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Kyoto Chronicles: il castello di Nijō

14 Dicembre 2015
Guendalina Fanti

Ieri sera mio babbo mi ha detto: “Ma finora mi hai mandato solo foto di cose vecchie! Ma non c’è un centro, una parte moderna o una piazza in questa città?”

In effetti è vero. Da quando sono qui gli ho mandato solo foto di templi, giardini zen, alberi e laghetti. Come può immaginarsi la città?

In realtà tutte queste meraviglie della tradizione giapponese sono ben inserite in un contesto urbano moderno. Qui a Kyoto, nella quotidianità, percepisco la dimensione tranquilla e abitudinaria di questa antica capitale ormai convertita in una metropoli. Vedo gli autobus, i taxi, i palazzi, le case, gli uffici, le scuole. Ma non mi accorgo dei rumori, non mi accorgo di quante gente c’è in realtà.

Le cose cambiano un po’ appena mi sposto verso il centro, di solito il sabato o la domenica: vedo le strade piene di gente, negozi, ristoranti con la fila fuori, gruppi di giovani che ridacchiano e coppiette che si tengono per mano. Il tutto con una musichetta rilassante in sottofondo. È quando sono a piedi, in mezzo a tutti (e alla loro stessa altezza!!) che mi accorgo di quanto in realtà sia una vera e propria grande, popolosa città moderna.

Ma di solito volo in bicicletta. Tutte le sere sfreccio tra i marciapiedi di Kawaramachi, incrocio Shijō, Sanjō e Imadegawa e mi dirigo verso nord per tornare a casa. Un po’ ansimando per la salita. Quando però la mattina corro verso sud per andare a scuola scivolo veloce perché è in discesa: tutti i giorni la stessa strada e tutti i giorni saluto il Catello di Nijō, che mi dice: “Forza, sei a metà!”

Ed è proprio di Nijōjō che voglio parlarvi: cosa vi viene in mente se dico Castello? Mura alte e smerlate, una principessa rinchiusa in una torre? O un re con una corona d’oro e diamanti sulla testa?

Niente di tutto ciò. Siamo in Giappone e così come ho dovuto spiegare a mio babbo che qui non esistono le piazze, allo stesso modo gli dovrò dire che anche i castelli sono diversi. Ma soprattutto all’inizio qui non ci abitava nessun re.

Iniziato nel 1603, il suo scopo era quello di ospitare lo shōgun, cioè il capo militare. In questo momento storico, infatti, si assiste all’ascesa al potere della casata dei Tokugawa: veri e propri governatori politici del paese per i successivi 250 anni, i quali estesero il loro controllo su tutto il paese dividendo i terreni in feudi e attuando importanti riforme economiche e religiose. Un lungo periodo di prosperità per il Paese! La capitale diventa Edo (l’attuale Tokyo), ma lo shōgun deve avere una dimora all’altezza della suo ruolo anche nella bella Kyoto, no?!

Quindi eccola qua! Grandi portoni e piccoli ponti designano le diverse aree: una più interna e una più esterna, circondata da acqua e mura non tanto alte, ma molto spesse e inclinate. Qui si trova il primo complesso di edifici e si può entrare (togliendosi le scarpe e rispettando il divieto di scattare fotografie) e camminare attraverso i corridoi: manichini dai lunghi capelli neri vestiti di abiti colorati e polvere vi illustreranno come si svolgevano le cerimonie alla presenza dello shōgun. Solo un paggio vicino a lui, poi i vassalli (daimyō) inginocchiati in fila secondo la loro importanza e guardie nascoste dietro a porte segrete pronte a difendere la sua vita. Ma non a tutti era permesso vedere il capo militare: altre piccole stanze infatti erano adibite all’accoglienza di coloro che non potevano entrare in contatto diretto con lo shōgun.

Il pavimento scricchiolante (il sistema antifurto dell’epoca) conduce a zig zag attraverso il palazzo. Pannelli in carta di riso da un lato e stanza buie e ampie dall’altro. Tutto è in legno. I soffitti sono decorati con motivi floreali, i pannelli sono dorati e raffigurano animali e piante disegnati con tratti finissimi.

Il percorso è abbastanza lungo, così ho il tempo di perdermi nei miei pensieri: inizia il viaggio mentale! Donne sfilano in kimono per questi corridoi, capi militari e politici si siedono sui tatami e decidono le sorti del paese. Riesco a immaginare il via vai di gente, l’aprirsi e il chiudersi delle porte scorrevoli, il cigolio dei passi e le persone inginocchiate a terra che si muovono con gesti compostissimi e gli abiti perfettamente stesi intorno a sé.

Uscita: mi rimetto le scarpe e proseguo per il giardino. Nel laghetto si riflettono piante e sassi, e siccome è dicembre hanno vestito le piante più delicate per proteggerle dal freddo. Continuo sulla ghiaia, passo un ponte e salgo in cima a una gradinata che offre un bellissimo panorama sul castello, i suoi alberi e le montagne in lontananza.

Quest’altro complesso di edifici non è aperto al pubblico, ma la visita continua attraverso il grande giardino popolato da altrettante piante e tantissimi uccellini. Molti sono ciliegi, quindi dovrò aspettare qualche mese ancora per vederli fiorire!

Infine un mercatino di prodotti tipici precede il piccolo museo che custodisce importanti pannelli restaurati. Mi offrono del tè verde, un dolcetto (rifiuto il sake solo perché è ancora troppo presto!) ed entro nel museo. La stanza è piccola, ma i pannelli sono su tre lati, ben illuminati e rendono bene l’idea di come doveva essere una stanza a quel tempo.

Ah! Come è diverso dai nostri castelli! I nostri muri affrescati, le colonne e i soffitti alti. Qui tutto è diverso. Ma incantevole. Guardo per bene i tratti dei disegni sopra ai pannelli: leggerissimi. Bellissimi!

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