Un omicidio perfetto viene ripreso da una videocamera, innescando un lungo gioco perverso fra il killer e tre ragazzini che lo vogliono ricattare. Gold Boy è l’ultima opera del prolifico cineasta Kaneko Shusuke, che riadatta una serie drama cinese di grande successo in un film da due ore dal ritmo fin troppo serrato.
A sua volta adattamento del libro The Gone Child di Zi Jin Chen, la struttura dell’intreccio rimane invariata: il giovane rampollo Azuma Noboru (interpretato da Okada Masaki), sposato con una ricca ereditiera, scaraventa i propri suoceri da una scogliera simulando un incidente, ma la sua malefatta viene casualmente ripresa in video dal tredicenne Amuro Asahi (il giovanissimo talento Hamura Jinsei) e i suoi due amici dalla spiaggia sottostante. Fiutando subito la possibilità di far soldi, il trio decide di ricattare il killer per milioni di yen, ma con le indagini della polizia in corso e i drammi familiari dei ragazzi non tutto va per il verso giusto.
La trama da qui si dipana in una concatenazione di omicidi, investigazioni e raggiri al cardiopalma, trasformando quello che sembrava inizialmente un ‘semplice’ ricatto in una partita a scacchi fra quelli che si rivelano essere due geni del crimine, Noboru e Asahi. Nonostante la giovane età, il ragazzino si rivela pronto a dar del filo da torcere all’assassino, il ‘Gold Boy’ del titolo, pronto a usare chiunque come pedine per i suoi scopi.
Al di là della trama, Gold Boy diventa una lucida e appassionante analisi del male umano attraverso due personaggi machiavellici, richiamando a suo modo le battaglie di logica e ingegno che tanto hanno fatto il successo del genere giallo e in particolare quel fenomeno moderno che è stato Death Note – non è un caso, infatti, che il regista sia lo stesso dei primi film live action! – con due personaggi al limite della sociopatia che si scontrano a suon di deduzioni.
Il vero punto di interesse sono le motivazioni dietro le azioni dei protagonisti: nessun nobile ideale o piano per accaparrarsi l’eredità familiare, ma spesso la sola sete di sangue o il narcisistico bisogno di prevalere. I due attori principali sono perfettamente calati nella parte, e se Okada comunque ci regala una sua impressione del perfetto manipolatore e voltagabbana la vera star è il piccolo Hamura, capace di portare in scena alla perfezione il personaggio del giovanissimo psicopatico dal volto angelico che non perde (quasi) mai la sua maschera di fronte agli avversari.
Anche gli altri interpreti principali non sfigurano affatto a livello attoriale – specialmente Hiroshi e Natsuki, i due amici del giovane protagonista. La pellicola, come fa anche notare il critico Mark Schilling, è la riprova della bravura del regista Kaneko nello scegliere giovani attori adatti al ruolo e dirigerli alla perfezione scena dopo scena. In questo caso, il trio di ragazzini che si crea ha delle ottime dinamiche e si comporta in modo coerente e naturale per la loro età, specialmente considerando lo strato della società giapponese al quale appartengono e che diventa una parte importante del loro background.
Mentre la versione cinese era ambientata nella città di Zhanjiang nella provincia peninsulare a sud di Guangdong, per questo remake nipponico la storia è stata traslata nella prefettura tropicale di Okinawa, nota nell’immaginario collettivo come meta balneare e come sede della base militare statunitense. L’idea dietro questa ambientazione è il degrado cittadino che contrasta i lussuosi resort turistici che affollano la zona: Noboru è un dirigente presso un consorzio immobiliare che detiene un patrimonio di miliardi di yen su cui vorrebbe mettere le mani per via ereditaria, mentre i ragazzi provengono da situazioni di continui maltrattamenti familiari e delinquenza giovanile – l’estrema violenza degli omicidi si scontra quindi con le immagini pacifiche e lussureggianti dei paradisi tropicali.
L’unico problema di Gold Boy risiede nella sua forma, e più in particolare nel suo essere un adattamento per il grande schermo di una storia ben più lunga raccontata originariamente nell’arco di dodici episodi. L’intreccio funziona e non si contraddice mai nella sua grande mole di informazioni, ma è proprio quel ritmo eccessivamente veloce e concatenato a lasciare poco respiro ai personaggi, così come la sua ambientazione unica che non risulta sufficientemente valorizzata. Gli ultimi quindici minuti, inoltre, diventano quasi comici per il numero eccessivo di finti epiloghi. Il “ragazzo d’oro” Kaneko, storico autore per molteplici generi cinematografici, forse per via di un soggetto non originale e non scritto da lui, sembra aver svolto un buon compito che, tuttavia, non eccelle in niente.