Era il 20 marzo del 1995 quando accadde. Era mattina e tirava un'arietta frizzante, ma c'erano già tutte le avvisaglie della primavera imminente. E alcuni adepti della setta di Shoko Asahara, l'Aum Shinrikyō, presero i treni più affollati dell'ora di punta. Fecero scivolare a terra dei sacchetti coperti da fogli di giornale e poi li bucarono con le punte degli ombrelli, preventivamente affilate.
È buffo pensare che, sebbene si fossero a lungo esercitati a farlo, non tutti i sacchi furono forati. Se fosse accaduto, probabilmente non sarebbero morte “solo” tredici persone. I sacchi, infatti, contenevano del sarin allo stato liquido, che immediatamente evaporò a contatto con l'aria. Il sarin è un gas nervino, una sola goccia basta a uccidere una persona.
Così è morto Kazumasa Takahashi, dipendente della metropolitana di Tokyo – uno dei posti più sicuri del Giappone: asciugando una pozza di sarin. Non è il solo dipendente che con la sua tempestiva reazione – pur non riconoscendo il liquido contenuto nei sacchi – si è sacrificato per la salvezza di molti. C'è chi ha portato il sacco nel proprio ufficio ed è morto inalandone i vapori, ma evitando in questo modo altri avvelenamenti.
Eppure, nonostante l'intervento eroico dei dipendenti della metro, nonostante gli errori dei colpevoli, i danni furono invero notevoli. Tredici morti, come abbiamo detto, ma anche seimila avvelenati. Molti di loro risentono tuttora degli effetti dell'avvelenamento da sarin.
Oggi, il mandante Shoko Asahara – nato Chizuo Matsumoto – è nel braccio della morte. Sessant'anni, cieco, non del tutto in sé. Anche gli adepti artefici materiali dell'atto terroristico sono stati condannati a morte. Chi sono questi terroristi? Stupirà forse sapere che sono scienziati, medici di grande talento, persone di cultura formatesi nelle migliori università di Tokyo.
Kimiaki Nishida, professore di psicologia sociale all'Università Rissho, fa notare un inquietante parallelismo: “Noto che personalità simili sono oggi risucchiate (nell'Is)” commenta “Sono giovani alla ricerca di un luogo in cui essere apprezzati, che vogliono sentirsi utili, necessari”. Proprio per questo si dichiara contrario alla pena capitale alla quale invece sono stati condannati assieme al loro guru: “I membri del culto non provavano odio verso le loro vittime, semplicemente eseguivano ordini venuti dall'alto, da una persona che ritenevano infallibile. Ma cosa c'era davvero nelle loro menti e nei loro cuori?” In un momento delicato come questo, sembra che il Giappone stia perdendo l'occasione di comprendere quali ragioni si celano per davvero nella mente di un terrorista religioso.
Altrettanto misteriosi sono i motivi per cui questo ordine è stato impartito. Shoko Asahara era ossessionato dall'idea di essere attaccato, forse voleva nascondere qualcosa, o forse voleva lanciare un avvertimento. Il suo tentativo di affermarsi in politica era stato un fallimento totale, nonostante l'Aum Shinrikyō avesse vissuto dal momento della sua fondazione (1980) un decennio di continua crescita, fino a raggiungere i 10.000 adepti.
Oggi l'Aleph – l'erede dell'Aum – conta solamente 1.650 adepti, ed è in bancarotta a causa dei risarcimenti versati alle vittime e alle famiglie delle vittime, che però non si sentono del tutto sicure e richiedono maggior protezione, temendo un altro attacco. Kenji Utsunomiya, avvocato e direttore del gruppo delle vittime, fa notare che la setta continua a fare proselitismo: “Sempre più giovani si sentono alienati nella società contemporanea, potrebbero unirsi a gruppi come questo e sentirsi accettati.”
E non è l'unico problema. Persiste ancora, costante, la delusione per le istituzioni di un Paese che era percepito fra i più sicuri al mondo. Utsunomiya continua: “Non sono mai stati fatti controlli sanitari alle vittime, che presentano ancora anomalie fisiche”. “Gli avvocati avrebbero dovuto fare di più. E anche la polizia avrebbe dovuto fare di più. I media non hanno indagato abbastanza” aggiunge Nakano, un altro avvocato delle vittime.
Insomma, sono passati vent'anni ma la ferita per molti è ancora aperta, e brucia come non mai, a dispetto dei tentativi di dimenticare e andare avanti nonostante tutto.
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