Di recente si è aperta una diatriba tra il regista Hirokazu Kore-eda e il governo giapponese, che lo accusa di essere “contro il Giappone” per via di una sua forte presa di posizione.
Negli ultimi mesi diversi film e progetti di ricerca giapponesi sono stati oggetto di un’aspra critica, accusati di avere preso posizione “contro il Giappone” per aver tentato di dissociarsi dalla linea di pensiero del governo. Uno dei bersagli più esposti è Hirokazu Kore-eda, regista (qui vi avevamo parlato del suo Our Little Sister) vincitore della Palma D’Oro allo scorso Festival di Cannes con il film Un affare di famiglia (Shoplifters). Kore-eda si è infatti attirato le critiche di Yoshimasa Hayashi, ministro giapponese dell'istruzione, della cultura, dello sport, della scienza e della tecnologia, per aver rifiutato l’invito a celebrare al ministero il successo del suo film al festival francese. Il regista, che ha affermato di aver rifiutato altre proposte simili da parte di figure politiche, in un messaggio pubblicato sul suo sito web il 7 giugno scorso scrive che rifiutare l’invito era “la cosa giusta da fare”:
«Se ripenso al passato, quando l'industria cinematografica era strettamente legata all’interesse nazionale e alla politica, ritengo che mantenere una chiara distanza dall'autorità governativa sia la cosa giusta da fare».
La sua dichiarazione ha provocato ulteriori attacchi contro di lui, questa volta con l’accusa di essere stato tanto irrispettoso pur avendo accettato sovvenzioni da parte dell’Agenzia per gli affari culturali per realizzare il suo film, e di essersi messo, in definitiva, “contro il Giappone”. Esemplare la risposta del regista, che controbatte:
«Se pensi alla cultura come a qualcosa che trascende lo Stato, allora capisci che le sovvenzioni non sempre coincidono con i suoi interessi. Rendere il mondo più ricco non sempre significa arricchire il Giappone. Ma suppongo che questo mio modo di pensare attiri facilmente l’accusa di essere contro il mio Paese».
Il film Un affare di famiglia racconta la storia di un gruppo di persone in difficoltà, che trovano nel furto la via per la sopravvivenza, sviluppando lungo il percorso profondi legami tra di loro. Kore-eda ha affermato, forse in modo un po’ estremo, di vedere una somiglianza tra il trattamento riservato ai protagonisti nel film, rifiutati dalla società come criminali, e le accuse mosse nei confronti suoi e della sua opera.
È evidente come gli alti funzionari del governo – nello specifico il segretario di Gabinetto Yoshihide Suga e il Primo Ministro Shinzō Abe – e il regista non condividano la stessa concezione dell’industria cinematografica, con i primi che la considerano nella mera funzione della “diffusione di contenuti giapponesi all’estero” e il secondo che la ritiene, e legittimamente, una forma d’arte in piena regola. Kore-eda teme che in futuro queste dinamiche porteranno alla realizzazione di soli film che promuovano le politiche statali.
L’atmosfera nell’ambiente politico giapponese è effettivamente preoccupante, con un ritorno a espressioni forti come “servire la patria” che non si sentivano da lungo tempo.