Shiraishi Kazuya ritorna per il terzo anno consecutivo al Far East Film Festival di Udine con la sua ultima opera, One Night (Hitoyo とよ), un dramma avvincente, che racconta la storia di una famiglia giapponese decisamente poco tradizionale e della notte che cambia per sempre le loro vite.
Il Far East Film Festival di Udine ritorna in una nuova versione digitale, e anche quest’anno noi di NipPop non potevamo mancare! La giornata di apertura del festival, venerdì 26 giugno, si è snodata fra cinque film provenienti da diversi Paesi del continente asiatico, tra i quali One Night dell’acclamato regista Shiraishi Kazuya.
Non è la prima volta che le opere di Shiraishi vengono presentate al FEFF: due anni fa, infatti, aveva partecipato alla kermesse con il suo The Blood of Wolves (Korō no chi 孤狼の血), mentre l’anno scorso è stato il turno del suo biopic dedicato a Wakamatsu Kōji, Dare To Stop Us (Tomerareru ka, oretachi wo 止められるか、俺たちを). Due film completamente diversi, ma che dimostrano appieno la capacità di Shiraishi di muoversi attraverso vari generi, passando dall’azione più cruenta dei film di yakuza alla delicata malinconia del biopic.
Il film presentato quest’anno è un tuffo in un altro genere ancora, quello del dramma familiare, che Shiraishi riesce comunque a rendere suo attraverso l’uso sapiente di luci (o della mancanza di esse) e inquadrature. La storia è in apparenza molto semplice: una madre uccide il marito violento per proteggere i figli dai continui abusi che subivano dall’uomo, e poi si costituisce, promettendo di tornare una volta che la gente avrà dimenticato, ovvero dopo quindici anni. Una promessa che viene mantenuta: Koharu (interpretata da Tanaka Yūko) ritorna esattamente quindici anni più tardi, stravolgendo per la seconda volta la vita dei suoi figli. Tuttavia, questa non è una favola, e il ritorno della madre è solo l’inizio del dramma e non l’atteso lieto fine.
One Night cattura l’attenzione dello spettatore sin dalla primissima scena: in una notte avvolta da una pioggia incessante i tre fratelli Daiki, Sonoko e Yūji aspettano il ritorno dei genitori. L’atmosfera è cupa, e tutti e tre i ragazzini portano bende, cerotti, lividi sulla faccia e sul corpo. Il più piccolo dei tre, Yūji, vuole diventare uno scrittore e prende appunti vocali per scrivere un romanzo sulla loro vita grazie a un piccolo registratore portatile.
“Mio fratello Daiki sta stringendo una vite. Forse sarà proprio quel cacciavite che mio padre userà per pugnalarlo. Mia sorella Sonoko, invece, sta tagliando i capelli alla sua bambola. Chissà se è con quella forbice che mio padre le sfregerà il volto.”
Parole che raccontano di una violenza crudele, ma pronunciate con un tono così leggero da far trasparire quanto abusi di questo genere siano ormai parte della loro normalità.
Pochi secondi dopo, Koharu fa ritorno a casa e racconta in poche parole quello che ha fatto: ha ucciso il padre, investendolo con uno dei taxi della ditta di famiglia. Prima di andare a costituirsi promette ai figli di tornare, e li lascia con queste ultime parole:
“D’ora in poi nessuno vi picchierà più. Ora siete liberi, potete vivere come volete e diventare qualsiasi cosa vogliate. Quindi … sono molto orgogliosa di voi.”
Una dichiarazione di amore materno incondizionato, che rimarrà impressa nella memoria non solo dei figli, ma anche in quella digitale del registratore portatile di Yūji, rimasto acceso.
Passano quindici anni, e i tre adolescenti sono ora tre adulti dalle vite complicate. Daiki (Suzuki Ryōhei) soffre di balbuzie sin da piccolo e ciò lo ha portato a essere perennemente oggetto di sguardi sprezzanti, e in più la relazione con la moglie sembra essere arrivata a un punto di non ritorno. Sonoko (Matsuoka Mayu) ha provato a diventare una parrucchiera, ma ha lasciato la scuola prima del diploma a causa del bullismo del quale era vittima perché figlia di un’assassina, e ora lavora in uno snack bar. Yūji (Satō Takeru) vive ormai a Tokyo, lontano dalla sua città natale, dove lavora come giornalista per una rivista erotica, nonostante custodisca ancora il sogno di diventare un romanziere.
La vita non è stata generosa con loro, e la morte del padre non è stata la liberazione che la madre aveva predetto. Quello a cui Koharu non aveva pensato, infatti, è che il delitto da lei commesso avrebbe avuto delle conseguenze negative non solo sulla sua vita, che lei era disposta a sacrificare, ma anche su quella dei figli.
Il ritorno della madre, esattamente quindici anni dopo quella fatidica notte, è quindi un fulmine a ciel sereno per i tre figli. Sonoko, da sempre devota, è l’unica ad accettarlo in fretta; mentre Daiki e Yūji nutrono per Koharu un risentimento che a volte si trasforma in vero e proprio rancore.
Inoltre, la reazione del mondo a l di fuori della loro ristretta cerchia di conoscenti e amici non li aiuta a rimarginare le ferite: quando si sparge la voce del ritorno di Koharu, alcuni concittadini iniziano a vandalizzare la sede della ditta di famiglia, scrivendo insulti e minacce sui muri e sui taxi, e arrivando persino a bucare le gomme di tutti i veicoli. L’opinione pubblica, infatti, non ha mai perdonato la donna per il suo delitto, considerandola non la vittima di un marito violento costretta a un gesto drastico, ma semplicemente un’assassina. Non è la prima volta che Daiki, Sonoko e Yūji si trovano a dover affrontare episodi di questo genere: già quindici anni prima erano stati ostracizzati dalla loro comunità perché figli di una criminale.
La separazione emotiva fra la madre e i figli è rappresentata anche a livello fisico: nelle scene immediatamente successive al ritorno di Koharu lei è quasi sempre ripresa da sola, come se fosse diametralmente opposta ai figli, separati da lei da uno spazio invalicabile. È solo col procedere della storia che vediamo i figli avvicinarsi, uno dopo l’altro, e ricongiungersi alla madre.
Sebbene abbia alcuni difetti, come la presenza di diversi personaggi secondari che vengono introdotti ma le cui sottotrame non vengono approfondite, One Night si può considerare sicuramente un lavoro ben riuscito, che racconta il lato oscuro non solo di una famiglia giapponese in particolare, ma anche della società che la circonda, pronta a sfogare il lato peggiore di sé contro chiunque viene percepito come non degno di farne parte.