Dopo aver presentato il suo Blood of the Wolves nella scorsa edizione del festival, Shiraishi Kazuya ritorna a Udine con la sua nuova opera Dare to Stop Us (Tomerareru ka, oretachi wo), film che racconta un periodo nella vita di Wakamatsu Kōji e della sua troupe cinematografica.
WAKAMATSU E I PINK EIGA
Alla fine degli anni Sessanta il Giappone attraversa un periodo di intenso fermento culturale: i giovani iniziano a farsi avanti e a esprimere le proprie opinioni, e la situazione politica si fa sempre più tesa. È in questo momento che la controcultura giovanile emerge con tutta la sua energia, scandalizzando il pubblico. A diventare particolarmente popolari sono i pink eiga (in inglese spesso chiamati pink film): film soft-porno, con numerose scene di sesso ma mai esplicite, prodotti da vari registi indipendenti in tempi brevi e con budget limitati.
Wakamatsu Kōji (interpretato da Iura Arata), enfant terrible del cinema giapponese, irrefrenabilmente creativo e fuori dalle regole, inizia a girare in questi anni, affiancato da Masao Adachi (Yamamoto Hiroshi ), sceneggiatore e anche lui regista. I suoi film violenti, pieni di scene di sesso e di sangue appartengono proprio al genere dei pink eiga; ma allo stesso tempo criticano aspramente la società dell'epoca, portando sullo schermo tutti i suoi tabù, uno dopo l'altro, in segno di sfida. Attorno a Wakamatsu si raccoglie un folto gruppo di autori, assistenti registi, cameraman e tecnici: nasce così lo studio cinematografico Wakamatsu Production.
In Dare to Stop Us Shiraishi, lui stesso allievo del compianto Wakamatsu, cerca di riportare lo spettatore proprio a quegli anni di frenetica creatività e ribellione, raccontando l'ambiente del cinema underground dell’epoca senza nascondere nulla. Lo sguardo è di certo malinconico e nostalgico, ma non ci sono dubbi: lo scopo di questo film non è esaltare o santificare il genio sregolato di Wakamatsu.
UN NUOVO AIUTO REGISTA
Quella che viene raccontata, infatti, non è solo la storia del famoso regista. È anzi la storia di Megumi Yoshizumi (Kadowaki Mugi), vera protagonista del film. Nel 1969, a soli ventun anni, Megumi entra a far parte della Wakamatsu Production come aiuto regista: è la prima donna a lavorare con loro. È stato un suo amico, chiamato da tutti Obake, 'il fantasma', a portarla con sé negli uffici dello studio a Harajuku e a spingerla a proporsi per il ruolo. Wakamatsu all'inizio sembra non notare nemmeno la presenza della ragazza, ma poi la avverte: neanche gli aiuto registi uomini sono riusciti a resistere più di due anni con lui. Ma Megumi non si fa scoraggiare: il suo sogno è dirigere un film da sola, e non sarà certo questo a fermarla. Nonostante i primi errori e le incomprensioni, continua a lavorare e a farsi valere sempre di più, diventando indispensabile per l'intera troupe.
Col tempo, Megumi inizia a cambiare e ad adattarsi al suo ruolo: inizia a bere e fumare regolarmente, si veste in modo maschile, fa di tutto per non essere scambiata con una delle tante attrici che vengono scritturate da Wakamatsu per i suoi film. Ma, nonostante questi cambiamenti superficiali, rimane sempre fedele a sé stessa, al suo desiderio di creare.
UN VIAGGIO IN PALESTINA
Il tempo passa, e le vicende dei protagonisti si intrecciano spesso con gli eventi storici di quegli anni: ne è un esempio il plateale suicidio di Yukio Mishima, avvenimento che segnerà molto Wakamatsu, che girerà poi uno dei suoi ultimi film proprio su questo episodio. Ma sono anche eventi internazionali a sconvolgere la routine della troupe: centrale nel film è il viaggio che Wakamatsu e Adachi compiono in Palestina al ritorno dal festival di Cannes, durante il quale girano un documentario clandestino sulla questione palestinese, che presenteranno qualche anno dopo col titolo di Armata Rossa/PFLP – Dichiarazione di Guerra Mondiale.
Nel frattempo Megumi è sempre più affiatata con il resto del gruppo, e in particolare con Takama, un giovane cameraman con cui intreccia una relazione. Ma è con Wakamatsu che la ragazza stringe il rapporto più significativo. Nonostante i primi attriti e la diffidenza iniziale di lui, il regista e Megumi diventano non solo maestro e allieva, ma anche qualcosa di più: è Wakamatsu stesso ad esclamare verso la fine del film: "È come se fosse mia figlia!".
Tuttavia, questa non è una storia a lieto fine. Gli anni splendidi della gioventù vengono raccontati con leggerezza, ed è facile farsi prendere non solo dall'entusiasmo della protagonista, ma anche dalla sua curiosità e dalla sua ricerca di "un film da creare". Ma la tragedia è in agguato, a ricordare che tutti i periodi della vita, per quanto belli, sono destinati a finire.
Il film non si perde in inutili abbellimenti e dipinge un ritratto fedele di quegli anni: le tensioni politiche, gli ideali, il disagio e il degrado di alcune zone della metropoli; ma è in particolare la misoginia che Megumi si ritrova ad affrontare a colpire dritto al punto. Infatti, prima di essere accettata come "membro effettivo del gruppo" la ragazza viene spesso trattata come una semplice cameriera, e non come un valido aiuto regista. Sono proprio questi dettagli attenti a rendere il film ancora più prezioso. D'altronde, come già visto in altri suoi lavori, Shiraishi non è certo il tipo da tirarsi indietro o da "addolcire" le scene.