A fine 2011 venni contattato da un mio caro amico, Jorge, il quale mi annunciò che a breve si sarebbe sposato, e che avrebbe avuto molto piacere ad avermi al suo matrimonio a Tokyo.
Prima non mi era mai capitato di pensare al Giappone come un luogo da visitare… non era esattamente fra le mie mete principali. Certo, come tanti miei coetanei, ero cresciuto guardando i cartoni animati giapponesi, ma non avevo mai guardato al Giappone come una meta “speciale” da visitare.
Tuttavia, un’occasione del genere mi galvanizzò: un conto è vedere un paese straniero come il Giappone, ma avere la possibilità di assistere ad un autentico matrimonio giapponese? Mi organizzai con i miei datori di lavoro, per cui riuscii a prendermi ben 3 settimane di ferie: in questa maniera avrei potuto vedere alcuni amici giapponesi, girare con Jorge e avere il mio tempo per visitare un paese agli antipodi rispetto l’Italia.
Già prima della partenza posi una serie di domande al mio amico, a sua madre e ad alcuni amici giapponesi: dovrò noleggiare un kimono? Che rito si userà? Che regalo si usa fare per un matrimonio giapponese? L’idea del kimono fece ridere i miei amici: in realtà gli invitati vanno vestiti all’occidentale, con un completo e cravatta. Per il regalo invece non mi riuscirono a rispondere subito su due piedi. Mi preparai quindi per dargli dei soldi, ma inoltre misi in valigia un bel pezzo di parmigiano (di cui lui era ghiotto).
Arrivai quindi a Tokyo a fine marzo: in Giappone è il periodo in cui stanno per fiorire i ciliegi ed è sicuramente una delle stagioni preferite in cui sposarsi. Insieme ad alcuni amici giapponesi, Kazu e Lue, feci un bel giro dell’ovest (Kanazawa, Shirakawa-go e Takayama), ed inoltre mi diedero la tipica “busta” dei matrimonio giapponese.
Una busta per i matrimoni è composta da quattro parti: un sottile foglio bianco (su cui si scrive il nome dell’invitato), un sottilissimo filo annodato che chiude la busta esterna, e una busta interna in cui si inseriscono i soldi. Bisogna quindi avere molta cura nello “smontare” la busta, perché poi deve essere ricomposta esattamente come la si è ricevuta (in particolare, il nodo è un simbolo di buona sorte). Per far ciò, “documentai” tutta l’apertura e richiusura della busta con delle foto, in modo da non sbagliare!
Il Giappone è una realtà che unisce modernità (grattacieli enormi, metropolitana fantascientifica) ad usi e costumi più tradizionali. Per cui, anche se il matrimonio era tradizionale shintoista, la sera prima del matrimonio Jorge organizzò un hangover party con alcuni suoi amici australiani, giapponesi e colombiani, e me: korean barbecue all-you-can-eat e drink a Ikebukuro, e discoteca fino ad un’ora imprecisa a Roppongi. Come lui sia riuscito ad essere leggiadro come una rosa al matrimonio resta tuttora un mistero per me. Alcuni ragazzi australiani non si svegliarono in tempo. Per fortuna non fu questo il mio caso, anzi: riuscii a svegliarmi e a fare un giro a piedi fino al palazzo imperiale, per fare delle foto ai ciliegi ormai pienamente in fiore, prima di dirigermi verso il luogo del matrimonio.
Una delle caratteristiche meravigliose di Tokyo è la presenza di tanti piccoli spazi, giardini e templi, nascosti fra gli enormi grattacieli. Il luogo del matrimonio era un caso del genere: un piccolo giardino, con i suoi ciliegi in fiore, attraversato da un ruscello con delle tartarughe sulle rocce che si godono un sole ancora tiepido. All’interno di questo giardino si trovava la reception in cui gli ospiti avrebbero dovuto aspettare, e dove avrebbero potuto consegnare i loro regali.
La cerimonia si svolse nella seguente maniera: per prima cosa gli sposi e le loro famiglie si incontrarono privatamente con i sacerdoti, per una sorta di discussione/presentazione rituale. Dopo di che, gli ospiti vennero fatti attendere fuori nel giardino, mentre da un lato opposto venne formata la prima parte del corteo: gli sposi (lui vestito con uno splendido kimono nero e con in mano il ventaglio, lei con un complicato kimono bianco e coperto), i loro genitori e i sacerdoti.
Questo corteo passò quindi a raccogliere gli invitati, formando una lunga coda di persone che si accomodò nel santuario shintoista. All’interno gli sposi e i genitori si sedettero al centro, mentre gli ospiti si accomodarono attorno, come in un teatro greco. Della cerimonia purtroppo non so raccontare molto (per quanto mi fossi seduto tatticamente vicino agli amici giapponesi, non erano stati in grado di spiegarmi i riti e quanto fosse tradizionale). Fra le particolarità, ricordo bene che gli sposi e i genitori si scambiarono del sake da bere (versato 3 volte), e che fu una cerimonia brevissima! Mezz’ora dopo eravamo tutti in piedi, e passando per un altro corridoio, mi resi conto che il tempio era direttamente collegato alla sala del ricevimento e alla sala della cena! Tutta un’altra mentalità rispetto ad un matrimonio italiano.
La cena non fu tradizionale, ma francese, visto l’alto numero di ospiti stranieri. Ciò però non precluse altre tradizioni, quale l’arrivo degli sposi sotto un ombrello, e la rottura di una botte di sake da parte delle famiglie.
La sposa in particolare fece degli enormi sforzi: dopo essersi tolta il copricapo, ed essere andata a salutare tutti gli ospiti, scomparve nuovamente per tornare con kimono e acconciatura diversi!
Finita la cena, iniziò la festa per i giovani! Ci trasferimmo tutti in una discoteca prenotata, a ballare fino a tarda notte. Nuovamente, la sposa si cambiò d’abito, ma in questo nuovo cambio era decisamente a suo agio. E si arrivò anche qui a tarda notte a bere in un locale dalle parti di Shibuya.
Fu un matrimonio fantastico: perché era di un caro amico ma anche per la cerimonia e per i festeggiamenti. Ne riservo un ricordo così felice e vivo che è anche uno dei motivi per cui non ho un impulso forte per tornare a visitare il Giappone: difficilmente un normale viaggio da turista in Giappone mi potrebbe dare questo genere di emozioni.