In occasione della pubblicazione del volume di Kurihara Sadako, una preziosa selezione di poesie a verso libero composte tra il 1941 e il 1983 e di saggi scritti a partire dagli anni Sessanta, e dedicati alla dolorosa esperienza del bombardamento atomico, abbiamo incontrato la curatrice e traduttrice, Daniela Travaglini.
NipPop: In quanto appassionata e studiosa di letteratura giapponese con una particolare attenzione alla narrativa femminile contemporanea, in cosa si distingue secondo lei l’opera di Kurihara Sadako rispetto ad altre autrici della letteratura della bomba atomica? E rispetto alla letteratura prodotta sulla catastrofe di Fukushima? È possibile delineare una connessione tra la produzione letteraria di Kurihara e quella sul disastro dell’11 marzo?
Daniela Travaglini: Ho scoperto Kurihara Sadako per caso, mentre cercavo materiale sulla mia tesi di laurea, che verteva sulla letteratura della bomba atomica. La prima poesia che ho letto è stata Hiroshima to iu toki (Quando dici Hiroshima), che mi colpì moltissimo per il punto di vista inedito con cui veniva affrontato il tema della guerra e dell’atomica. Hiroshima non più e non soltanto come vittima, ma anche come carnefice. Una poesia densa di significato, che pone l’autrice in una posizione di rottura. Questo aspetto penso che la contraddistingua da molta della produzione letteraria di quegli anni. Un altro aspetto che ritengo caratterizzi l’opera di Kurihara è l’ampiezza dei temi trattati. Nonostante si identifichi nella prima generazione di scrittori dell’atomica, di coloro cioè che hanno vissuto da adulti in prima persona l’esperienza dell’atomica e hanno sentito da subito la necessità di testimoniare l’evento (come Ōta Yōko, e Hara Tamiki), Kurihara è riuscita ad andare oltre la fase di letteratura delle macerie, prendendo Hiroshima e Nagasaki come punto di partenza di un discorso molto più ampio, che riguarda la nostra umanità, i pericoli di una guerra nucleare, l’educazione alla pace. Il futuro comincia da qui (1979) recita una sua poesia. Hiroshima e Nagasaki non più visti come luogo della tragedia, ma monito per il futuro dell’umanità. In tal senso, penso che la sua opera possa collegarsi alla produzione letteraria nata in seguito al disastro dell’11 marzo. Lei stessa in molti dei suoi saggi e poesie paventava i rischi dell’energia atomica, e dei disastri a essa connessi. La sua opera può leggersi come predittiva di quanto poi sarebbe avvenuto. Ciò che probabilmente distingue le due produzioni, è la diversa modalità di raccontare queste esperienze che sono “al di là delle parole”. La letteratura post-Fukushima infatti ha fatto della forza dell’immaginazione il fulcro della sua poetica. Raccontare le complessità e le storture di un mondo post-moderno richiedono altri modi di indagare la realtà e un linguaggio nuovo che permetta di rendere in parole quanto avvenuto, e di lanciare messaggi di speranza per il futuro.
NipPop: Cosa ha significato per lei il lavoro di traduzione di un’opera così impegnativa al livello di temi e problematiche affrontate? Ha riscontrato delle difficoltà nel rendere il carattere crudo e allo stesso tempo disarmante dei versi di Kurihara?
D.T.: Nell’ambito dei miei studi, mi sono sempre interessata alle questioni delle minoranze e in generale alle questioni sociali che spesso non trovano ampio spazio nel dibattito letterario. Basti pensare quanto in Giappone la letteratura della bomba atomica sia stata di fatto sempre ostracizzata dall’establishment letterario, e relegata a essere letteratura di serie B. Sono pochi gli autori che vengono studiati a scuola, e ancor meno quelli tradotti in altre lingue. Per me è stato un lavoro di riscoperta, un modo per poter dare una voce a corpi “altri”. Kurihara ha vissuto una doppia ghettizzazione, in quanto donna e in quanto hibakusha, ma anche per le sue prese di posizione forti, che l’hanno messa al margine del dibattito culturale di quegli anni. Nelle sue poesie, spesso manifesta questo suo senso di isolamento e la disperazione che prova di fronte all’incapacità delle sue parole di toccare il cuore della gente. Questo suo “urlo disperato” è proprio ciò che mi ha portato a voler rendere la sua opera conosciuta. Affrontare un tema così duro e molto lontano dalla mia realtà non è stato semplice, in molti momenti non mi sono sentita all’altezza, mentre in altri l’approccio alla lettura è stato di sofferenza quasi fisica. Ci sono versi che ho fatto fatica a finire di leggere e poi tradurre per tutto il dolore che portavano con sé. E mi sono resa conto delle difficoltà provate da questi autori, che dovevano rendere a parole un’esperienza così devastante. Alla fine, penso di essermi lasciata guidare semplicemente da lei. Kurihara utilizza spesso un linguaggio diretto e crudo, intervallato da un ampio uso di metafore, che riescono a imprimere ancora più forza al suo messaggio. La sua costruzione delle frasi è spesso lunga e articolata, non rendendo la lettura immediatamente accessibile, anche nelle sue poesie, in cui i versi spesso assumono la forma della prosa. L’italiano è una lingua che tende a spiegare molto, e da questo punto di vista ciò mi ha facilitato nella traduzione, allo stesso tempo però quello che mi premeva era di non sovraccaricare eccessivamente quanto Kurihara aveva voluto mettere in parole. È stato un lavoro di equilibrio, e spero di essere riuscita a rispettare e a dare il giusto valore alla sua opera.
NipPop: La sua traduzione permette all’opera di Kurihara di essere conosciuta in Italia, quindi a una fetta più ampia di lettori, non più solo giapponesi. Secondo lei, come si inserisce la produzione di Kurihara all’interno di un’ottica più globale?
D.T.: Il suo lavoro è in effetti circoscritto a un ambito ben definito, quella della genbaku bungaku, la letteratura della bomba atomica, una definizione che include in sé tutte le opere che hanno come comun denominatore la narrazione dell’atomica, legate quindi a un evento storico ben preciso. Eppure, le sue parole riescono a travalicare i confini della narrazione della guerra e della bomba, e quelli del Giappone. Nelle sue poesie e saggi più recenti (parliamo degli anni ’80) riesce a raccontare con estrema lucidità la situazione politica internazionale di quegli anni, i rapporti con USA e URSS, le problematiche connesse all’uso pacifico del nucleare, e i suoi effetti a lungo termine, non solo sugli uomini, ma anche sull’ambiente che ci circonda. Un discorso che trova pieno riscontro nella realtà contemporanea. Nei suoi saggi, Kurihara parla di “panico escatologico” e “sensazione da fine del mondo”, parole che a mio parere sono in grado di descrivere con precisione l’epoca attuale, viviamo in tempi in cui si percepisce una grande incertezza e paura del futuro, legate tanto alle questioni ambientali, quanto alla crisi politica internazionale. In questo, vedo una grande attualità del pensiero di Kurihara.
NipPop: La poetessa Kurihara con le sue raccolte intende lasciare un messaggio molto forte e diretto ai suoi lettori, che parla di pace, ricostruzione e speranza per un futuro privo di armi atomiche e guerre. In quanto traduttrice di raccolte poetiche tanto intense, lei cosa intende trasmettere ai lettori? Quali riflessioni vuole suscitare?
D.T.: Il mio scopo è quello di rendermi portavoce della sua opera e del suo messaggio. Un messaggio che merita di essere condiviso, e che sono felice di aver potuto in qualche modo divulgare anche in Italia.
Pace, speranza per il futuro del genere umano, sono valori di cui oggi più che mai si sente assoluta necessità. Spero che dalla lettura in Italia di questa raccolta, nasca una maggiore consapevolezza di quello che ha rappresentato e che rappresenta tutt’ora la guerra, e di come sia necessario tutelare il nostro pianeta. La sofferenza narrata da Kurihara è una sofferenza universale, in cui ogni essere umano si può rispecchiare, e in questi tempi di spietato cinismo, spero davvero che una lettura così intensa porti tutti noi a essere più umani ed empatici.