Nata dalla collaborazione tra Yuji Horii, Akira Toriyama e Koichi Sugiyama, Dragon Quest è indubbiamente una delle saghe più amate da tutti gli appassionati di RPG, e questo capitolo, pubblicato per Famicom dalla allora Enix nel 1986, è quello che ha dato il via al fenomeno.
Nei 29 anni trascorsi dalla prima pubblicazione, Dragon Quest I è stato ri-editato numerose volte (ultimo fra tutti il remake per Android), ma tra le nostre mani è capitata la versione giapponese per Game Boy Color contenuta nel double release Dragon Quest I · II (Doragon Kuesuto Wan Tsū ドラゴンクエストⅠ・Ⅱ).
La trama del gioco è molto semplice: l’eroe, discendente del leggendario Roto, viene incaricato dal sovrano del regno di salvare sua figlia, la principessa Lola. Questa, infatti, è stata rapita da una schiera di demoni e imprigionata in una caverna lontana. Ma non è tutto: il Signore dei Draghi ha sottratto al sovrano la Sfera di Luce, condannando così il regno a vivere nell’oscurità.
Dopo un breve prologo (che potete trovare trascritto in appendice a questo articolo), l’eroe parte quindi all’esplorazione della regione di Alefgard. Sin dal primissimo inizio del gioco, infatti, la mappa appare completamente visitabile, unico limite la forza dei mostri che incontriamo sul nostro cammino e che potremmo non essere in grado di sconfiggere. Questo porta il gioco ad avere un avvio particolarmente lento: per quanto l’introduzione non si perda troppo in chiacchiere, a differenza di molti altri giochi dello stesso genere non si ha alcuna indicazione su dove iniziare di preciso le nostre ricerche. Si renderà allora necessario parlare con ogni singolo personaggio incontrato durante l’avventura, ma anche in questo caso si riceveranno informazioni che raramente si discostano dai toponimi o dai superflui riferimenti a una trama laterale. A tutto ciò si aggiunge uno degli elementi più fastidiosi del gioco: ogni volta che si viene sconfitti si dovrà ripartire dal castello di Tatengel, dove il Re rimetterà in sesto il nostro personaggio.
Una nota positiva rimane però senz’altro l’alta personalizzazione della trama: la completa apertura della mappa consente infatti di poter procedere come meglio crediamo all’interno della narrazione, con conseguenze che porteranno perfino a finali di gioco alternativi.
Possiamo affermare quindi che, benché questo primo capitolo sia lungi dall’eguagliare l’esperienza di gioco dei suoi successori, elementi come una trama che risente direttamente delle scelte del giocatore e la caratterizzazione dei personaggi creati da Toriyama non faticano a farci comprendere come questa saga sia rimasta per quasi tre decenni una delle più amate.