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«Senza la pizza Pac Man non sarebbe mai esistito. Grazie Italia!» – Due chiacchiere col papà di Pac Man.

24 Ottobre 2015
Davide Maggio

Durante la giornata di apertura della Games Week 2015 di Milano abbiamo avuto l’opportunità di incontrare il padre di Pac-Man, prof. Iwatani Toru. 

Professore, sì, perché dopo aver concluso un’esperienza trentennale di collaborazione con Namco Ltd. (che ha portato allo sviluppo di più di 50 videogiochi, tra cui il già citato Pac-Man e Time Crisis) è adesso impegnato come docente presso il Dipartimento di Videogiochi del Politecnico di Tokyo.

Punto focale del suo insegnamento è la visione del videogioco cme qualcosa all’interno del quale convivono più campi scientifici: alla base troviamo ovviamente l’ingegneria e la matematica, grazie alla quale un videogioco viene programmato e sviluppato; a seguire avremo il visual design per lo sviluppo di una grafica accattivante, la letteratura per la scrittura di testi creativi e avvincenti, il sound design per la composizione di una musica che accompagni a dovere l’esperienza di gioco; e infine la psicologia, come studio degli interessi personali del target del prodotto a cui si sta lavorando. È soltanto prendendo in considerazione tutti questi elementi, quindi, che riusciremo a creare un buon videogioco.

Ma applichiamo adesso questi concetti alla creazione di Pac-Man: il prof. Iwatani racconta che il suo intento era quello di portare anche le ragazze nelle sale gioco (gēmu sentā – ゲームセンター), ambiente che fino agli anni ’80 era prettamente riservato a una fruizione maschile. Per un target femminile, diventava inopportuno creare un videogioco violento e si rendeva quindi necessario pensare a tematiche che maggiormente potessero attirare la loro attenzione. La moda però non si prestava alla creazione di un arcade, tantomeno “l’amore”, un concetto sicuramente troppo generico se si pensa che quel tipo di prodotto non lascia molto spazio allo sviluppo dei personaggi.

Fu invece la passione per il cibo dell’allora fidanzata di Iwatani ad accendere in lui qualcosa: com’è ormai noto ai più, il personaggio di Pac-Man deve la sua forma caratteristica proprio a una pizza a cui è stato tolto uno spicchio. E anche le dinamiche del videogioco si sviluppano intorno al concetto di “mangiare”: non solo il nome del protagonista deriva dall’onomatopea giapponese paku paku ぱくぱく (l’equivalente del nostro gnam gnam), ma l’intero gioco ruota intorno a delle dinamiche per cui Pac-Man deve mangiare il più possibile di ciò che lo circonda senza farsi mangiare dai quattro fantasmi colorati.

Sono proprio loro un altro punto molto importante del fenomeno che dura ormai da 35 anni: oltre agli algoritmi che programmano i loro movimenti (creando un’esperienza di gioco sempre diversa a ogni partita), è stato fondamentale un buon character design che creasse degli spettri carini e non spaventosi, così da incuriosire il pubblico femminile.

Non sottovalutiamo altresì il contributo che la BGM (background music) del gioco e gli effetti sonori connessi ai vari personaggi (studiati in prima persona dallo stesso creatore) hanno apportato a Pac-Man, rendendolo uno degli arcade più amati ancora oggi.

In chiusura, il professore ha tenuto a ribadire un concetto fondamentale: un videogioco deve essere semplice e intuitivo, non deve confondere i videogamer con regole eccessive e concatenate. Il successo di Pac-Man, secondo Iwatani, sta proprio nell’immediatezza con la quale si pone nei confronti del giocatore, che è in grado di capire sin da subito le dinamiche di gioco.

Parlando dei suoi progetti attuali, il padre degli arcade ha dichiarato di stare lavorando insieme alla sua classe di Tokyo a progetti senz’altro innovativi: una linea di videogiochi a basso costo energetico, titoli esclusivi per non-vedenti, e la Gaming Suit (gēmingu sūtsu – ゲーミングスーツ), una vera e propria “tuta da gioco”. Grazie a questo device si riuscirà, infatti, a unire i tre componenti principali di un videogioco (player, controller e display) in un’unica persona.

L’incontro col professor Iwatani non può quindi che lasciare molti spunti di riflessione, sia per guardare ai videogiochi di ieri in una nuova prospettiva, sia per pensare più apertamente a quelli di domani.

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