Una rubrica firmata da Davide Maggio per trasportarci nel magico mondo del folklore!
Non potevamo partire che da lui, dalla mascotte per eccellenza della serie: Jibanyan!
Benché il nome Jibanyan derivi da un portmonteau di jibakurei 地縛霊 (il nome giapponese dato agli spiriti che rimangono legati a un determinato luogo) e nyan (l'onomatopea giapponese per il miagolio dei gatti), lo Yo-kai è in realtà ispirato alla figura del nekomata, il gatto a due code.
Originariamente, il nome veniva trascritto 猫また, come dimostra ad esempio la raffigurazione presente all'interno dello Hyakkai Zukan di Sawaki Sūshi. Questo, però, ha portato a delle difficoltà nelle prime interpretazioni etimologiche: infatti, mentre neko veniva trascritto in kanji (猫), a indicare che si parlava proprio di un gatto, mata (また) veniva rappresentato soltanto foneticamente, utilizzando il sillabario hiragana.Solo successivamente si sono iniziate a trovare trascrizioni alternative, come 猫股 o 猫又 (entrambi leggibili come nekomata) e si è potuto avere la certezza che mata si riferisse alle code dello yōkai: 股 indica una biforcazione (ad esempio nel corso di un fiume o nei rami di un albero), mentre 又 letteralmente significa “di nuovo” e suggerisce in questo caso l'idea di una ripetizione, quella della coda appunto.Storicamente parlando, sebbene la figura del nekomata come è conosciuto adesso sia nata durante il periodo Edo, non si può ignorare il fatto che già Yoshida Kenkō ne parlava nel suo Tsurezugusa di epoca Kamakura, descrivendolo come una creatura feroce (senza però niente di soprannaturale) che attaccava gli umani per cibarsene.
Durante la metà del periodo Edo, invece, il Nekomata è diventato una creatura meno selvaggia: da allora si narra, infatti, che questi spiriti nascano da gatti anziani che hanno passato molto tempo all'interno della stessa casa. Al momento del mutamento in Yōkai la loro coda si dividerebbe in due e le creature otterrebbero poteri straordinari come il controllo del fuoco o la capacità di utilizzare il linguaggio umano.