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NipPop x FEFF26 — Ricordi di viaggio e d’amore: “18×2: Beyond Youthful Days”

9 Maggio 2024
Veronica Fiorentino


“Viaggiare è interessante perché non sai mai cosa accadrà” è uno dei motti della solare Ami, partita dal Giappone per un viaggio on the road alla scoperta di Taiwan in compagnia dei suoi fidati acquerelli. Giunta nella movimentata città di Tainan, la sua strada si incrocia con quella di Jimmy tra le mura di uno scialbo karaoke bar di provincia. La ragazza ben presto si guadagna un posto nel cuore del giovane ed impacciato liceale, un posto che ancora occupa a distanza di diciotto anni quando sarà lui, ormai adulto, a partire a sua volta inseguendo il ricordo di quell’amore estivo.

È il lontano 2014 quando lo sviluppatore di videogiochi taiwanese Jimmy Lai pubblica sul suo blog il racconto di un viaggio autobiografico a bordo dei treni della linea ferroviaria giapponese, che in poco tempo diventa virale e inizia ad attirare diversi produttori interessati a trasporlo sul grande schermo. Dopo anni di maretta e sceneggiature scartate, è solo a partire dal 2019 e grazie all’arrivo del regista Fujii Michihito (già noto per The Journalist, del 2019) che il progetto riprende ad ingranare: il risultato è 18×2: Beyond Youthful Days (in giapponese 青春18×2君へと続く道, 2024), una co-produzione tra Giappone e Taiwan che debutta nelle sale – e in questa edizione del Far East Film Festival – a dieci anni di distanza dalla sua genesi, ottenendo il favore di pubblico e critica.

Con 18×2 Fujii realizza una pellicola pulita e in buona parte lineare, seppur bipartita in ogni suo aspetto, come sottolineano anche egregiamente il montaggio e la fotografia: due sono gli spazi, due i tempi, e due i protagonisti di cui seguiamo le vicende.

Da un lato, il film ci fa rivivere il ricordo di una calda e colorata estate a Tainan, quella in cui Jimmy e Ami si sono conosciuti. Lei (interpretata da Kiyohara Kaya) è una ragazza giapponese di vent’anni, uno spirito libero e leggero che sogna di vivere la vita senza mai smettere di viaggiare e di trasformare in arte le impressioni dei suoi viaggi. Lui (interpretato da Hsu Kuang-Han, la star di Marry my dead body, commedia dark che spopolò nella scorsa edizione del FEFF) è un liceale del posto, qualche anno più giovane di Ami, con il classico portamento dinoccolato di chi è cresciuto troppo e troppo in fretta. Ama il basket, e spera invano di trovare l’amore durante un lavoretto estivo presso il bar karaoke locale.

Ed è proprio qui, in effetti, che i due si incontrano, quando la ragazza, arrivata da lontano con un grande zaino sulle spalle e un sorriso contagioso, si presenta in cerca di impiego dopo aver smarrito il portafoglio. A Jimmy, che mastica qualche parola di giapponese grazie alla sua passione per manga e anime, viene affidato il compito di farle da guida, e basta poco perché il giovane inizi a bruciare di passione per la radiosa collega. Dal canto suo Ami, nonostante il suo buonumore, appare sempre in qualche modo distante, tanto da impedirci di empatizzare appieno con lei. Costantemente velata da una malinconia leggera, sembra avere la testa altrove, assorta in pensieri che non riusciamo, noi come Jimmy, a comprendere fino in fondo.

Nell’arco di un avvolgente mese d’estate – quella precedente all’inizio dell’università per il giovane, che sogna di diventare game developer – il film ci trasporta nell’atmosfera tenera ma elettrizzante di un primo amore. Complici delle sue acerbe speranze di innamorato, ci ritroviamo, quasi inconsapevolmente partecipi, ad osservare l’evolversi del rapporto tra i due: dalle spensierate corse in moto, all’appuntamento al cinema per vedere Love letter (1995) di Iwai Shunji, alle chiacchierate notturne ammirando lo scenario della città sottostante, fino a raggiungere l’apice della narrazione durante un emozionante e suggestivo festival delle lanterne.

Mentre la lanterna su cui hanno scritto i rispettivi sogni si solleva dolcemente nel cielo raggiungendo centinaia di altre luci e desideri sospesi, Jimmy e Ami si scambiano una promessa – una promessa che assumerà tutto un altro significato sul finale della pellicola – prima dell’improvvisa e inaspettata ripartenza di lei.

A contribuire al clima allegro e accogliente dei ricordi interviene anche un piccolo ma illustre cast di personaggi secondari, lo staff del karaoke, che arricchiscono la narrazione senza mai prendersi troppo spazio, riuscendo a rimanere piacevoli personaggi di contorno e a non distogliere l’attenzione dall’intima complicità dei due protagonisti.

Interessante anche come Fujii abbia deciso di mantenere nei dialoghi la barriera linguistica tra Ami e Jimmy, che viene via via superata man mano i due, insegnanti reciproci, migliorano nelle rispettive lingue; in particolare Jimmy, muovendo i passi da un lessico approssimativo che fa sorridere chi si è trovato nella sua stessa condizione di studente, arriva a discorrere fluentemente per tutta la parte di pellicola ambientata in Giappone, grazie ad una notevole performance di Hsu che riesce a tenere testa egregiamente all’oneroso carico di battute in lingua giapponese.

Ben diversi sono l’atmosfera, l’andamento, e i colori dell’altra linea spazio-temporale. A diciotto anni di distanza troviamo ad accoglierci un Jimmy ormai adulto, trentaseienne, disilluso e meditabondo, che ci appare come una mera fotografia sbiadita di quel giovane impaziente e innamorato. Dopo aver realizzato, negli anni che non ci vengono mostrati, il sogno di fondare una sua compagnia di videogiochi di successo, la narrazione riprende infatti all’inizio di una fine: il momento in cui il nostro protagonista viene cacciato dalla sua stessa azienda.

Ritornato poi a casa dei genitori, il ritrovamento di una cartolina inviata dall’amata diciotto anni prima spinge Jimmy a partire, sfruttando l’occasione di quello che sarà il suo ultimo soggiorno d’affari. Prende così il via un viaggio che lui stesso definisce “senza meta”, in solitaria attraverso le regioni del Giappone, come quelli che amava fare la giovane Ami.

Anche il paesaggio qui sembra mutare per adattarsi alla nuova sensibilità del protagonista: alle luci sgargianti dei mercati notturni di Tainan si sostituiscono le placide distese della campagna giapponese, immersa in un’atmosfera decisamente meno eclatante e più contemplativa, ma dotata comunque di una bellezza unica, che sicuramente riesce a smuovere la sensibilità di chi, come il Jimmy di questa dimensione, ha superato da un po’ gli anni delle prime cotte adolescenziali.

Davanti ad una confortante ciotola di ramen in un izakaya di Matsumoto o nel candore accecante della neve di Nagaoka, vediamo Jimmy imbattersi in incontri passeggeri ma significativi, come spesso sono quelli che avvengono durante i viaggi: il saggio chef Liu originario della sua stessa cittadina (Joseph Chang), il giovane e raggiante Kōji (Michieda Shunsuke) che gli ricorda l’eco della sua giovinezza, la fan di un suo videogioco (Kuroki Haru) conosciuta per caso in un internet café. Personaggi che, proprio come sui vagoni di un treno, entrano nella vita dello sviluppatore per un breve momento, lasciano un segno, e silenziosamente escono di scena senza modificare la traiettoria di un viaggio che, solo apparentemente senza meta, procede di fatto lento ma inesorabile verso le silenziose montagne di Tadami, la piccola cittadina nella prefettura di Fukushima di cui è originaria Ami. In un clima di crescente attesa e aspettativa, lo spettatore, pur godendo dei panorami mozzafiato che il film ci regala, aspetta il momento in cui potrà dare una risposta alla fatidica domanda: cosa troverà Jimmy alla fine del suo percorso?

Unica sbavatura dell’opera è il finale che, dopo un improvviso avanzamento di trama, si dilunga forse più del necessario nell’aftermath, andando a ridimensionare in parte la sorpresa suscitata nello spettatore. In ogni caso, 18×2: Beyond Youthful Days rimane uno slice of life profondo e delicato allo stesso tempo, una storia d’amore diversa dal solito, che si sottrae ai triti stilemi del film romantico per proporre una riflessione sulla vita, le scelte passate e quelle future.

Fujii ci omaggia di un racconto che racchiude in sé le diverse bellezze e sensibilità di Taiwan e del Giappone, la storia di un viaggio che diventa preziosa occasione per perdersi e al contempo ritrovare se stessi. Un film che fa commuovere e di cui consigliamo calorosamente la visione – fazzoletti alla mano, a noi sono serviti!

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