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NipPop x FEFF26 – Crimini e incantesimi nella splendente epoca Heian: “The Yin Yang Master Zero”

5 Maggio 2024
Veronica Fiorentino


Rami che diventano, o sarebbe meglio dire sembrano diventare, tizzoni ardenti, divinazioni e sogni premonitori, veleni crudeli e letali tanto nella manifattura quanto negli effetti: questo e molto altro accade durante le bizzarre lezioni della scuola per apprendisti onmyōji (陰陽師)! Satō Shimako torna nelle sale con il suo nuovo film The Yin Yang Master Zero (Onmyoji Zero, 2024), pellicola fantasy in gara al Far East Film Festival di quest’anno che raccoglie l’eredità dei romanzi di Yumemakura Baku e di due film dalla regia di Takita Yōjirō. 

Esperti di arti magiche, maestri dell’occulto e dell’esoterico in grado di governare la psiche e manipolare gli elementi, gli onmyōji erano eccentriche figure impiegate al servizio della corte imperiale nel pieno degli sfarzi del periodo Heian (794-1185). La storia di Satō prende il via tra i banchi di una loro scuola, all’interno della quale gli equilibri e l’ordinaria routine vengono bruscamente interrotti quando il più potente tra i veleni viene utilizzato per sbarazzarsi dello Specialista dell’istituto (grado immediatamente superiore ad Apprendista nella rigida gerarchia degli onmyōji), dando il via a una travolgente caccia al colpevole e a una spietata lotta per impadronirsi del posto rimasto vacante.

Protagonista dell’opera di Satō, come delle precedenti, è Abe no Seimei (liberamente ispirato ad un celebre onmyōji realmente esistito ed entrato poi nel folklore e nelle leggende giapponesi), che qui troviamo però all’inizio della sua carriera, nei panni di un giovane apprendista disincantato e glaciale – per non dire arrogante e strafottente – interpretato da un brillante Yamazaki Kento (Alice in Borderland , Kingdom, Wotakoi – Love is Difficult for Otaku ).

Abe è un ragazzo solitario e misterioso, tanto che i suoi compagni mettono in giro la voce che sia il figlio di una donna-volpe e in grado di padroneggiare la magia nera. A differenza dei suoi pari, inoltre, non nutre nessun interesse nell’intraprendere la difficoltosa scalata tra i ranghi dell’istituto: il suo unico scopo nella vita, che lo tormenta incessantemente nel sonno come nella veglia, è invece quello di scovare l’assassino dei suoi genitori per ottenere finalmente l’agognata vendetta.

Il film, partendo da un’ambientazione fantasy, sembra inizialmente seguire la classica struttura del giallo, con Abe e i compagni impegnati in una macabra gara per risolvere il misterioso omicidio dello Specialista e ottenerne così il posto come ricompensa. La narrazione prende tuttavia una piega inaspettata quando la scena si sposta nel verde labirinto di una inquietante foresta, dove i confini tra conscio e inconscio, tra incubo e realtà, diventano sempre più incerti e sfumati. Sullo sfondo un’oscura figura mascherata, scandendo i passi di una funesta danza rituale, sembra poter tessere i destini dei personaggi e condurli inevitabilmente alla rovina.

Ancora di salvezza per la travagliata mente di Abe no Seimei sarà Minamoto Hiromasa (Sometani Shoka), nobile di corte e musico dell’imperatore. Spensierato e pacioso, perdutamente innamorato della dolce principessa Kishi (interpretata dall’attrice Nao), Hiromasa è un personaggio che non può non suscitare affetto e simpatia, perfino nell’impenetrabile Abe. Sarà lui infatti l’unico ad instaurare con l’enigmatico apprendista un legame sempre più profondo e sincero, divenendone, nonostante il diverso rango sociale, fidato aiutante e compagno di avventure. 

Dal fantasy alla detective fiction, passando per la love story, il dramma psicologico, e il coming of age, la regia di Satō riesce nell’impresa e realizza un’opera armonica per quanto composita. I diversi ritmi e atmosfere si susseguono con il giusto equilibrio, creando una pellicola leggera ma perfettamente godibile, come dimostrato dal caloroso applauso ottenuto in sala al termine della proiezione. Set, costumi e fotografia, pur rimandando ad un immaginario consolidato e spesso stereotipato del Giappone classico, fanno sognare con i mille colori delle pregiate vesti della corte Heian, le distese di sakura in fiore e la grande luna che splende al di sopra del tempio. 

A questo vanno ad aggiungersi scene d’azione e colonne sonore decisamente pop che rendono il tutto un ottimo prodotto di intrattenimento per il grande pubblico, anche se potrebbe lasciare scontenti alcuni esperti del settore. 

Unica pecca sono gli effetti speciali, che non reggono il confronto con gli altri aspetti del film, arrivando ad intaccare talvolta il pathos di scene dotate di sceneggiatura e recitazione apprezzabili – come nel caso del tenero e commovente saluto tra i due innamorati Hiromasa e Kishi nella foresta: uno spoglio paesaggio innevato si trasforma in una primavera rigogliosa, che risulta però decisamente poco convincente.

Nel complesso, The Yin Yang Master Zero rimane un’opera cinematografica ben pensata e ben costruita nonostante alcuni nei evidenti, una leggenda ricca di elementi immaginifici ed intriganti, che incanta lo spettatore e lo trasporta con disinvoltura nella sua atmosfera onirica fino al finale, senza mai perdersi d’animo. Satō, moglie di un altro volto noto della cinematografia giapponese, il regista del recente Godzilla Minus One (2023) Yamazaki Takashi, propone un film agile e coinvolgente, incapace forse di lasciare un’impressione profonda nello spettatore ma senza dubbio in grado di farlo viaggiare con la fantasia per un paio d’ore, nell’affascinante cornice di un remoto passato dove il confine tra storia e leggenda si perde e l’impossibile diventa possibile.

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