Komasan e Komajirō sono sicuramente due dei personaggi più buffi e amati della serie: provenienti dalla provincia, il loro modo di approcciarsi alla vita metropolitana non può che farci morir dal ridere.
La loro origine è da ricondursi ai komainu 狛犬, i cosiddetti “cani coreani” che hanno il compito di sorvegliare molti jinja 神社 (templi shinto) del paese. I loro nomi infatti nascono dall’unione di koma 狛 (che indica la dinastia coreana dei Goryeo e per iperonimia anche la Corea) e dei suffissi san さん e jirō 次郎: il primo è un tipico suffisso apposto a molti sostantivi o nomi propri per indicare rispetto, mentre il secondo viene solitamente utilizzato per la composizione dei nomi dei secondogeniti di una famiglia (次 significa infatti “prossimo”, mentre 郎 significa “figlio”).
Benché le statue di questi due animali abbiano subìto varie trasformazioni negli anni (nate in India all’interno dei templi buddhisti, esportate prima in Cina sottoforma di leoni, poi in Corea e infine anche in Giappone dove sono gradualmente diventate cani), un tratto che è rimasto immutato è l’apertura delle loro bocche: la statua di sinistra, la agyō 阿形 (letteralmente “a forma di A”), viene raffigurata sempre con la bocca aperta; la ungyō 吽形 (“a forma di Un”), quella di destra, con la bocca chiusa. Insieme formano quindi la sillaba aun 阿吽, versione giapponese del sanscrito Om che indica l’inizio e la fine di ogni cosa in ambito buddhista.
Cugini e colleghi dei komainu sono gli shīsā シーサー, animali in pietra nativi delle isole Okinawa, e le kitsune di cui abbiamo parlato nello scorso articolo: anche loro come i komainu rivestono infatti il ruolo di protettori dei templi e delle divinità.