A Tōkyō è nato lo yami kawaii, una subcultura giapponese che unisce tonalità pastello ai disturbi della psiche.
Yami kawaii (病みかわいい) è il nome di una nuova subcultura giapponese che sta prendendo piede nel quartiere di Harajuku a Tōkyō, una moda fatta di colori pastello ed elementi che richiamano gli ospedali, perché è soprattutto un mezzo per cercare di rompere il silenzio che ancora oggi avvolge i temi della depressione e altre malattie mentali in tutto il Giappone.
Una bellezza infantile e malsana insieme: yami kawaii si scrive infatti con lo stesso kanji di malattia/dolore (病), che si traduce nella scelta di accessori quali siringhe usate come ciondoli, bende sui polsi, e frasi inquietanti e asociali come I want to die/I kill you. A questi tratti vengono abbinate alcune caratteristiche dello yume kawaii, che richiama invece le atmosfere del sogno (ovvero yume) con colori tenui e l’abbondanza di fiocchi e merletti. Questo accostamento bizzarro è ciò che attrae di questo trend, una battaglia contro lo stereotipo che associa abiti ed emozioni, escludendo a prescindere che chiunque si vesta di rosa possa ricorrere all’autolesionismo. Con un numero sempre maggiore di artisti e icone che fanno proprio questo stile, la moda sembra davvero avere una possibilità di rompere questi tabù.
Menhera-chan
Nel secondo episodio di Style Out There, programma prodotto da Refinery29 e incentrato sulle subculture della moda di tutto il mondo, conosciamo la mascotte non ufficiale dello yami kawaii, tema centrale della puntata: Menhera-chan (clicca qui per leggere il manga in inglese!). Menhera, dal termine giapponese abbreviazione dell’inglese mental health, salute mentale, è il nome della protagonista del manga di Bisuko Ezaki (@5623v su instagram): una ragazza dai poteri magici, che al bisogno, tagliandosi i polsi, si trasforma in una guerriera pronta a sconfiggere il male del mondo, una forza che sfrutta i sentimenti negativi delle persone per trasformarli in bulli e mostri. Inizialmente ideato dall’autore nel 2004 come una forma di terapia per sfuggire alla realtà di abusi da parte dei nonni, e tentare di abbellire quei sentimenti negativi così mal visti dalla società nipponica, il manga è adesso diventato un vero e proprio business.
A partire dal 2015, ogni anno si tiene la Menhera Exhibit, una mostra d’arte per permettere a giovani artisti come Bisuko di mostrare e vendere vestiti e oggetti dedicati a questa moda.
Diffusione dello yami kawaii
Questa nuovo stile della subcultura giapponese non riguarda però solo i vestiti, anzi, ha esteso il suo campo di influenza perfino alla musica: troviamo così cantanti all’apparenza deboli, pallide, insicure, come fragili bambole che stanno vivendo un tumulto interiore sullo sfondo di atmosfere lugubri.
Ecco un esempio di gruppo idol con questo stile, le Zenbu kimi no sei da:
Il vero significato del kawaii
Nel secondo episodio di Style Out There, intitolato Harajuku’s Dark Turn, incontriamo anche Hanayo, una giovane modella giapponese squalificata da una competizione a livello mondiale, poiché aveva rotto i tabù e rivelato ai media i suoi passati tentativi di suicidio. La seguiamo in un neko cafè e nel suo guardaroba, la vediamo circondarsi di morbidi gatti e abiti pastello, e la ascoltiamo un po’ inquieti, mentre ci racconta ridendo la sua storia.
Si veste in modo kawaii per sentirsi carina, per farsi forza, ma non ha intenzione di nascondere chi è: indossa orgogliosamente la scritta sex suicide baby sui vestiti, come se fosse fatta apposta per lei.
Come spiega infatti Joshua Dale, esperto di cultura kawaii, questa parola ha un significato più profondo di quel che comunemente si crede: letteralmente indica infatti la capacità di essere amati, una richiesta agli altri, e quindi un desiderio di guarire. In questo modo, lo yami kawaii riesce quindi a trasmettere, tramite l’abbigliamento, la richiesta di aiuto che ai giovani giapponesi è ancora molto difficile esprimere a parole.
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