Durante la venticinquesima edizione del Far East Film Festival abbiamo avuto l’occasione di incontrare tantissimi ospiti, fra cui Ōtomo Keishi, il leggendario regista della saga di film ormai cult Rurouni Kenshin, che ha presentato in anteprima internazionale il suo ultimo lavoro: il kolossal The Legend & Butterfly!
Uno dei suoi punti di forza di The Legend & Butterfly è l’aver saputo unire con maestria il jidaigeki, il dramma storico, con il romance, rendendolo in un certo senso anche più fruibile per il grande pubblico. Cosa c’è dietro questa scelta? È forse un tentativo di ‘svecchiare’ il genere storico, o semplicemente l’obiettivo era quello di arrivare a una distribuzione più ampia?
Ōtomo: Ho cercato di creare un film che fosse quanto più possibile ricco di contenuti, ricco di tutto ciò che fosse possibile inserire, perchè anche la nostra vita è così: c’è la commedia, c’è la tragedia, ci sono le quattro stagioni che si alternano, c’è il colore … ma, trattandosi di un film, è importante anche intrattenere lo spettatore. Poi ovviamente anche la recitazione è un elemento molto importante, o anche far sì che sia le scene d’azione che le scene più emotive coinvolgano il pubblico. Anche quando ci sono delle scene molto forti, voglio che quella forza sia percepita appieno da chi guarda. Realizzare un film alla fine è una forma d’arte, ma al tempo stesso l’intenzione è anche quella di dare un valore aggiunto allo spettatore, e quindi ho cercato di utilizzare tutto ciò che avevo a disposizione per girare.
In un film storico di questo genere il pubblico di riferimento ha un ruolo importante: se il pubblico giapponese, infatti, ha una grande familiarità con la storia raccontata, il pubblico europeo e americano potrebbe invece essere completamente all’oscuro della vicenda di Oda Nobunaga. Ha cercato di tenere conto di queste due sfere di fruizione molto diverse durante la realizzazione del film?
Ōtomo: Quando lavoro a un film, soprattutto di questa portata, cerco di realizzarlo di modo che possa essere fruito da quante più persone possibili e non solo dal pubblico giapponese. Cerco di tenere in considerazione il fatto che la pellicola potrebbe, in un secondo momento, essere distribuita all’estero e quindi vista da un pubblico che non ha nessuna conoscenza della storia o della lingua giapponese, e quindi cerco sempre di realizzare i film di modo che possano essere fruiti e compresi anche da un pubblico straniero – e questo fa parte anche un po’ della mia formazione come regista. Cerco di utilizzare quelle che sono le mie conoscenze per far sì che l’approccio possa essere il più vasto possibile e il messaggio arrivi anche a chi non è giapponese. In questo caso volevo raccontare la storia di Nobunaga e Nōhime: un matrimonio strategico, un rapporto che non aveva un sentimento di amore alla base, ma che alla fine cresce fino a diventare l'asse attorno al quale gira l’intera storia. Quindi è su questo che mi sono concentrato, sulla crescita del loro amore, per dare una struttura, uno scheletro della storia – attorno al quale si è poi sviluppato il resto.
Oda Nobunaga è, come abbiamo detto, un personaggio molto famoso nella storia giapponese – un personaggio che è stato raccontato diverse volte, in diversi film, romanzi, manga. Una cosa particolare che mi ha colpito di questo film è il fatto che la fascinazione di Oda per la cultura europea, la cultura dei missionari che erano in Giappone in quel periodo, sia stata inclusa. È un elemento che in altri retelling della vita di Nobunaga è stato spesso trascurato. Come mai ha deciso di inserirlo? È particolarmente interessante, anche perché – come sappiamo – nel periodo immediatamente successivo c’è stata poi una chiusura completa del paese verso l’esterno.
Ōtomo: Nella parte iniziale del film c’è una scena in cui Oda Nobunaga rischia di cadere da un dirupo e viene salvato da Nōhime. È lì che i due guardano insieme il mare per la prima volta, e lei esprime il desiderio di attraversarlo ed esplorare un mondo per entrambi assolutamente sconosciuto. Quello è un momento di illuminazione per Nobunaga, perchè sentendo Nōhime parlare di questo suo sogno fa nascere in lui una forte empatia verso la moglie, ed è anche il momento in cui dentro di lui sboccia la voglia di conoscere lo sconosciuto, l’ignoto. Anche perché lui altrimenti, come succedeva spesso agli uomini dell’epoca, molto probabilmente si sarebbe solo preoccupato di ciò che lo circondava, mentre la presenza di Nōhime lo ha stimolato, rendendo la sua mente più aperta. E questo ha fatto sì che nel tempo diventasse sempre più curioso, e questa curiosità lo ha portato a ricevere i missionari cristiani, a una maggiore apertura del paese, e a tutto il resto,
Quindi, la curiosità è uno dei concetti portanti del film, e ciò ritorna anche in un’altra scena, a Kyoto, in cui Nōhime inizia a ballare, e coinvolge poi anche Nobunaga, e una volta che sono insieme lui si rende conto che si sta divertendo, che è una cosa positiva. Chi è quindi che in tutta la storia stimola la curiosità di Nobunaga? Nōhime!
Il film è stato realizzato per il 70° anniversario della storica casa di produzione Toei. Come mai è stato scelto un film storico in questa occasione, visto che il genere ha perso popolarità negli ultimi tempi?
Ōtomo: È proprio così, al momento i film con ambientazione storica – credo non solo in Giappone, ma in tutto il mondo – stanno attraversando un momento di declino. In realtà nella mia carriera ho avuto l’occasione di lavorare con la NHK, la televisione di stato giapponese, per il taiga dorama (una serie di ambientazione storica che viene trasmessa per un intero anno sui canali NHK – n.d.r.) Ryōmaden, e durante la lavorazione ho cercato di apportare delle novità al genere, per le quali sono poi stato definito un ‘innovatore’. Successivamente mi sono occupato anche della regia di un altro film storico d’azione, Rurouni Kenshin, e anche in quel caso ho cercato di lavorare con un approccio totalmente diverso. Quando la Toei mi ha contattato mi hanno cercato proprio per questi due miei lavori precedenti.
Lei ha lavorato con diversi attori giapponesi anche molto famosi come Satō Takeru. Cosa l’ha spinta a scegliere Kimura Takuya per il ruolo di Nobunaga?
Ōtomo: Anche Kimura è, all’interno del panorama degli attori giapponesi, una delle top star in assoluto – un attore il cui carisma ha fatto innamorare e sognare tutto quanto il Giappone. Allo stesso tempo Oda Nobunaga, il protagonista di questa storia, è il signore della guerra più amato in Giappone secondo diversi sondaggi fra il pubblico – e la ragione per la quale è il più amato è il carisma: anche a distanza di quattro-cinquecento anni da quando è vissuto continua a essere il personaggio e il signore della guerra più amato dal pubblico giapponese. Quindi ho deciso di usare per una figura storica così carismatica un attore altrettanto carismatico, e creare quindi una sinergia. Fra l’altro, Oda Nobunaga muore a 49 anni, e al momento Kimura ha proprio 49 anni – quindi eravamo allineati anche da questo punto di vista. Kimura Takuya è poi una persona molto meticolosa nella preparazione, quindi anche per quanto l’aspetto lavorativo siamo riusciti a comunicare e a collaborare bene insieme, e quindi anche per questo la ritengo una buona scelta. Poi per quello che è il risultato finale io non posso parlare, lascio a voi l’ultima parola.
Passando invece al personaggio di Nōhime: anche se a livello storico non ci sono molte informazioni su di lei, nel film diventa un personaggio a tutto tondo. C’è dietro questa scelta la volontà di dare una dignità storica a un personaggio che, nonostante la sua importanza nella vita di Nobunaga, è stato però trascurato dalla Storia?
Ōtomo: Esattamente, è proprio così. Non sono quel tipo di persona che nelle proprie opere vuole in qualche modo elevare i grandi della storia su un piedistallo, né voglio lodarli indiscriminatamente. Sono dell’idea che i film non debbano in nessun modo asservire qualunque posizione di persone che sono esistite in passato – e questo perché sia Nobunaga che io siamo entrambi esseri umani, e ognuno ha poi un proprio ruolo storico. Ma allo stesso tempo, lui ha avuto un ruolo storico conosciuto e ricordato perché in quel periodo chi scriveva i documenti erano gli uomini di potere, che quindi hanno registrato solo quello che loro reputavano importante. E invece chissà quante persone non note, persone di cui non si sa nulla, hanno vissuto delle vite comunque importanti! Nōhime, ad esempio – nonostante fosse la moglie ufficiale di Nobunaga, c’è solo una riga scritta su di lei in tutta la letteratura di quel periodo. Quindi, come dicevi giustamente tu, ci sono state numerose vite, numerose esistenze significative che però non sono state portate all’attenzione dei posteri, e la fiction può essere uno strumento anche per restituire loro una dignità storica, quindi ti ringrazio per la domanda.
Il film fa un ricorso limitato al digitale e alla computer grafica, rispetto ad altri kolossal storici dove invece questa tecnologia ricopre un ruolo importante. A cosa è dovuta questa scelta?
Ōtomo: Per questo film, trattandosi di una produzione molto importante, non mi importava quale fosse il numero di persone necessarie – se avevamo bisogno di cinquecento comparse e di uno staff che potesse gestire cinquecento comparse, bene: si andava sul luogo designato e si raccoglievano tutte le persone necessarie. Anche perché in questo modo tutti potevano percepire e sentire in modo realistico quello che stava accadendo intorno a loro nella scena.
Se ci pensate bene, il regista di un film potrebbe a volte diventare un ‘dittatore della scena’ [ride], ma io cerco di non diventarlo, e proprio per evitare di finire in quel tipo di situazione volevo che tutti quanti, staff, attori e comparse, potessero trovarsi insieme. E questo lo puoi fare solo con un set-up analogico, perchè ovviamente ci si trova là sul posto, a faccia a faccia con altre persone.
Un’altra ragione che mi ha spinto a questa scelta è che nel 2021, quando si è conclusa la serie di film Rurouni Kenshin a cui ho lavorato per dieci anni, al momento dell’uscita in sala dell’ultimo capitolo della saga il Covid ha impedito che fosse presentato al pubblico sul grande schermo, e ha fatto sì che molte sale chiudessero. Il palliativo che si era trovato in quel periodo era soprattutto quello dei siti di streaming, un fenomeno che sembra prendere sempre più piede. L’idea che forse in un futuro vicino i cinema non sarebbero stati più utilizzati cominciava a sembrare una realtà, anche perché la gente mostrava sempre più interesse verso l’innovazione delle piattaforme di streaming. Ho iniziato proprio a pensare che forse il cinema per come lo conosciamo sarebbe ormai andato a finire male. E inoltre nella maggior parte delle produzioni recenti alla fine ti ritrovi sempre in degli studi al chiuso, con le luci led e i green screen, dove poi veniva aggiunto in un secondo momento lo sfondo. Questo è un sistema che è diventato molto utilizzato in Giappone, ma io temo che alla lunga possa andare a danneggiare il mondo cinematografico. Quindi, quello che ho cercato di fare è stato riproporre l’analogico, far riscoprire la forza del lavorare in maniera analogica. È per questo che siamo andati direttamente nei luoghi storici dove la trama è ambientata, luoghi che spesso sono considerati dei tesori nazionali. Se servivano delle persone le si chiamavano, non si le abbiamo inserite successivamente con la computer grafica. Volevo che ci fosse un contatto umano, fisico, fra tutte quelle persone.