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Quando il passato porta al crimine – “Agenzia A” di Matsumoto Seichō

4 Dicembre 2023
Irene Laffi

Agenzia A, uscito in Italia nel 2020 per la collana Giallo Mondadori, nella traduzione di Laura Testaverde, è un romanzo di Matsumoto Seichō, pubblicato nel 1959 con il titolo di Zero no shōten ゼロの焦点 (Focus zero). Si tratta di un noir liberamente ispirato a un fatto realmente accaduto in Giappone alla fine degli anni Cinquanta, gli stessi in cui il libro è ambientato. Da Agenzia A sono anche stati tratti due film, uno del 1961 diretto da Nomura Yoshitarō e l’altro del 2009 di Inudō Isshin.

Itane Teiko è una giovane di 26 anni, da poco sposata con Uhara Ken’ichi, di 10 anni più grande di lei, conosciuto tramite un miai, un incontro combinato. L’uomo è a capo della succursale nell’area dello Hokuriku dell’agenzia A, che si occupa di intermediazione pubblicitaria, per cui vive a Kanazawa venti giorni al mese, mentre gli altri dieci li passa a Tōkyō. Finita la luna di miele, Ken’ichi deve trasferirsi momentaneamente a Kanazawa per formare Honda, il suo successore, poiché ha ottenuto il trasferimento definitivo a Tōkyō proprio alla luce del matrimonio con Teiko. I due coniugi si trovano bene insieme, ma non fanno in tempo a conoscere i dettagli delle rispettive vite prima delle nozze, le abitudini e le personalità perché Ken’ichi scompare in circostanze misteriose. Teiko, giovane ma determinata, forte e intraprendente, decide di recarsi a Kanazawa dove, con l’aiuto di Honda, si mette sulle tracce del marito nella speranza che sia ancora vivo. Quella che sembra una vicenda banale nasconde, in realtà, molti segreti che Ken’ichi si è portato dalla sua vita da scapolo, e che si legano anche alla caotica e instabile situazione in cui versava il Giappone subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. In particolare, la controversa presenza dei soldati statunitensi sul territorio e il rapporto con le pan pan, giovani ragazze giapponesi che si prostituivano e si accompagnavano con gli americani per guadagnarsi da vivere. 

Dunque, anche se inizialmente la vicenda conta pochi personaggi, più si va avanti più si arricchisce di particolari inaspettati e personalità complesse. In effetti, tutte le figure che popolano il romanzo sono credibili e ben delineate, anche se di alcune non si conoscono nel dettaglio la psicologia e i pensieri.

Grazie alle brillanti intuizioni di Honda prima, e alla determinazione e all’intelligenza di Teiko poi, si arriva al finale, inaspettato e tragico, che mette in luce molti aspetti della società giapponese del dopoguerra, di un paese che, anche se a livello economico si stava riprendendo rapidamente dalla crisi, era in realtà percorso da fratture profonde e privo di valori solidi.

 

Tutta la vicenda è resa ancora più drammatica dalle ambientazioni della regione di Chūbu, situata nella zona centro-occidentale dell'isola di Honshū, con la sua atmosfera così diversa da Tōkyō, che affascina per il freddo, la neve e gli scogli a strapiombo sul mare, ma è anche tristemente conosciuta come meta per gli aspiranti suicidi.

Per comprendere a fondo il romanzo, però, è importante considerare che il Giappone in quegli anni dell’immediato dopoguerra era letteralmente ridotto a un cumulo di macerie, prostrato dal punto di vista economico, sociale, psicologico e in quel vuoto doveva ricostruirsi. In questo contesto si sviluppano paure e inquietudini, che emergono chiaramente all’interno della produzione di Matsumoto Seichō, uno degli autori di noir e detective fiction giapponesi più rappresentativi del secondo Novecento. In particolare, è considerato l’iniziatore e il principale esponente dello shakaiha 社会派 (la cosiddetta scuola sociale): traendo ispirazione dall’hard boiled statunitense, questa corrente, calata nel contesto giapponese, si focalizza sulla ricerca delle ragioni del gesto criminale che ritrova nella corruzione dilagante al cuore di un sistema politico-sociale, che, sotto l’apparenza dell’armonia e della perfezione, nasconde zone buie dove si muovono quanti non riescono a trovare il proprio posto e finiscono inevitabilmente per essere trascinati nel mondo criminale. Attraverso una costruzione sapiente della trama, il vero focus dei romanzi di Matsumoto Seichō sono la società giapponese e i suoi mali, che si insinuano a ogni livello. In effetti, per l’autore le radici del gesto criminale, anche quando è perseguito volontariamente, sono sempre da rintracciare nel tessuto sociale, che non è in grado di tutelare gli individui, i quali a loro volta diventano facilmente vittime di situazioni che possono spingerli al gesto criminale.

Anche in Agenzia A si riconoscono i tratti caratteristici dello stile di Matsumoto, quelli stessi che fanno di lui la figura più innovativa della detective fiction giapponese del secondo dopoguerra: ritroviamo una trama costruita con maestria che mette in luce le paure degli esseri umani, ma sempre in modo sottile e all’interno di un’ambientazione dalle sfumature malinconiche. In effetti, la descrizione dettagliata fino ai minimi particolari dei luoghi non è mai fine a se stessa, anzi contribuisce, insieme alla perfetta struttura noir, a catturare il lettore e a mantenere la sua attenzione viva fino al finale, inaspettato o niente affatto ovvio. A creare una forte tensione narrativa oltre all’indagine sulla scomparsa di Ken’ichi, sono le riflessioni che questa stimola in generale sul vuoto di valori e più nello specifico sui cambiamenti che interessano il ruolo delle donne, le quali iniziano a ritagliarsi un proprio spazio anche attraverso la ricerca di nuove forme di realizzazione personale. Infine, è impossibile non soffermarsi sull’importanza del passato che, se pur in apparenza lontano e dimenticato, spesso incide sul presente riaprendo ferite non ancora guarite e costringendo i personaggi a pagarne le conseguenze.

 

 

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