La venticinquesima edizione del Far East Film Festival è iniziata! Fra le diverse anteprime mondiali, europee e italiane abbiamo visto per voi uno degli ultimi lavori di uno dei registi di punta della kermesse di quest’anno: Watanabe Hirobumi!
La prima serata di NipPop al FEFF25 si apre con Way of Life, che vede alla regia e alla sceneggiatura Watanabe Hirobumi e al comparto musicale il fratello Watanabe Yuji.
Il regista porta sullo schermo la sua vita durante lo stato di emergenza dovuto alla pandemia di COVID-19 scoppiata nel 2020 attraverso un documentario che segue la sua routine in quei giorni di isolamento.
L’effetto straniante è immediato: già dalle prime scene lo spettatore viene portato indietro nel tempo grazie alla voce fuoricampo proveniente dalla radio, che annuncia l’inizio dello stato di emergenza in Giappone. Queste voci senza corpo, provenienti da altri dispositivi – cellulari e radio – ci accompagnano per tutta la durata del film, insieme ai disegni fatti dal regista stesso, unico punto di colore in una pellicola girata quasi completamente in bianco e nero. La scansione del tempo e lo scorrere dei giorni vengono segnalati solo attraverso le transizioni a nero, il cambio di luce, e la quantità sempre maggiore di dipinti appesi sul muro della piccola camera da letto nel quale il regista trascorre le giornate. Ma anche in questo modo lo spettatore si trova in uno stato di sospensione nel quale non sa con precisione in che momento collocare la scena – un sentimento che rimanda direttamente al senso di spaesamento che ci accompagnava nei periodi più severi del lockdown.
La scena rimane la stessa per buona parte del film, con una camera fissa che riprende la scrivania con la postazione di lavoro di Watanabe e il suo letto. Sul muro dietro la scrivania le opere d’arte – dipinte con un’esplosione di colori e un mix di stili diversi che ricorda a volte Picasso o Basquiat, altre Van Gogh, altre ancora Chagall – vengono appese l’una dopo l’altra con delle puntine da disegno, ed è solo quando non c’è più spazio che il punto di vista si sposta all’esterno o nel salotto di casa, ed entrano in scena altre persone. L’arrivo di queste persone, insieme alla voce fuori campo del notiziario, ci fanno comprendere che siamo ormai arrivati alla fine dello stato di emergenza.
Way of Life non è solo un film autobiografico, ma un’opera che parla di un’esperienza precisa nella quale lo spettatore può immedesimarsi. Sono infatti tante le persone che durante il periodo più duro della pandemia hanno riscoperto o sperimentato nuovi hobby, e Watanabe Hirobumi mette in scena perfettamente questo momento di noia che sfocia nella creatività e nel recupero di vecchie passioni, inframezzando momenti quotidiani a inquadrature ravvicinate sulle sue mani che dipingono e stendono i colori vivaci che popolano le sue opere.
Ma la pittura non è solo un modo per stemperare la noia: è una volontà precisa di tornare all’infanzia e alla sua innocenza, come afferma più volte il regista parlando alla nipote Riko, protagonista di un altro film di Watanabe (I’m Really Good, 2020), e citando Picasso. Inoltre, le immagini sono accompagnate dal terzo Moment Musicaux di Schubert: un motivetto dai toni folk e giocosi, molto simile ad una melodia per bambini. La scelta non è casuale, in quanto rimanda sia all’aura bambinesca che permea l’atmosfera del film, sia al fatto che i Moments Musicaux sono stati composti per essere ascoltati nell’intimità di una casa, di una stanza – ed è anche a questo che è dovuta la loro durata molto breve. Nonostante l’apparente semplicità del movimento Schubert vuole suggerire attraverso la sua musica diverse emozioni, così come Watanabe fa attraverso le sue immagini.
Non è breve, al contrario, la durata della pellicola, il cui messaggio sarebbe stato comprensibile anche con un minutaggio minore – accorciando i tempi, infatti, la sua godibilità per il pubblico sarebbe forse stata maggiore. Nonostante il bianco e nero sia il marchio di fabbrica del regista, il passaggio alle scene a colori appare arbitrario, un espediente utilizzato per non perdere la vividezza dei colori dei disegni e per sottolineare da un lato il ritorno all’infanzia e dall’altro il contrasto tra la vita grigia e noiosa durante la pandemia e i piccoli momenti di svago e gioia dati dall’arte. A volte, però, come a voler riprendere i colori molto accesi sulla carta, le scene risultano estremamente luminose o estremamente buie, creando un contrasto ancora maggiore.
Il documentario riesce comunque a ritagliarsi il proprio spazio e a coinvolgere lo spettatore anche in un momento nel quale si cerca di dimenticare la pandemia, piuttosto che ricordarla. Il punto di forza di Way of Life sta proprio nell’aver portato sullo schermo attraverso un unico personaggio la vita vissuta da moltissime persone – una vita sospesa nel tempo, sempre uguale a sé stessa – ma in un momento in cui si parla meno dell’argomento, lontano dall’ondata di film su COVID e pandemie usciti tra il 2020 e il 2021.