Peluche, portachiavi, stickers e gadget di vario genere colorano le stanze, i quaderni e le borsette di un incredibile numero di ragazze giapponesi. Nulla di cui meravigliarsi se si parla del paese in cui è nato il concetto di “kawaii”. Ma da qualche anno, al posto del tenero musetto giallo di Pikatchu o dei fiocchetti rosa di Hello Kitty, è comune notare strane e mostruose figure simili a funghi antropomorfi o addirittura bulbi oculari, penzolare dai cellulari e dagli zaini di scolarette in uniforme e non solo.
È il sempre più dilagante fenomeno del “creepy cute”, ovvero l’unione tra qualcosa di carino e il suo contrario, il disgustoso, il violento, resa in forma di gadget collezionabili. Ma questa nuova moda risulta essere ben più articolata di quel che sembra, diversificandosi nei cosiddetti kimo-kawaii e guro-kawaii. Il primo, diffusosi già dopo il 2000, nasce dall’unione delle espressioni giapponesi kimochi warui, ovvero ripugnante, e appunto kawaii, grazioso. Ne è un esempio di quegli anni il celebre video Dancing Baby, un neonato virtuale che danza in modo innaturale e inquietante, usato, tra gli altri, dalla nota azienda automobilistica Toyota per le sue pubblicità.
Esempi più recenti e popolari sono i personaggi del famoso libro illustrato Kobito-Zukan, creato dalla fervida immaginazione di Toshitaka Nabata. Secondo l’autore, nei boschi abitano bizzarre creature vegetali dai forti tratti antropomorfi e responsabili di quelle azioni che “ci riempiono di mistero. Sono quelli che fanno frusciare l’erba quando non c'è vento e che piegano i bordi della carta igienica in triangoli”, per citare le sue parole poetiche. Nonostante ciò, sono proprio gli sguardi assenti di questi piccoli individui e la loro pelle coriacea a innescare un’inspiegabile reazione di disgusto tale da farli apparire carini e desiderabili ai giovani consumatori.
In quest’ampia categoria il mondo arboreo è quello di gran lunga più gettonato, come testimonia anche il minuscolo Nameko, viscido funghetto protagonista di diversi videogame e applicazioni per cellulare, diffusosi poi come gadget per macchinette automatiche.
La mania del kimo-kawaii non ha risparmiato nemmeno il fenomeno delle mascotte giapponesi, presenti in ogni città e prefettura. Se si programma una gita a Nara, infatti, oltre ai caratteristici cervi, si può osservare un’ulteriore creatura munita di lunghe corna, l’adorabile Sento-kun, dalle sembianze di un giovane buddha. Un improponibile mix di animali marini compone invece la mascotte di Oshamanbe, in Hokkaidō.
Con il termine guro-kawaii (guro inteso come abbreviazione di gurotesuku, ovvero grottesco) si indicano invece personaggi e accessori che associano il concetto di carino a quello di grottesco, sanguinolento. Gloomy Bear, ad esempio, non è altro che un comune orsetto simile a tanti nel panorama dei gadget giapponesi ispirati agli emoji di Line, che si diletta nello scuoiare e aggredire essere umani, presentandosi però sempre tenero e innocente.
Nel colorito quartiere di Harajuku, a Tokyo, il guro-kawaii si trasforma in una vera e propria moda in termini di vestiario, acconciature e ovviamente accessori e gioielli. I più apprezzati sono i capi d’abbigliamento raffiguranti bulbi oculari, ossa, organi o semplicemente schizzi di sangue. Per una ragazza minuta e dal viso candido, indossare qualcosa di simile, sembrerebbe garantirle un aumento del proprio livello di carineria.
Anche la musica pop si è adeguata alle richieste di questo tipo di mercato. Tra tutte, spicca il lavoro della nota cantante Kyary Pamyu Pamyu, innamorata dello stile grottesco degli abiti che indossa in molti video musicali e sempre contraddistinta da un make-up decisamente originale, in quanto sostiene la necessità di aggiungere elementi disgustosi a elementi carini per bilanciare l’attenzione dello spettatore.
Sarà una moda passeggera o destinata a durare ed evolversi nel tempo in forme decisamente più bizzarre? Il mondo del kawaii più puro e dolce è destinato al declino? Ciò che è certo è che il popolo giapponese apprezza e supporta queste novità, diffusesi ormai anche nel blocco euro-americano.