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Cheerleader? No, nuovi Samurai

27 Marzo 2014
Stefania Viti

Si chiamano Ouendan, cantano, ballano e si allenano duramente per sostenere i gruppi sportivi universitari. In loro si fondono tradizioni ultra americane e antichi rituali giapponesi. Guerrieri e sportivi, con un'estetica che è contaminazione pura, capace di unire le felpe e le uniformi da cadetto alle fasce sulla fronte e il trucco da Kabuki.

Se questo è il "secolo asiatico", e il Ventesimo era quello americano, loro sono la sintesi perfetta di entrambi. E annunciano una nuova generazione, in cui i confini tra Occidente e Oriente saranno sempre più labili. Perché nel mondo degli Ouendan si fondono tradizioni ultra-americane come quelle delle cheerleaders e antichi rituali asiatici come le arti marziali e il teatro Kabuki. E la loro estetica è pura contaminazione di Est e Ovest: uniformi da cadetto con felpe da universitario, ma sulla fronte la fascia dei samurai.

È un tiepido pomeriggio di inizio autunno e all'Università Waseda di Tokyo, una delle più antiche e prestigiose del Giappone, l'atmosfera è calma e rilassata. Le lezioni sono finite da un pezzo e il campus è quasi deserto. Il ragazzo ci aspetta già, non stentiamo a riconoscerlo. Alto, slanciato, capelli corti tenuti indietro con la gelatina, è impeccabile nel suo "gakuran" blu, l'uniforme universitaria creata sullo stile delle antiche uniformi prussiane. Così dritto e composto sembra il cadetto di un'accademia militare. Si chiama Yamamoto Ryõtaro, è uno studente di sociologia del quarto anno, soprattutto è il capitano del gruppo Ouendan dell'Università Waseda di Tokyo. Ouendan, parola giapponese che nasce dall'unione del verbo "ouen" ("sostenere, incoraggiare") e "dan" (gruppo), è il fan club universitario che si occupa di incitare al tifo durante le competizioni sportive. Un'organizzazione unica al mondo, che ruota intorno a ragazzi come Yamamoto, i "Ri-da" (dall'inglese leader): cioè studenti che durante le gare sportive ballano, su una pedana situata sulle tribune degli stadi. Le danze in realtà si ispirano alla cultura giapponese tradizionale, e quelle dell'Università Waseda si rifanno al Kabuki, forma teatrale nata in Giappone all'inizio del Seicento. Quando lo salutiamo, Yamamoto accenna vagamente un sorriso. Si inchina, cortese: "Prego, da questa parte. Siamo già in ritardo".


 

Continua a leggere l’articolo di Stefania Viti su L’Espresso, con la fotogallery di Lorenzo Barassi.
Qui potete trovare anche uno scatto inedito.

 

 

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