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Francesca Scotti racconta Kusama Yayoi

18 Novembre 2014
Francesca Scotti


Continuare a dedicarmi all’arte ha costituito, per me, il solo modo di trovare sollievo nel corso della mia battaglia contro queste sofferenze, ansie e paure.

Seguendo il filo dell’arte sono riuscita a restare in vita, se non lo avessi fatto sicuramente avrei finito per suicidarmi molto prima, incapace di sopportare oltre il mondo attorno a me”.

Kusama Yayoi ha i capelli di un rosso sgargiante, le linee sottili sul suo viso raccontano oltre ottan’anni di energia vitale, creatività, poesia. Ma anche di demoni, allucinazioni, baratri.
Nata a Matsumoto, nel Nagano-ken nel 1929, oggi è una delle artiste più importanti al mondo. Eternity of Eternal Eternity è il titolo della mostra che, dopo essere partita da Osaka e aver attraversato parte del Giappone, nel mese di settembre 2014 è approdata a Nagoya.
Per raggiungere lo spazio espositivo, che si trova all’ultimo piano uno dei più grandi centri commerciali della città, sono salita su un ascensore: non grande e di cristallo come quello raccontato da Roald Dahl ma diretto in un universo ugualmente favoloso.
La mostra inizia con la serie Love Forever, cinquanta disegni originariamente dipinti con pennarelli neri su tela, questa volta proposti come serigrafie 130.3 x 162 cm o 162 x 130.3. Superfici di grandi dimensioni sulle quali proliferano linee, punti, occhi, ciglia, bocche, volti; ripetizione di dettagli, similitudini e variazioni. After the party, A flowing river, Morning is here, Waves, I like Myself sono alcuni dei titoli, alcune delle rappresentazioni dello spirito dell’artista che da sempre passeggia sul filo sottile che separa l’esistenza dalla morte: spirito intriso d’amore, amore per i giorni in cui Kusama Yayoi si sente viva.
Dall’immediatezza del pennarello nero sul foglio bianco si passa ai colori stravaganti di My Eternal Soul, una serie di oltre centoquaranta pezzi dei quali ne sono esposti quarantasette. Le tele dipinte sono ampie, il tratto è denso e io percepisco qualcosa di atavico; assisto alla rappresentazione di un ciclo, quello eterno che riguarda la vita, la morte e la nascita. Cura per i dettagli, tecnica disciplinata e fondi dorati sanno di Giappone ma tutto il resto è solo e soltanto Kusama. Il rosa e il rosso insieme mi ricordano il seme della carne, il blu il fiore del cielo: A poem in my heart, Ripples, Infinite future. E poi Compulsion e Obliteration of life, due concetti fondamentali nel percorso artistico della pittrice:
“Lavoro, lavoro e ancora lavoro finchè non resto seppellita nel processo. E’ ciò che chiamo obliterazione.”

All’interno della stanza-istallazione Gleaming Lights of the Souls “non si può restare molto tempo” mi spiega l’addetta del museo che presidia la porta, e finchè non mi trovo riflessa infinite volte insieme a luci multicolori non capisco perche dovrei fermarmi a lungo. Sono annullata e allo stesso tempo eterna: vorrei non dovermi muovere più.
E’ terribile e stupefacente l’effetto – o meglio la pressione – che l’arte di Kusama Yayoi esercita sui sensi, sulla percezione di se stessi, e se stessi nel mondo. Lei ha prercorso i tempi, è andata oltre, ed è arrivata dove le persone comuni non sono mai state. Ha dipinto la voce delle violette e reti infinite di punti, ha portato in scena l’arte psicosomatica di cibo e sesso e ha ricoperto il suo corpo di pois, è scappata a New York e ha ritrovato il Giappone.
Kusama Yayoi non è solo una moderna Alice, Kusama Yayoi è tutta Wonderland.

Yayoi Kusama, Eternity of Eternal Eternity
草間 彌生 「永遠の永遠の永遠」
Nagoya (Japan), Matsuzakaya Museum, 13 settembre – 13 ottobre 2014


Galleria di Francesca Scotti ( per gentile concessione dell'autrice)
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