In Tokyo Vampire Hotel Sono Sion ci mette di fronte a un’apocalisse generazionale e sociale che fa riflettere e che manifesta, in modo del tutto personale, il dissenso dell’autore ma allo stesso tempo nelle sue imperfezioni intrattiene e diverte.
Eccessivo, autoriale, cruento, geniale, contraddittorio, autoreferenziale. Questo è Sono Sion e queste sono alcune delle caratteristiche delle sue pellicole, intrise della follia del suo creatore e al centro dei dibattiti tra gli amanti del cinema giapponese.
Tokyo Vampire Hotel, arrivato in Italia al Torino Film Festival nel 2017, nasce come una serie di nove episodi prodotta da Amazon esclusivamente per gli schermi giapponesi, per poi essere adattata in un film di quasi due ore e mezzo per il mercato festivaliero.
La trama è all'incirca questa: Manami, durante i festeggiamenti per il suo ventiduesimo compleanno, rimane coinvolta nella furia omicida di una ragazza che si rivelerà essere un vampiro. Mentre la ragazza stermina tutti all'interno del ristorante dove si trovano, Manami sente che dentro di lei si sta risvegliando un potere sconosciuto. Inoltre K e Yamada, appartenenti a due diversi clan di vampiri in guerra da secoli, sono sulle sue tracce per motivi ignoti. Il clan di Yamada, poi, ha radunato giovani ragazzi e ragazze dentro un hotel in modo che possano fornire sangue per l'eternità, vista l'imminente fine del mondo.
Sono Sion attraverso una narrazione ritmata riesce a veicolare molte tematiche, combinandole ed evitando al tempo stesso di banalizzarle.
Una delle più importanti è sicuramente la famiglia, legata soprattutto ai tre protagonisti principali. Manami è un'orfana adottata: la sua situazione di sradicamento è subito messa in evidenza e la scoperta dei poteri che la trasformeranno in una creatura mostruosa non fa che accentuareil suo smarrimento e il suo vuoto identitario. K invece è stata vampirizzata quando era una studentessa all'estero in Romania e, come amante del capo del clan di cui fa parte (Dracula), agisce per suo conto in Giappone. Se la sua condizione sembra essere inizialmente "ordinaria", a un certo punto prenderà coscienza di essere stata sfruttata, sessualmente e non, il che le causa uno shock psicologico tale da portarla sulla soglia del suicidio risultando in una scissione dalla sua presunta famiglia (che è quasi una setta religiosa che adora il proprio leader). Yamada infine cerca in tutti i modi di rimanere integrato nel proprio nucleo familiare e resistere alle pressioni insistenti che riceve dalla madre, ma finirà per fare di testa sua soprattutto a causa dell'amore. L'alienazione dei personaggi viene inoltre costantemente rinforzata, anche grazie a inquadrature che li vedono spesso in scena soli.
Se il tema della perdita dell'identità è più volte reiterato, un argomento che merita una menzione è anche la critica verso la società giapponese.
Sempre presente in maniera massiccia nei lungometraggi di Sono, qui risulta meno accentuata, probabilmente a causa della deriva pop-vampiresca, ma in ogni caso è resa benissimo. Una delle prime immagini è volutamente programmatica: il cartellone che indica le Olimpiadi 2020 (il film è ambientato nel 2021) di Tokyo si trova nell'immondizia, simbolo di un'occasione che potrebbe essere sprecata per il Giappone intero, come sprecati potrebbero essere tutti i fondi che potevano essere destinati a risolvere qualche piccolo problema. La critica poi si estende al rapporto con le armi: secondo Sono, spingendosi all'estremo, ogni giapponese vorrebbe possederne una, come è simboleggiato dalle scene in cui i giovani ragazzi, per difendere ciò che resta dell'umanità in generale, ma in particolare della loro umanità, appaiono desiderosi di scegliere la propria arma e finalmente "giocare alla guerra" contro quelli che considerano i mostri.
Seppur non manchino le frecciatine alle relazioni sociali, tra persone che in strada non fanno nulla per aiutare il prossimo e passano indifferenti, e approcci dove conta solo l'apparenza, il picco massimo viene raggiunto nei confronti della sessualità, mostrata come repressa e malata.
Ragazzi e ragazze sono costretti a trovarsi velocemente un partner nella hall dell'albergo in cui si trovano, altrimenti verranno uccisi, e devono essere pronti per un atto sessuale sotto sorveglianza.
Tutto ciò è una cinica analisi di come ci si debba obbligatoriamente conformare alla massa, creando per forza una famiglia: è naturalmente una visione che contrasta con quella dell'autore, che non lo lascia solo intuire, ma lo afferma vigorosamente.
Il fil rouge, rosso in tutti i sensi, che lega l'intera pellicola è la violenza spudoramente e provocatoriamente esagerata: il sangue scorre copioso e se scandalizza è perchè vuole farlo.
A livello tecnico Sono mescola una serie di componenti stilistiche che definiscono il suo stile, dai movimenti di macchina alle inquadrature citazionistiche. Tra piani sequenza (magistrale quello durante la battaglia finale), carrellate in corridoi che ricordano Suspiria (1977) di Dario Argento e Repulsione (1965) di Roman Polanski e che dimostrano la notevole cultura cinefila del regista di Toyokawa, cambi di illuminazione repentina e colori sempre saturi (da notare il rosso corallo, usato in alcune scene iconiche dalla fotografia perfetta, che fa riferimento sempre a Suspiria), lo spettatore viene trasportato tra dramma, grottesco, sequenze oniriche e soprattutto horror nell’estetismo caotico – o caos estetico – che fa di Sono un unicum nel panorama cinematografico giapponese. L'unico appunto che si può forse fare è al montaggio, poiché la condensazione in due ore e mezzo di varie ore di materiale risulta in alcuni punti affrettata, per quanto comunque sopra la media.
In conclusione, il regista di Toyokawa in Tokyo Vampire Hotel rimane ancorato ai fondamenti della sua estetica, presentandoci ancora una volta tematiche e spunti di riflessione interessanti.