‘Dovunque andiamo, siamo tutti connessi’ (serial experiment lain, 1998)
Pensieri, parole, visioni, fragili come i più sottili e slanciati dei tacchi a spillo. Una rubrica firmata M.me Red.
La nascita e la rapida diffusione dei telefoni cellulari dotati di connessione Internet, sono alla base del successo del più rivoluzionario fra i recenti fenomeni letterari, il keitai shōsetsu, il “romanzo da cellulare”, scritto e letto sotto forma di un flusso di messaggi di testo attraverso i telefoni mobili di nuova generazione. Alla base ci sono da un lato l’abitudine ormai diffusa soprattutto fra i giovani a questo tipo di comunicazione, dall’altro un software lanciato verso la metà degli anni Novanta da parte dal portale Mahō no iRando.
Ciò che lo distingueva dagli altri, numerosi Social Networking Service, era la possibilità offerta agli utenti di costruire home page personalizzate per la pubblicazione di racconti. Visto il successo, il programma venne ulteriormente sviluppato per consentire di caricare o scaricare i testi anche attraverso il proprio keitai (cellulare), al fine di velocizzare e agevolare il feedback.
I media hanno iniziato a interessarsi a questo nuovo tipo di narrativa nel 2007, quando a sorpresa i romanzi da cellulare scalano i primi posti nella classifica dei dieci più venduti dell’anno, ma il primo esempio risale al 2000. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, ricordiamo brevemente che nel novembre 2006, Mahō no iRando registrava 5 milioni di iscritti per 1 miliardo 450 milioni di accessi al mese; nel giugno 2008 gli iscritti erano 6 milioni per 3 miliardi 500 milioni di accessi. Gli autori e i fruitori di keitai shōsetsu rientrano nella fascia di età dei cosiddetti young adults, per lo più donne fra i 15 e i 30 anni, studentesse, lavoratrici singles, giovani mogli senza figli. Per esempio Mone, autrice del bestseller Eternal Dream (2007), aveva ventuno anni e aveva appena lasciato l’università per sposarsi quando inizia a scrivere il suo primo romanzo da cellulare, in forma di diario. Altri lavori entrati nelle classifiche dei più venduti degli ultimi anni sono nati dalla penna – forse dovremmo dire dalle dita – di studentesse di scuola superiore, storie di amore e morte, passione e tragedia. Mika, l’autrice del celebre Koizora (2005), afferma di avere scritto il romanzo subito dopo il diploma: la protagonista porta il suo stesso nome, e la storia è presentata come autobiografica sebbene molti degli eventi narrati suscitino incredulità.
Di fatto, quasi tutti i keitai shōsetsu si propongono come racconti di vita vissuta, nonostante la complessità delle trame sia un evidente indice di fiction. Non solo, ma in molti casi la scrittura si trasforma in una via di fuga da una quotidianità opprimente o forse solo noiosa, oltre che in uno strumento di socializzazione, vista lo continua interazione fra l’autore e la comunità dei lettori, che attraverso i feedback giocano un ruolo fondamentale nella costruzione testuale. Gli autori spesso si firmano con uno pseudonimo (Mone, Mei, Mika) e talvolta scelgono di rimanere nell’anonimato, in nome di un presunto pudore che ha l’effetto di avallare l’autenticità del testo, spesso incentrato su vicende scabrose – amori difficili, violenza, stupri, gravidanze indesiderate, aborti, suicidi – che coinvolgono ragazzi giovanissimi e nella maggior parte dei casi si concludono tragicamente. In un certo senso questi racconti del lato oscuro della soglia fra adolescenza ed età adulta, possono essere letti come un nuovo tipo di romanzo di formazione, dove i protagonisti – o meglio le protagoniste – attraverso la scoperta e la successiva, drammatica perdita del vero amore conquistano una dolente maturità.
Ma a suscitare interesse è soprattutto lo stile di scrittura: digitati sulla tastiera dei cellulari, questi romanzi si costruiscono attraverso un susseguirsi di dialoghi, periodi spezzati, incompiuti, informali, che spesso concedono ampio spazio a espressioni gergali tipiche dello slang giovanile; frasi brevi, mai descrittive, che illuminano situazioni più che sfumature, stati d’animo, sentimenti; frammenti conclusi da una manciata di puntini di sospensione, un invito al lettore a interpretare reazioni e pensieri dei personaggi. E poi ci sono gli spazi bianchi, sequenze di a capo, a suggerire un momento di incertezza, di indecisione del protagonista, o più semplicemente un gap temporale, una falla nella narrazione. Uno stile fortemente connotato dal medium, che per sua stessa natura stimola il ricorso ad abbreviazioni, emoticons, linguaggi fino a ieri esclusi dalla pagina letteraria.
Inoltre questo nuovo tipo di romanzo ha avuto un forte impatto sugli ingranaggi del mondo editoriale: non solo i lettori accedono al testo in tempo reale, quando ancora è un work in progress, ma hanno anche la possibilità di commentarlo con suggerimenti, critiche, apprezzamenti, riferimenti alla propria personale esperienza. E tutto questo precede la pubblicazione tradizionale in volume, che anzi viene trascinata dal successo online: il cartaceo viene visto infatti come una sorta di oggetto da collezione, testimonianza e frammento di un’esperienza condivisa all’interno di una delle tante comunità virtuali. Come un altro caso letterario degli ultimi anni, Densha otoko (Train man, 2004). Il libro, pubblicato in volume dalla casa editrice Shinchōsha, a nome del fantomatico Nakano Hitori (lett. “uno di noi”), è basato infatti su un lunghissimo thread ospitato su un forum: il 14 marzo 2004, alle 21:55, un ragazzo posta un messaggio, racconta della bellissima Hermès, che ha incontrato in metropolitana, e gli ha rubato il cuore. Impacciato e avvezzo alla solitudine, chiede ai suoi amici virtuali di aiutarlo a ritrovare la ragazza dei suoi sogni, e soprattutto a stabilire un contatto con lei. Si calcola che un milione di ragazzi abbiano seguito le vicissitudini romantiche di Train Man (questo il nickname del ragazzo), dandogli consigli su come riuscire a ottenere un appuntamento con Hermès e su come conquistarla.
Il protagonista è un otaku, nel senso che appartiene alla categoria degli assidui frequentatori di Akihabara – la famosa electric city di Tokyo – appassionati cultori di internet, anime, manga e videogames, ma il tratto più interessante del romanzo è il linguaggio che utilizza: la storia è raccontata interamente attraverso lo scambio di messaggi, che vengono riproposti anche a livello grafico così come si presentano nella chat, lasciando intatti simboli, abbreviazioni, emoticon. Il libro non solo ha avuto un incredibile successo – quattrocentocinquantamila copie vendute in meno di un mese – ma è stato oggetto di due trasposizioni cinematografiche, un film nel 2005 e un dorama nel 2006; inoltre ne sono stati tratti cinque diversi manga. Un perfetto esempio della tendenza affermatasi negli ultimi anni alla trasposizione dello stesso soggetto in medium e linguaggi diversi: dal romanzo, al film, al dorama, al manga, all’anime, al videogames. E viceversa. Perché il gioco può avere inizio ovunque.
(da Roberta Novielli – Paola Scrolavezza, Lo schermo scritto. Letteratura e cinema in Giappone, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia 2012)