Mineko Iwasaki era la geisha più famosa di Gion. Il suo ritiro, alla giovane età di 29 anni, ha fatto un enorme scalpore e ha causato il ritiro di altre 70 geisha che hanno voluto imitarla. No, non chiamiamole geisha, chiamiamole geiko. Perché così le chiama Mineko Iwasaki nel suo libro.
A Gion Kobu non ci riferivamo a noi stesse come geishe (geisha significa “artista”) ma usavamo il termine più specifico geiko, “donna d’arte”.
Mineko Iwasaki è famosa anche per aver collaborato al fortunato romanzo di Arthur Golden, Memorie di una geisha: è stata una delle geiko intervistate dallo scrittore. Fama decisamente non voluta, dato che sembra che avesse accettato di lavorare con lui a patto che la sua collaborazione non fosse resa nota. Invece Golden la cita nei commenti e in molte interviste. La geiko inoltre non è stata assolutamente soddisfatta dell'uso che lo scrittore americano ha fatto del materiale che gli ha fornito, al punto da intentare una causa legale nei suoi confronti. La necessità di raccontare cosa sia davvero una geiko di Gion, di distanziarsi da ciò che è scritto nel romanzo di un americano che ha troppo… romanzato i dati raccolti: questa è la molla che ha spinto Mineko a scrivere il suo romanzo. Una storia vera, dice provocatoriamente il sottotitolo della versione italiana. La versione inglese e quella americana sono molto più sintetiche: Geisha of Gion e Geisha, a Life rispettivamente.
Mineko Iwasaki coraggiosamente si racconta, racconta della sua vita come geiko, della sua famiglia, dei genitori che ha dovuto lasciare per intraprendere la sua carriera, dei suoi amori, ma anche del funzionamento dei quartieri delle geiko, delle sale da tè ochaya e delle scuole. Dietro le centinaia di okiya e ochaya, ci sono fiorai e rosticcerie, gallerie d’arte e negozi di stoffe e di ornamenti per capelli, empori di ventagli. I dintorni erano popolosi e fitti di appartamenti.
Gli esercizi commerciali dipendono dal lavoro delle geiko, e il lavoro delle geiko dipende dagli esercizi commerciali. Gion è una catena, i rapporti di interdipendenza sono delicatissimi, eppure questo mondo così fragile, come il cristallo, si rivela in qualche modo intimo. Tutti conoscono tutti, a Gion Kobu. Una ragazza che fa il suo debutto come geiko è affare di tutti, e tutti si sentono fieri, come un'enorme famiglia che l'ha vista crescere. La cortesia, i rituali imposti dall'etichetta non sono in alcun modo freddi e privi di anima. Dietro ognuno di essi si nasconde un mondo: amicizia, affetto, familiarità. Ma anche invidia e rancore. Un mondo dove non molto è detto, ma tutto è suggerito.
La geiko ci racconta i suoi amori. Ed è qui che la strada si divide, rispetto a ciò che racconta Golden nel suo romanzo. Mineko avrebbe potuto coltivare liberamente i suoi amori, non fosse stato per la mancanza di tempo materiale – voleva diventare la geiko migliore di Gion – e per un trauma, la tentata violenza da parte del nipote, che la costringe a tenere lontani da sé gli uomini e a chiudere il suo cuore, per molto tempo, all'amore e ai rapporti con il sesso opposto al di fuori del lavoro. Non c'è dramma, sembra che una geiko non abbia alcuno dei problemi insormontabili ccitati in Memorie di una geisha. Certo la sua reputazione è di primaria importanza, certo un uomo non poteva in quasi nessun caso oltrepassare la soglia di una casa di geiko, ma nulla ha impedito a Mineko, quando ne ha avuto voglia, di avere un uomo, a patto di tenere la cosa segreta, poiché l'uomo di cui era innamorata era sposato.
E il mizuage, che segna l'ingresso di una geisha nell'età adulta? Mineko Iwasaki lo cita, ma fa i dovuti distinguo: il mizuage, per una geiko, non è altro che una cerimonia per il passaggio alla maggiore età. È per le oiran, le prostitute d'alto bordo, le cortigiane, che corrisponde a una deflorazione pagata profumatamente:
Shimabara era un rione licenzioso dove le donne note come oiran e tayu, cioè cortigiane o prostitute d’alto bordo, sebbene conoscessero anche le arti tradizionali, si dedicavano al commercio del proprio corpo. Anche le giovani oiran vengono sottoposte a un rituale chiamato mizuage, che nel loro caso consiste nel subire una deflorazione cerimoniale da parte di un patrono che ha pagato profumatamente per quel privilegio (l’ambiguità della parola “mizuage” è alla base della confusione su cosa significhi essere una geisha).
Mineko non risparmia i dettagli: ogni gesto, ogni addobbo per capelli, ogni rituale è descritto con dovizia di particolari.
Bisognava sedersi di fronte alla porta poggiando le natiche sui talloni, portando la mano destra all’altezza del petto e mettere le dita con il palmo aperto sul telaio della porta o nell’incavo, se ce n’era uno. Si doveva spingere la porta di pochi centimetri, facendo attenzione a non portare la mano al di sotto del busto. Poi bisognava sollevare la mano sinistra dal grembo e portarla all’altezza della destra. Continuare poggiando, con gentilezza, la mano destra sulla parte inferiore del polso sinistro, discostare lievemente la porta con il corpo, creando un’apertura grande abbastanza per passare. Quindi alzarsi in piedi ed entrare nella stanza. Girarsi su se stesse e sedere di fronte alla porta aperta. Usare le dita della mano destra per chiudere la porta appena oltre la linea mediana, quindi usando la sinistra e aiutandosi anche con la destra, chiuderla completamente. Alzarsi, girarsi, e andarsi a sedere davanti all’insegnante.
Non sono certo questi gesti, così precisi ma allo stesso tempo non rigidi proprio perché ritualizzati, come una sorta di danza, a spingere Mineko a lasciare il mondo delle geiko. Il suo carattere forte e propositivo non può rimanere in silenzio davanti a tutte le inutili regole imposte a Gion, regole che non possono essere cambiate e condannano il mondo delle geiko a non poter stare al passo coi tempi. Per esempio, le scuole per diventare geiko non insegnavano l'inglese. Dato che la presenza di ospiti stranieri era tutt'altro che rara all'interno delle sale da tè, Mineko, che ha intrattenuto ospiti stranieri di enorme prestigio come il Principe Carlo D'Inghilterra, non poteva che trovarla una presa di posizione assurda. Ma a Gion nulla si può cambiare, tutto scorre uguale a sé stesso da troppo tempo.
Così la geiko si ritira, nella speranza di scuotere quel mondo, costringerlo a cambiare. Si ritira per protesta, si ritira per la stanchezza di una vita che detesta i cambiamenti, persino quelli che apporterebbero migliorie. Tuttavia, come detto precedentemente, questo porterà solo al ritiro di molte altre geiko. La scrittrice stessa afferma di aver forse innescato lei stessa la decadenza di quello stile di vita, il declino di Gion e dei suoi fiori più belli.
Storia proibita di una geisha è un libro autobiografico, ma è anche uno spaccato di vita, un frammento di qualcosa che oggi sta andando perduto. In certi momenti è così vivido che ti sembra di essere su quel ponte, o seduto in una sala da tè. Il carattere critico, forte della protagonista è abbastanza pepato da rendere interessante ogni passaggio, anche se personalmente ho apprezzato molto la prima parte, più concentrata su Gion e sugli usi e costumi delle geiko. Non ci rimane che ringraziare Mineko Iwasaki per avere avuto ancora una volta un enorme coraggio, per aver discostato un velo e rivelato i segreti del mondo delle geiko, mondo di cui noi, essendo ormai nati troppo tardi e troppo lontano, sicuramente non potremo mai godere. Se non nelle pagine di qualche libro.
Mineko Iwasaki – Rande Brown, Storia proibita di una Geisha, una storia vera, Newton Compton Editori, 2013, (traduzione dall’inglese di A. Mulas)