Fino al 2004, anno di lancio del programma, la voce umana era ancora l’unico e l’ultimo strumento esistente al mondo che non era stato possibile riprodurre in digitale. Il software firmato Yamaha invece permise di campionare la voce umana, da una o più persone, e realizzare una sorta di ‘cantante virtuale’ a disposizione del compositore. Le prime rappresentazioni grafiche riguardavano solo la scatola del software e anche se le ‘voci’ venivano presentate con dei nomi maschili e femminili in base ai cantanti sui quali erano state sintetizzate, non avevano davvero un volto. Il vero successo arrivò con i primi personaggi della seconda generazione del software, tra cui Hatsune Miku. Il nome stesso è esplicativo: si compone dei caratteri 初 e 音, hatsu, che significa ‘inizio’, ne, ‘melodia, suono’ (per il cognome) e 未来, mirai, qui miku, una lettura alternativa della parola ‘futuro’ (per il nome). Hatsune Miku è la ‘prima voce del futuro’. Possiamo capire chiaramente quale tipo di appeal hanno utilizzato la Yamaha Corporations e la Crypton Media Future Design Company, l’azienda che si è occupata e si occupa tutt’ora del design e della caratterizzazione dei Vocaloid. Una voce del futuro, un ulteriore passo avanti nell’innovazione tecnologica. Proprio così, nella migliore tradizione pubblicitaria giapponese, il software ha per ogni versione un personaggio completo di nome, volto, corpo, abiti particolari, carattere, manga, anime, videogiochi e tutto il merchandising che ne consegue.
Hatsune Miku è sicuramente il caso esemplare più interessante: nel 2007, anno del suo lancio sul mercato, il software da solo ha portato nelle casse Yamaha 60 milioni di yen. Come possiamo vedere dalle immagini, Miku (e anche tutti gli altri Vocaloid), puntano moltissimo sulla caratterizzazione in puro stile manga, lei in particolare si presenta come la classica moe, dai lunghi codini, l’uniforme scolastica, riveduta e corretta con un tocco elettronico, degno della migliore tradizione Japanese cyberculture. Il fenomeno Vocaloid può essere considerato un prodotto nato e sviluppatosi quasi esclusivamente su internet, frutto dell’intersezione tra numerose e svariate subculture del panorama giapponese moderno e contemporaneo, dalla pop culture, al mondo degli otaku, fino ad arrivare agli idol.
This fragmentation is perhaps just a consequence of the opportunities offered by the Internet: the chance to create and distribute new works in a purely digital form, without need for offline distribution networks or clubs or fanzines.
(Japanese cybercultures, Nanette Gottlieb and Mark McLelland eds, Routledge 2003)
Miku è una creatura in bilico tra il fanmade e la produzione coperta da copyright: è nata dal project DIVA, una massiccia manovra commerciale, tipicamente giapponese (basti pensare alle produzioni Kadokawa), che coinvolge non solo il software, ma anche tutta una serie di reportage, album e singoli, concerti live, diversi videogiochi, manga, gadget e oggettistica varia e più di recente l’anime che la vede come tipica protagonista in stile shōjo. Tuttavia, partendo da questa base, sul famoso sito giapponese Nico Nico Dōuga (equivalente di Youtube) la produzione cosiddetta ‘dal basso’, paragonabile all’ampio e prolifico mondo dei dōjinshi in rapporto ai manga, è stata di una rilevanza tale che molti brani composti da fan sono stati presi e inseriti negli album ufficiali.
Qui si pone un’altra importante domanda: chi è la vera popstar? Miku è sostanzialmente un prodotto dei fan per i fan. Si alimenta da sola, senza quasi bisogno di interventi mirati ‘dall’alto’. Come scrive lo studioso Alex Leavitt,
Crypton’s strategic approach to the Vocaloid franchise relies on a delicate balance between copyright and fan production. The company relaxes its hold over intellectual property to allow creators to utilize the software for both free and commercial purposes (such as selling musical CDs).
While international fans gaze at the Japanese artists that popularize the franchise, Crypton must challenge traditional Japanese approaches to content production and distribution.
(Alex Leavitt, Annenberg School for Communication & Journalism, University of Southern California http://mediacommons.futureofthebook.org/imr/2011/04/29/global-culture-hatsune-miku)
Miku è la vera espressione di ciò che il pubblico vorrebbe e che, contrariamente a un personaggio in carne e ossa, si presenta come una sorta di idol manipolabile. La vera ragione del successo di Miku e di tutto il resto del mondo Vocaloid si trova proprio qui: Miku è la nuova vera espressione dell’identità di genere sul web.
The Net (and in particular the Web), in Japan as elsewhere, has changed the ways in which we approach the gathering and presentation of information, and has offered both individuals and groups new media for the construction of identity.
(Japanese cybercultures, cit.)
Una domanda e un’affermazione di questo tipo pongono le basi per affrontare un’ulteriore questione: identità di genere, benissimo, ma di chi? Chi è il target, il vero pubblico di Miku, quello disposto ad agitare porri luminosi (il porro è il simbolo-mascotte di Miku, ogni Vocaloid ne ha uno, per conferirgli un’ulteriore caratterizzazione kawaii), pagando il biglietto per andare a vedere un ologramma gigante che canta e balla, mentre dietro lo schermo si nascondono professionisti musicali umanissimi e bravissimi?
Premettiamo un paio di considerazioni al riguardo. Gli esseri umani sono la band di una cantante virtuale, che ha fatto la sua apparizione nel mondo reale così prepotentemente da essere considerata una idol a tutti gli effetti, una principessa del futuro.
Considerato che virtuale non è opposto a reale ma a possibile, allora non ci dovrà scandalizzare che alcuni virtual idols siano spesso considerati come personaggi dotati di una realtà latente e in quanto tali sono provvisti di una biografia che li rende più reali del reale e pertanto rilasciano interviste e firmano autografi, nonostante si tratti soltanto di corpi virtuali, immagini usate come corpi, in cui tuttavia sono ascritti valori e significati, su cui sono proiettati desideri.
(http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/realta_virtuale.html)
Quindi, Miku vive di una realtà sua, di un corpo su cui i fan proiettano i loro desideri, in questo caso molto più concretamente che in altri, componendo canzoni per la sua voce, realizzando versioni alternative del design (abiti diversi, capelli diversi, carattere diverso, genderswap: sul web si trovano innumerevoli versioni fanmade di Miku). Il suo pubblico non si limita agli otaku, ma in generale si rivolge alla fascia giovane giapponese, tra i quattordici e i venticinque anni. Nonostante questo, molti compositori (sempre fan) si rivelano essere anche adulti di trenta, quarant’anni. Il cuore di Miku sta proprio nel suo lato visual: perché Miku è fatta così? Codini verde-azzurro lunghissimi, occhi grandi, snella, una tipica moe. Le sue movenze durante video e concerti rimandano a tipici gesti considerati kawaii. Riprendiamo Leavitt:
Vocaloid represents a modern case study for globalization and “open-source” culture. But what about Japanese identity? Hatsune Miku’s aesthetics remain entrenched in local visual pop culture, otaku subculture, and Japanese idol performances dating back to the ’80s. (Alex Leavitt, cit.)
L’estetica che potremmo trovare tranquillamente facendo un giretto ad Akihabara, il quartiere più otaku di Tokyo, si ritrova in Miku, che non è bella, non è ‘donna’, è una ragazzina senza forme e senza tempo, è ‘carina’. La differenza tra il tipo di appeal utilizzato per i giapponesi e quello per invece i ‘non-giapponesi’ utilizzato si può notare benissimo confrontando la versione standard 2013 di Miku e la English version, che ha colori più scuri, un’immagine in generale più cupa, più adulta, uno sguardo più maturo e provocante, da ‘donna’.
This “culture of cute” is discussed in Larissa Hjorth’s chapter, where we see traditional gender roles changing as both men and women embrace the cute kitties and traditionally “feminine,” fluffy and fun forms of electronic greeting. ( Japanese cybercultures, cit.)
Miku si evolve costantemente e ad una velocità impressionante col passare degli anni. Per amore della tecnologia giapponese, vorrei concludere presentandovi due video dei concerti live della ‘fanciulla’. L’attenzione, catalizzata sull’ologramma, ci fa notare subito quanto i movimenti della figura siano più fluidi, le espressioni più naturali, manca la luminescenza trasparente tipica delle prime esibizioni, lo schermo su cui viene proiettato l’ologramma è quasi invisibile, mentre la figura di Miku è opaca, realistica, persino le pieghe dei vestiti hanno le ombre. Al di là dell’impressionante effetto visivo, Miku è stata riproposta nel 2013 con un nuovo e più curato design, l’ultimo potente software Vocaloid, nuove funzioni, una migliorata pronuncia sia dell’inglese, sia del giapponese. Miku ‘vive’ la sua carriera, evolvendosi e migliorando il proprio stile, ampliando il suo giro economico, presentando nuove canzoni per i fan, scritte dai fan.
Resta solo una domanda: una voce perfetta, computerizzata, incapace di stonare, amata come fosse umana. Una cantante personale alla portata di tutti? Sarebbe un po’ come avere una Christina Aguilera nel computer, disposta a cantare quello che componiamo noi, come lo vogliamo noi. La mia opinione è che Miku risponda al bisogno inespresso di sentirsi in grado di controllare la cultura mass-mediatica, prima che sia lei a controllare noi, di influenzarla, dando un tocco individuale e personale al prodotto che poi apparterrà al grande pubblico, noi compresi.
Video:
Hatsune Miku – The world is mine (live 2010):
Hatsune Miku – Rolling girl (live 2013):
Fonti:
Vocaloid official website , http://www.vocaloid.com/, consultato il 07-12-13
Dizionario di studi culturali , a cura di Michele Cometa, http://www.culturalstudies.it/dizionario, consultato il 07-12-13
Japanese Cybercultures , a cura di Mark McLellan e Nanette Gottlieb, Routledge, London, 2003
Alex Leavitt, The global cult(ure) of Hatsune Miku, in “In media res”, Annenberg School for Communication & Journalism, University of Southern California, http://mediacommons.futureofthebook.org/imr/2011/04/29/global-culture-hatsune-miku, 29-04-11, consultato il 07-12-13