Letti di Notte, la notte dei lettori, a Milano alla Libreria Azalai, si tinge di Giappone: una doppia presentazione, un viaggio alla scoperta del passato e del presente del Paese del Sol Levante. Tokyo sisters. Reportage dall'universo femminile giapponese, di Raphaelle Choel e Julie Rovéro-Carrez, e Il mondo dei fiori e dei salici. Autobiografia di una geisha, di Masuda Sayo, entrambi editi da O barra O Edizioni. Con Christian Gangitano, operatore culturale esperto di pop art giapponese, Francesca Scotti, scrittrice, Tomoko Nagao, artista MicroPop giapponese, e Paola Scrolavezza. Con proiezioni di immagini, video e piccoli assaggi di cucina giapponese.
Christian Gangitano
Direttore artistico e creativo di eventi di comunicazione per aziende Premium, attraverso i plus dell’arte della cultura e dello spettacolo attraverso Arte, Cultura, Spettacolo. Curatore di mostre e esperto di culture pop e avant-pop giapponesi con il blog #nipposuggestioni. Organizzatore di happening culturali per i giovani artisti figurativi e per il teatro di ricerca, presso lo Spazio Xpo’ fondato nel 2000, in collaborazione con il settore Sport e Giovani del Comune di Milano. Ha ideato contents per eventi di comunicazione, dal 2006 ad oggi, progetti per eventi a forte impatto scenico e esperienziale resi attraverso le eccellenze dell’arte della cultura e dello spettacolo. Ha conseguito nel 2008 il primo premio EUBEA (European Best Event Awards) per la migliore idea creativa nella sezione Eventi e il premio Assorel-Sole24ore per l’innovazione nella comunicazione di impresa. Ideatore e coordinatore di progetti culturali, arts networking con l’Associazione Culturale Atelier Spazio Xpo’ che coordina: www.asxpo.it.
La prima domanda è forse un po’ banale, ne abbiamo già parlato a Milano: come ti sei avvicinato all’arte giapponese, e in particolare al MicroPop? Quali sono gli aspetti, di entrambi, che ti colpiscono di più?
Per rispondere a questa domanda si deve partire da lontano; ho iniziato a interessarmi di arte e cultura giapponese in modo serio (anche se ovviamente già dagli anni Ottanta, quando gli anime e i manga hanno iniziato ad arrivare anche da noi, ho avuto un primo grande sconvolgimento percettivo) quando mi sono occupato di una designer giapponese alla fine anni Novanta. All’inizio del Duemila, poi, mi sono dedicato a una ricerca sull’arte contemporanea, arrivando finalmente, nel 2004, a fare il mio primo viaggio in Giappone. Allora stavo facendo una ricerca sulla relazione tra l’arte contemporanea e le bambole, partendo da una riflessione sull’attore dal corpo senza organi di Artaud, ma anche su alcune forme di arte contemporanea che, con l’arrivo della grande onda del figurativo e dell’arte pop internazionale, iniziava a rappresentare dei soggetti come se fossero bambole o puppets. Il migliore esempio di questa rappresentazione era la cultura giapponese e in particolare il teatro bunraku, che poi ha portato al kabuki. Perciò sono riuscito a farmi ospitare dall’ente del teatro kabuki giapponese, nonostante questo mondo sia piuttosto chiuso e difficile da vedere dall’interno, e sono partito per il Giappone nel 2004. Grazie, poi, a una mostra da Mizuma, uno dei galleristi di punta per il contemporaneo giapponese, che ha scoperto Aida Makoto e altre figure importanti, mi sono avvicinato maggiormente al mondo dell’arte contemporanea in Giappone e ho conosciuto Tomoko Nagao (attualmente mia moglie), che era presente a quell’inaugurazione.
Quindi avviene così il tuo primo incontro ravvicinato con il Giappone e con questo tipo di arte.
Sì. Prima mi ero occupato molto di street art, lanciando le prime mostre di questo genere in Italia, ma era un linguaggio che, secondo me, in quegli anni (2004/2005) aveva già detto quasi tutto. Sarebbe poi diventato una maniera, arrivando a spostarsi nelle gallerie, cioè proprio in quei luoghi che la street art all’inizio evitava. Il mio interesse si è quindi orientato verso qualcosa che già mi allettava, ma che non avevo mai approfondito seriamente.
E cosa ti ha colpito del MicroPop?
Ho visto un mondo, un luogo, che era già nel mio immaginario, ma ho avuto l’opportunità di viverlo da vicino grazie al fatto di essere insieme a persone del posto. Questo è stato molto meglio che andarci da ‘occidentale’, perso tra tutte le guide (peraltro pessime) che esistono sul Giappone. Mi è stato aperto un mondo dove si verificava davvero ciò che era stato auspicato dai padri della pop art, Warhol in primis: non c’era più alcuna barriera tra la società del consumo, il merchandising, il marketing, il packaging, insomma tutto ciò che è l’estetica del consumo, e quello che viene considerato arte “alta”. Altrettanto vale per manga e anime. Questo mi ha affascinato molto, e quando poi ho visto che tutto questo si rispecchiava nel mondo dell’arte attraverso Murakami Takashi e Yoshitomo Nara, mi sono sentito incentivato a proseguire nell’approfondimento di quello che viene chiamato “MicroPop”. Va detto però che il fatto di etichettare i generi è un bisogno occidentale, e che spesso gli artisti non si identificano in queste categorie.
Sì, siamo noi che sentiamo il bisogno di nominare, soprattutto le cose che sentiamo distanti, e abbiamo bisogno di ricondurre tutto a categorie che ci sono familiari. Parlando di MicroPop, il critico Midori Matsui sostiene che si tratti di un approccio che nasce in opposizione alla cultura dominante, che conduce l’artista a reinventare un’estetica unica, personale, utilizzando spesso oggetti di uso comune. Soprattutto Matsui sottolinea come, secondo lei, sia fondamentalmente diverso rispetto alla pop culture dominante rappresentata, ad esempio, dalla pop art americana. Tu sei d’accordo con questa lettura?
Sì, sono d’accordo con Midori, che secondo me è un genio e ha avuto uno degli spunti artistici più illuminati degli ultimi tempi. Ho visto la genesi del MicroPop e sono assolutamente d’accordo con quella che è la sua analisi della società, soprattutto al femminile. In realtà, sentire che la pop art dominante è quella americana è un po’ strano, anche perché solo di recente c’è stata la prima grossa mostra su Andy Warhol in Giappone, al Mori Art Museum di Tokyo, un evento che non era mai avvenuto prima… Non credo quindi che per i Giapponesi la pop art americana sia così importante. Il pop contro il quale la generazione MicroPop si poneva a livello critico, e si pone tuttora, è invece quello del consumo di massa e del controllo dei media; quando poi le artiste, ad esempio Tomoko, ma anche Aya Takano, Chiho Aoshima e altre, raccontano le loro emozioni e sensazioni, è come se si riappropriassero del linguaggio di massa. Un esempio fra tutti è l’utilizzo dell’immagine di Hello Kitty, che si ritrova sempre nelle loro opere, oppure riferimenti diretti allo shōjo e al manga. In passato ho scritto un testo su Tomoko e il MicroPop nel quale ho parlato del fatto che la tavolozza di queste artiste deriva dalla situazione del Giappone negli anni Ottanta, un periodo che potremmo definire “aureo”, in cui si sono affermati i prodotti di massa più celebri. Le ragazze di quella generazione hanno avuto un ruolo determinante in questa affermazione, e possono perciò essere viste come delle “cavie”, sulle quali sono stati testati prodotti di vario tipo, da Hello Kitty fino ad arrivare ai videogiochi e a tutto ciò che è stato lanciato in quegli anni. Le artiste MicroPop sono state adolescenti proprio in quel periodo, e quindi parte di quella “generazione test”, un elemento che si ritrova nella loro arte e che è uno degli aspetti che più mi affascinano del MicroPop.
Hai nominato Hello Kitty, e mi è venuto immediatamente in mente l’ultimo lavoro di Tomoko, che riguarda i supereroi. In particolare mi riferisco a un’opera che rappresenta Mickey Mouse che uccide Hello Kitty. Ci puoi parlare di questo progetto?
Si tratta di una mostra, Superheroes 2.0, che espone una selezione di artisti che rappresentano, a mio parere, il meglio della scena pop nazionale e internazionale di questo momento. Tomoko ha realizzato tre opere ad hoc per questo progetto. In particolare due immagini che hanno colpito molto sono, nella prima, Mickey Mouse (nel quale ritornano la poetica kawaii e l’elemento infantile) che non solo uccide Hello Kitty, ma addirittura la decapita. Nei suoi lavori, infatti, Tomoko “kawaiizza” in chiave MicroPop le grandi opere e le icone dell’arte occidentale, che è piena di immagini di teste tagliate. Mickey Mouse, Disney, Pixar, Marvel, tutti uniti come una sola superpotenza dei fumetti e del merchandise, si trovano ad affrontare Sanryo, competitor giapponese fortissimo. Nell’idea di Tomoko, quindi, ciò che Mickey Mouse desidera, travestito da supereroe, è proprio decapitare il suo avversario Hello Kitty. Fa pensare, a questo proposito, il fatto che siano stati pubblicati recentemente i Marvel Kawaii, andati subito a ruba: Marvel, che di solito rappresenta i suoi supereroi in maniera molto truce (Thor, Capitan America, eccetera), rendendoli kawaii riconosce, secondo me, la grandezza di questo tipo di estetica. Un’altra opera di Tomoko è quella dove Spiderman (sempre “kawaiizzato”, con grandi occhioni e il vestito rosa) riesce a ottenere, anche nel suo caso, la testa di Hello Kitty su un piatto, come avviene nell’iconografia classica e Caravaggesca, che si ritrova in opere come Giuditta e Oloferne o Salomè. Soprattutto Salomè è quella a cui si ispira, tanto che Tomoko la chiama “Salomè Kitty”. Come Salomè vuole la testa del Battista, Spiderman vuole la testa di Hello Kitty.
Questo progetto ci piace moltissimo. Fino a quando sarà aperta la mostra?
Trovate tutte le informazioni sulla pagina Facebook, Superheroes 2.0, www.facebook.com/groups/superheroeshow. La mostra inaugura il 5 luglio a Forte dei Marmi e poi a Pietrasanta il 12 luglio.
Un’ultima domanda: vorrei chiederti della tua esperienza di curatore, in particolare del tuo progetto Xpo’, e se hai trovato difficoltà a proporre arte contemporanea in Italia.
Ho fondato la mia associazione culturale, Spazio Xpo’ (successivamente Atelier Spazio Xpo’) nel 1999. Si usciva allora dal grande momento delle cosiddette “situazioni”, Livello 57 a Bologna ad esempio. Io, dovendo rimanere a Milano per lavoro, decisi quindi di mettere in piedi il mio progetto lì: ho scelto uno spazio dismesso, dove ho dato vita allo Spazio Xpo’, con le prime mostre di street art ed esperimenti teatrali. Per un certo periodo ho seguito quindi il teatro, la performance art, e l’arte contemporanea. Successivamente ho deciso di dedicarmi in toto all’arte contemporanea, più fluida e semplice da gestire, e alla comunicazione attraverso di essa, usando quindi l’arte come linguaggio. In questo, più o meno fino al 2006 l’ente pubblico ci ha sostenuti, poi hanno tagliato i fondi e le difficoltà sono aumentate. Adesso finalmente qualcosa sta cambiando, e abbiamo recentemente messo insieme un collettivo di curatori che si chiama POPUP Revolution, che ha inaugurato a Milano con un grande evento a fine maggio. Al momento mi sto dedicando a questo progetto, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione con i social media; è vero che ci sono meno soldi, ma è anche vero che grazie ai social ci sono più possibilità per fare comunicazione senza troppe spese. Comunque non esiste una linea strategica di sostegno all’arte contemporanea in Italia: tutto quello che c’è viene investito nella conservazione dei beni culturali – giustamente, certo – ma rimane il fatto che l’arte contemporanea viene totalmente ignorata. Esiste il design, ma non l’arte. Per quella bisogna andare verso nuove frontiere, nel Sud-est asiatico, in Malesia, in Indonesia, in Giappone (anche se ormai è una democrazia decadente), in Corea, a Hong Kong… oppure nella West Coast degli Stati Uniti, che rappresenta l’Occidente estremo. Il confine si è spostato da quella parte; l’arte contemporanea sta dove c’è contemporaneità, dove c’è fermento e noi, qui, siamo fermi da decenni.
Per saperne di più:
Nipposuggesitoni, il blog di Christian Gangitano:
nipposuggestioni.blogspot.it
Superheroes 2.0 su Facebook:
www.facebook.com/groups/superheroeshow