NipPop

#NipPop @FEFF16: Intervistando Pio D’Emilia

8 Maggio 2014
NipPop Staff

NipPop al FEFF 2014, con Pio D’Emilia, giornalista, scrittore, recentemente autore di documentari, che vive in Giappone da molti anni.

Cominciamo con una domanda banale, ma di dovere: la tua impressione sulla selezione dei film giapponesi a questa edizione 2014 del FEFF.

Guarda, io sono molto amico del consulente del festival, e l’amicizia dovrebbe aiutare a dire le cose come stanno.

Io non sono quasi mai d’accordo sulle sue scelte, però capisco che siano le scelte che questo tipo di festival vuole. Quindi, se fossi io a decidere, ne avrei fatto altre. Per quel poco che ci capisco. Non sono certo esperto come lui.

Però noto che sempre di più c’è una tendenza alla commedia, al POP, al romanticume. E molta poca attenzione non dico per il sociale o per il politico, perché so che è fuori dal contesto di questo festival, però mi piacerebbe che ci fossero più presenze dall’unica grande categoria di cui i giapponesi – e adesso un po’ anche i coreani (sono curioso di cosa diventeranno poi i cinesi) – sono maestri, cioè dell’horror.

I giapponesi sono bravi nell’horror. Sono stati i maestri, e continuano un po’ a esserlo, adesso cominciano a battere i colpi, perché l’horror è direttamente proporzionale al grado di “civilizzazione” – o “occidentalizzazione” – di un paese. Più sei integrato e più devi soccombere ai canoni euro-americani secondo cui anche l’horror più becero deve finire sempre bene.

I giapponesi sappiamo che sono liberi da sempre da qualsiasi pastoia etico-morale, ne è prova il fallimento dell’ evangelizzazione: nonostante tutti gli sforzi, il Giappone è l’unico paese che l’ha scampata.

E quindi ecco, l’horror giapponese secondo me dovrebbe essere più visto perché è educativo, paradossalmente parlando. Il bambino che cade dal quarto piano di un edificio crepa, si spiaccica, non viene raccolto dalla nonna che in quel momento passa sotto, o dal telone provvidenziale di un ristorante, no? Si sfracella.

La donna che viene lasciata dall’uomo o viceversa, che va verso la stazione e lui o lei a un certo punto capisce che non deve lasciarla, corre con la bicicletta affannato, arriva sulla pensilina: non la trova là, con il treno con le porte aperte. Il treno se n’è andato.

Diciamo che in parte hai già risposto a quella che era la mia domanda successiva, cioè se secondo te la selezione dei film che è stata fatta è rappresentativa di quella che è la cinematografia giapponese oggi, che tu ovviamente, vivendo a Tokyo conosci bene.

Sì e no. Diciamo anche che io amo molto il cinema, ma amo molto il cinema sociale, politico. Quindi devo ammettere che, le poche volte che riesco ad andare al cinema a seguire la nuova cinematografia giapponese, lo faccio sempre su un altro binario. E quindi non sono in grado di stabilire se all’interno di questo genere i film proposti quest’anno siano rappresentativi, ma immagino di sì, perché Mark (Schilling, NdR) è uno che sta appresso alle cose con grande costanza e capacità.

Non li ho neanche visti tutti devo dire, quest’anno sono venuto qua con mio figlio, l’ultimo, che ha 16 anni e gli è piaciuto molto.. non ricordo il titolo, quello dei ragazzini, della scuola…

Neanche io lo ricordo, perché neanche io l’ho visto: Hello! Junichi, forse?

Ah sì. Devo dire che è un onesto film di ambiente sociale contemporaneo giapponese con la professoressa vamp, un po’ squinternata, ma tutto sommato valida.

Devo dire che sono tutti film molto divertenti. L’unico che era per così dire un po’ teso, un po’ noir, cioè Bilocation, francamente mi ha un po’ deluso.

Mi aspettavo di più, tecnicamente mi ha deluso. La storia è bellissima, affascinante, assolutamente. Non so se è tratto da un romanzo o meno, non ho approfondito. Se lo è, sicuramente è una bella storia.

Tecnicamente penso – ma questo è il solito problema del Giappone – che è stato per anni al top in questo tipo di cose, e adesso sta battendo colpi perché è il Giappone che batte colpi. Come la Sony, la Nissan e la Toyota non sono più al top così neanche il resto. Ma questa è una cosa un po’ ciclica, che è di qualsiasi cultura. Guardiamo come siamo diventati noi italiani…

In effetti…
Uscendo un attimo da quelli che sono i film presentati al festival e tornando invece alla tua esperienza in Giappone, secondo te il 2011, quindi Fukushima, il dibattito sul nucleare, ha rappresentato un punto di svolta per il cinema? Nella scelta dei temi, dei modi, dei generi? ti faccio questa domanda perché in letteratura si parla ormai di un pre-Fukushima e di un post-Fukushima. Quindi mi chiedo se è così anche nel cinema, e non necessariamente nel cinema POP…

Guarda, devo essere sincero: mi cogli impreparato, anche perché è sempre meglio ammettere l’ignoranza che inventarsi delle cose. Diciamo che propedeuticamente contesto la domanda, nel senso che non c’è un pre- e un post-Fukushima. C’è un Fukushima, che è ancora in corso.

I più sensibili, i più knowledgeable, quelli che veramente stanno seguendo la vicenda, sono consapevoli del fatto che Fukushima non è affatto finita. E quindi per parlare di un post-Fukushima dovremmo aspettare qualche annuccio, facendo le corna e sperando che non peggiori. Perché Fukushima, nel senso di quello che è avvenuto, è niente rispetto a quello che può ancora avvenire oggi, domani, dopodomani.

Io personalmente non penso che il Giappone sia cambiato così tanto. Prescindendo dai vari settori, sicuramente c’è un post-Fukushima, nonostante siamo in Fukushima nella politica, nell’organizzazione sociale, nell’autority, nella fiducia, nel WA espanso della società giapponese. I giapponesi non si fidano più dell’autorità, non si fidano più dei giornali. Questo è un fatto che sicuramente si può vedere dal discorso all’izakaya ai grandi livelli. Per quanto riguarda invece letteratura e cinema, mi trovi impreparato perché non seguo, confesso di non essere così poliedrico.

Mi sembra naturale.
Torniamo un attimo a questa edizione del FEFF con l’ultima domanda.
Secondo te tra i film giapponesi che hai visto c’è n’è qualcuno che ha delle possibilità di vincere?

Spero non vinca Thermae Romae

Perché? la domanda è d’obbligo!

Perché, al di là della simpatia globale del regista, al di la della genialità del soggetto, di cui peraltro mi raccapriccio di non aver avuto io l’idea perché all’inizio, quando sono arrivato in Giappone, quasi 30 anni fa, tra le prime località che visitai ci fu Hokkaido e me ne andai nel famoso inferno di Noboribetsu. Mi ricordo ci andai in moto, e arrivai in questo bellissimo jigokudani, come loro lo chiamano. Ce ne hanno parecchi di jigokudani, ma uno sta lì a Noboribetsu e c’è questo Daiichi Takimoto Onsen, che è uno dei trionfi delle pozze sulfuree.

E mi ricordo la prima cosa che dissi con degli amici: sembra di essere tornati nell’Antica Roma! Anche se non ho questa esperienza, il concetto era proprio quello, mancavano solo le ancelle che ti imboccano con i chicchi d’uva… Quindi devo dire, questo parallelo tra l’epicureismo termale romano e quello giapponese è secondo me geniale, bellissimo. È veramente solo nostro e loro, perché gli americani, gli anglosassoni non ce l’hanno, così come i visigoti, gli arabi… Poi, certi passaggi sul washlet mi sembrano un po’ eccessivi. Non mi sembra un film da premio. Soprattutto perché è un film ormai vecchio, e i sequel non vanno mai premiati.

Sì, su questo sono d’accordo. Io non ho ancora visto Thermae Romae II, mentre mi era piaciuto Thermae Romae I, l’ho trovato godibile. E concordo con te sulla genitalità del soggetto, originale. E devo ammettere che ho paura di vedere Termae Romae II, perché ho la stessa tua idea, ho paura che poi i sequel finiscano per diventare stantii.

Però capisco perfettamente lo spaesamento di un giapponese quando arriva in Italia, nel vedere i nostri bagni, le nostre terme dove ancora si usano i costumi, e soprattutto l’assenza del washlet: altro che hanami, geisha, è il washlet il simbolo del Giappone.

Ti ringraziamo per il tempo che ci hai concesso. Un saluto ai nostri amici di NipPop?

Beh, saluti e venite. L’unica cosa da fare è venire in Giappone, perché chiunque ve lo racconti, sbaglia; io compreso.

E noi speriamo di averti presto a Bologna!

 

Teatro Nuovo Giovanni Da Udine,
3 maggio 2014

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