A sette anni di distanza dal grande terremoto che nel 2011 ha sconvolto il Tōhoku, per la prima volta un regista originario di Fukushima, Hiroki Ryūichi, racconta le storie di chi è rimasto. Nonostante il dolore.
Gli effetti dell’onda dello tsunami sollevato dal terremoto che ha colpito le coste orientali del Giappone nel 2011 non si sono ancora spenti: questo racconta Side Job (Kanojo no jinsei wa machigai janai 彼女の人生は間違いじゃない), la pellicola che inaugura il ricco programma made in Japan della ventesima edizione del Far East Film Festival di Udine. Il regista, Hiroki Ryūichi, originario di Fukushima, al disastro ha dedicato un romanzo, al quale il film è ispirato: una narrazione che ha il sapore amaro della realtà esperita, in bilico fra il melodramma e i documentario, fra il resoconto fotografico del momento e il racconto di un trauma senza fine.
Miyuki Kanazawa, impiegata negli uffici comunali di Iwaki, ha perduto la madre nel disastro e vive in un alloggio provvisorio con il padre Osamu, un coltivatore di riso i cui campi si trovano nella zona interdetta. L’uomo, impossibilitato a svolgere quello che è l’unico lavoro che gli appartiene, trascorre le giornate buttando il suo denaro al pachinko e le sue serate a bere. Ogni fine settimana Miyuki prende il pullman diretta a Tokyo, ufficialmente per prendere lezioni di inglese, in realtà per trasformarsi in Yuki e lavorare per un’agenzia di sesso a pagamento.
Non è per bisogno che Miyuki si prostituisce, e nemmeno per disperazione: sembra piuttosto che a spingerla sia un bisogno disperato di oblio. Hiroki stesso ha affermato, in un’intervista con il Japan Times che il vero motivo che spinge la donna a tornare ogni volta a Tokyo è la ricerca di un contatto con la realtà attraverso un uso simbolico del suo corpo: lo trasforma in denaro che ha per lei un grande valore, proprio come il denaro che è stato usato per bonificare Iwaki e le zone ora nuovamente abitabili della regione di Fukushima.
Già prima di arrivare e scendere dal pullman, Miyuki lascia indietro sé stessa e si trasforma in un’altra persona, Yuki, diversa sia nel modo di vestire che nel carattere. Quando è a Tokyo, infatti, la giovane donna sembra quasi spogliarsi delle responsabilità e delle preoccupazioni che la legano alla terra natale e riacquistare la sua giovinezza, perduta in seguito al disastro del 2011. Miyuki e Yuki sono i due volti del trauma: da un lato chi continua a restare e resistere a Fukushima, cercando di non perdere i ricordi di quella che sembra ormai una vita precedente, dall’altro chi vorrebbe solo andare avanti e ricominciare da zero, dimenticando tutto.
Questa tensione è rappresentata anche nelle tre figure maschili che ruotano intorno a Miyuki: il padre, distrutto dal dolore e dal senso di colpa per essere sopravvissuto alla moglie travolta dallo tsunami; il suo ex fidanzato Yamamoto, che al contrario di Miyuki è riuscito a staccarsi da Fukushima per poi ritornare pentito cinque anni dopo; e infine il suo protettore, Miura, con il quale instaura un rapporto di amicizia e che rappresenta la nuova vita che la ragazza potrebbe avere se lasciasse tutto per trasferirsi nella capitale.
Ma la guarigione è possibile solo scendendo a patti col passato, e il “catalizzatore” di questo processo sarà proprio Osamu, che, in una toccante scena che trasmette tutta l’emozione che Hiroki ha riversato in questo film, torna nella sua vecchia casa all’interno dell’area contaminata. Dopo aver recuperato alcuni dei vestiti della moglie, si fa accompagnare in alto mare da un amico, dove piangendo getta gli indumenti tra le onde, perché la sua cara “kaa-chan” non senta più freddo. Il mare qui è piatto, calmo; eppure è percorso da un fremito che sembra salire dal profondo, come un animale sotto la superficie, imprevedibile e inquieto. Tuttavia, non è solo la storia di Miyuki a essere raccontata in Side Job. Nonostante il focus sulla vita della protagonista, nel corso del film un ruolo centrale assume la figura di Yuto, collega della ragazza negli uffici comunali di Iwaki, anche lui alle prese con le ferite che il terremoto e lo tsunami hanno lasciato nella sua vita. La famiglia di Yuto è sopravvissuta, ma ha finito per disgregarsi. La madre e la nonna si sono unite a una setta, mentre il padre del ragazzo, come Osamu, passa le due giornate bighellonando, e Yuto è il solo a prendersi cura del fratello minore, un bambino delle elementari. Il ragazzo fatica ad affrontare il trauma, e quando una studentessa arrivata da Tokyo gli chiede di ricordare quel fatidico giorno in cui lo tsunami si è abbattuto sulla costa, Yuto non riesce a rispondere e a raccontare quella terribile esperienza. Solo con l’aiuto di una fotografa, tornata a immortalare i luoghi della sua infanzia dopo il disastro, il giovane riuscirà a ritrovare il senso di appartenenza a una comunità, a guardare la sua terra con occhi nuovi e a affrontare con ottimismo il futuro.