: il travestitismo è visto unicamente come qualcosa di ridicolo, e le donne che vengono rappresentate sono “vuote”, concettualmente insignificanti. Non bisogna però pensare che i Monty Python si scagliassero contro il genere femminile in particolare, in quanto la loro ironia era rivolta a vari personaggi e stereotipi della società.

 

I Monty Python

L’ultimo show analizzato è Little Britain, uno spettacolo comico prodotto dalla BBC che vede come protagonisti Matt Lucas e David Walliams. Risulta più volgare dei Monty Python, e assume un ruolo ben preciso: quello del politicamente scorretto. L’esempio più calzante è il personaggio di Carol Beer, una receptionist insensibile e fredda, famosa per la sua frase “Computer says no”.

La receptionist Carol Beer

L’incontro si conclude infine con una riflessione: perché ancora oggi una donna vestita da uomo risulta essere sensuale, mentre un uomo vestito da donna non può essere altro se non ridicolo? Che sia ancora un prodotto della società patriarcale? Intanto però, le cose forse iniziano a cambiare: non solo vi è più sensibilità riguardo le questioni dell’identità di genere, ma nascono anche alcuni tentativi concreti di cambiare l’immaginario collettivo. Come sostiene Iggy Pop, che a questo proposito è stato ritratto in abiti femminili senza che nessun elemento ridicolo venga esaltato: “Non mi vergogno di vestirmi come una donna, perché non penso che sia vergognoso essere una donna”.

Iggy Pop

Il prossimo incontro di Waiting for NipPop 2018, dal titolo Takarazuka Revue: quando il crossdressing si fa performance, si terrà il 2 maggio alle ore 17:30 presso il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture moderne in Via Cartoleria 5. Paola Scrolavezza parlerà della prima compagnia teatrale interamente femminile del Giappone: la Takarazuka Revue.

nippop-eventi.it

 

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