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Censura e arte in Giappone: il dibattito giuridico contemporaneo

12 Ottobre 2015
Francesco Barbieri

Recentemente l’artista Igarashi Megumi è salita alla ribalta delle cronache mandando ai suoi finanziatori, come perk per la sua attività di crowdfunding, un file che consentiva di realizzare una stampa in 3D della propria vagina: per questo motivo è stata arrestata con l’accusa di distribuzione di materiale osceno. 

Successivamente è stata arrestata una seconda volta: questa volta, con l’accusa di avere esibito il suddetto prodotto finito in un sexy shop. Il caso è attualmente in discussione al tribunale distrettuale di Tokyo (http://www.japantimes.co.jp/tag/megumi-igarashi/).

Non si tratta però dell’unico caso del genere accaduto in tempi recenti. Nel settembre del 2014 l’opera With me del fotografo Takano Ryudai ha subito un pesante processo di censura: la serie di fotografie, già esibita più volte e con un discreto successo da Tokyo a Okinawa, durante il display a Nagoya è stata infatti oggetto di diatriba con la polizia locale. Questa, a seguito delle lamentele da parte di alcuni visitatori che avevano trovato indecenti gli scatti che raffiguravano nudi maschili frontali, ne ha ordinato la parziale rimozione. Come gesto di protesta, invece di procedere, l’artista stesso le ha parzialmente coperte appendendo dei drappi davanti alla metà inferiore, trasformando di fatto le opere in nuove creazioni che sottolineano con forza quanto sia pervasivo il controllo pubblico che si può esercitare sull’arte. Nel fare ciò, Takano ha quindi convertito la propria arte da forma di rappresentazione a forma di protesta.

(http://www.japantimes.co.jp/news/2014/09/04/national/artist-veils-photos-showing-genitalia-parry-police-censorship/#.VePanzIAeJQ.link

http://www.tokyoartbeat.com/tablog/entries.en/2015/02/with-me-an-interview-with-ryudai-takano.html )

Ricordiamo inoltre che già nel 1999 vi erano stati problemi relativi alla traduzione e alla distribuzione in Giappone di un volume dedicato all’opera di Robert Mapplethorpe (famoso fotografo americano che ritraeva prevalentemente studi di nudo, http://www.mapplethorpe.org/).

A partire da questi due casi di cronaca recente, si è riaperto in Giappone il dibattito sul concetto di osceno nel diritto e, per estensione, sul concetto di censura.

Approfittando di una trasferta nel Chūbu, ho incontrato Giorgio Fabio Colombo, Professore Associato presso l’Università di Nagoya, esperto di diritto giapponese e docente di diritto privato comparato (http://nagoya-u.academia.edu/GiorgioFabioColombo), che ha gentilmente acconsentito di incontrare NipPop per parlare insieme e spiegare ai nostri follower i più recenti sviluppi in materia di censura. Il presente contributo è il risultato di una lunga e interessantissima chiacchierata con il Prof. Colombo, fra l’assordante frinire delle cicale in un’afosa mattina di metà estate all’interno del campus dell’università di Nagoya.

Volendo semplificare, col termine di osceno si intende un’ostentazione scandalosa di ambiti riguardanti la sfera sessuale, come esibizione troppo spudorata di un nudo integrale (nel caso delle arti visive).

L’osservatore straniero, soprattutto europeo o americano, trova però bizzarro che una fotografia d’arte sia considerata oscena; allo stesso modo il mandare un file con l’immagine dei propri organi genitali, come nel caso di Igarashi Megumi, viene in quella circostanza specifica di fatto percepita come una provocazione artistica. Il fatto che venga trovata oscena una qualsiasi esibizione degli organi genitali, senza alcun riguardo al contesto artistico nel quale è invece inserita, e non sia considerato osceno, per esempio, tutto un certo tipo di pornografia violenta è una cosa che spesso incuriosisce gli stranieri che si informano sulla normativa giapponese in materia.

Ma dove inizia il dibattito vero sul concetto di osceno nell’arte? Dove si colloca il confine fra arte e oscenità?

Il caso che ha dato origine alla giurisprudenza giapponese in materia, ci spiega il Prof. Colombo, risale agli anni ’50 e riguarda la traduzione e la pubblicazione de L’amante di Lady Chatterley di D. H. Lawrence

(http://www.giunti.it/libri/narrativa/l-amante-di-lady-chatterley3/).

Siamo nel 1957 e a quel tempo erano sotto processo il traduttore e l’editore giapponese del romanzo, con l’accusa di avere tradotto e distribuito materiale osceno. Condannati in primo e secondo grado, gli imputati hanno portato il caso fino alla Corte Suprema giapponese. In realtà, anche in Europa il romanzo aveva subito vicissitudini simili, tanto che dopo la prima edizione del 1928, venne ritirato, per essere infine ripubblicato solo anni più tardi, subendo per altro pesanti censure nelle sue traduzioni.

La Corte Suprema giapponese ha dichiarato che L’amante di Lady Chatterley è effettivamente da considerarsi un testo che presenta caratteri di oscenità, ribadendo di fatto la colpevolezza degli imputati. Contestualmente la stessa corte si è espressa sulla definizione di osceno: è osceno ciò che è contrario, nocivo al normale sentimento di vergogna, che eccita e stimola desiderio sessuale e che va contro la buona morale per quanto riguarda il sesso (sentenza della corte suprema del 1957, caso 1953(A)No.1713).

Per questo motivo, alcuni giudici del caso, benché d’accordo con la decisione, facevano anche giustamente notare che, se pensiamo per esempio ad alcuni passi di opere autoctone, come il Kojiki, possiamo trovare scene classificabili come oscene al pari dei passi incriminati di Lawrence. La sostanziale differenza stava però nel fatto che le scene del Kojiki non sono state scritte con lo scopo di stimolare il desiderio.

Da un punto di vista strettamente legale vi è un comunque un problema, perché il divieto di pubblicare materiale osceno deve essere confrontato con l’articolo 21 della Costituzione giapponese, che sancisce chiaramente la libertà di espressione:

Articolo 21 Le libertà di riunione, di associazione, di parola e di stampa, e tutte le altre forme di espressione sono garantite. Non sarà mantenuta alcuna censura, né sarà violato il segreto di qualsiasi mezzo di comunicazione.

Il dibattito è tutt’ora molto acceso e si articola sostanzialmente attorno a due punti fondamentali: l’oscenità giapponese e l’oscenità straniera sono trattate in modo uguale di fronte alla legge giapponese, o vi è una diversità di trattamento dal punto di vista legale? Inoltre, le leggi relative alla distribuzione di materiale osceno sono per caso utilizzate in modo strumentale, per esempio per finalità politiche?

Il Giappone ha infatti una lunga tradizione di materiale che ai nostri occhi può apparire osceno (pensiamo per esempio alle stampe shunga, fino ad arrivare ai più recenti prodotti della fumettistica e dell’animazione), ma il caso è scoppiato allorquando si è cercato di distribuire un prodotto straniero. Perché dunque? In Giappone, ciò che è vietato dall’articolo 175 del codice penale è la distribuzione, la vendita e la mostra in pubblico di materiale osceno:

Articolo 175 Chiunque distribuisca, venda o mostri in pubblico un documento, immagine o qualsivoglia oggetto di natura oscena sarà punito con la reclusione fino a due anni, una multa fino a 2.500.000 yen o un’ammenda. Lo stesso si applica a chi possieda suddetto materiale con l'intenzione di venderlo.

Come ci spiega il Prof. Colombo, alcuni commentatori sostengono che per la suprema corte giapponese la vera componente oscena del romanzo L’amante di Lady Chatterley risiedesse non solo nelle scene scabrose, ma anche nel fatto che fra la protagonista e il suo amante Oliver Mellors ci fosse una sostanziale differenza di classe, associando di fatto la componente scandalosa a una sfida alla morale sociale, piuttosto che unicamente alla mera descrizione dei rapporti fisici fra i personaggi.

Lo stesso travagliato destino giudiziario è toccato in sorte, per esempio, anche al regista Nagisa Oshima, che, ben conoscendo le normative, aveva fatto montare e postprodurre il film Ai no koriida (“Ecco l’impero dei sensi” http://www.imdb.com/title/tt0074102/) in Francia. Il regista è stato infine prosciolto dalle accuse a lui imputate.

D’altra parte, come sottolinea infine il Prof. Colombo, queste leggi si prestano a essere usate con finalità politiche. Alcuni commentatori sostengono infatti che la polizia e la magistratura intervengano soltanto in caso in cui i soggetti coinvolti ne facciano un discorso ideologico. Nel caso di Igarashi Megumi, l’episodio parrebbe appunto esploso anche a causa del suo coinvolgimento come attivista per la libertà di espressione, una posizione ancora oggi considerata molto scomoda.

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