NipPop, alla diciannovesima edizione del Far East Film Festival, incontra Pio D'Emilia, noto giornalista inviato in Giappone di famose testate italiane e straniere e dell'emittente satellitare Sky, ma anche interprete, consigliere politico e ghost writer.
NipPop: Quali sono le tue impressioni fino a ora e cosa ti aspetti da questo Far East Film Festival?
Pio D’Emilia: Intanto la buona notizia, che ci riguarda tutti visto che ci occupiamo di Giappone, è che, nonostante il paese sia morto da molti punti di vista, è risorto dal punto di vista cinematografico. Da diversi di anni rimaneva un po’ in sordina, magari per le scelte del festival, per dare spazio ad altri paesi, ma anche perché non erano anni fertili. Fatto sta che quest’anno, finora (3/4 giorni) i film giapponesi sono tanti, e soprattutto sono uno più bello dell’altro, molto interessanti. Tranne uno, uccidiamolo subito: Satoshi. È veramente l’ora di finirla con i film di questo tipo, con l’agiografia del sacrificio. Mishima lo abbiamo metabolizzato, andava bene in altri momenti: francamente uno che oggi è malato di cancro alla prostata invece di continuare a tentare eroicamente di arrivare primo in qualsiasi tipo di cosa – se non erro qui nello shogi – sarebbe meglio si ricoverasse e cercasse di guarire. E invece ritorna l’eterna retorica del sacrificio, vuoi per la gloria dello shogi, vuoi per la nazione, vuoi per l’impero, vuoi per il figlio. Io sono decisamente contrario al sacrificio che non sia sostenibile, così come sono contrario alla sofferenza negli ospedali: Italia e Giappone sono due paesi dove si è molto crudeli nei confronti dei malati, prima che ti venga concessa la morfina devi soffrire. La terapia del dolore deve essere proporzionata al tipo e al livello di sofferenza che provi, e alla tua personale soglia del dolore. Io sono a favore dell’eutanasia e sono contro a una soglia del dolore stabilita dalla legge e dallo stato. Sono contrario alla sofferenza, al dolore: si entra nel campo del sadomaso, dove i giapponesi sono maestri.
Quindi lasciamo perdere Satoshi e passiamo ad altri tipi di pellicole. A me è piaciuto molto At The Terrace, quasi un remake in salsa giapponese di Luchino Visconti, in particolare di Gruppo di famiglia in un interno, un film a sequenza unica, in pratica un piano sequenza di due ore girato tutto all’interno di un appartamento, con Helmut Berger che narrava le depravazioni e le colpe nascoste di una famiglia borghese di Roma. In questo film c’è qualcosa do molto simile: non c’è l’appartamento, ma c’è una veranda giapponese, e c’è una cena tra borghesi giapponesi, con le loro depravazioni e le loro colpe più o meno nascoste. Il tutto con nuance erotiche bellissime. Il film foneticamente è molto giapponese, perchè è fatto soprattutto di mimesi onomatopeiche, ed è molto attuale, ua vera e propria fotografia della realtà del Giappone odierno, un paese notoriamente avanzato, ma fuori dagli schemi. Nel senso che il Giappone è uno dei pochi paesi in cui la cultura giudaico-cristiana nei confronti del sesso non è mai stata accettata, ma dove esiste ancora un’enorme repressione sociale, cioè si può fare di tutto dal punto di vista morale, però non bisogna dichiararlo.
E poi, da At The Terrace arriviamo all’ultimo bellissimo film di oggi, Close-knit, ‘vicinanze tessili’.
NipPop: Forse è un gioco di parole sul lavoro a maglia?
Pio D’Emilia: Sì, infatti. È una bellissima storia su una famiglia arcobaleno giapponese, in un paese – ripeto – estremamente contraddittorio da questo punto di vista, perchè, non avendo remore religiose, dovrebbe essere il primo ad aver aperto alle nuove realtà, cosa che invece non avviene. L’unico paese asiatico minimamente sensibile a queste tematiche è Taiwan, cioè l’unico paese dell’Asia, dell’estremo Oriente, dove il matrimonio – o meglio le unioni civili gay – sono riconosciute. In Giappone invece, dove anche la legge contro la pedofilia è cosa recente, di fatto non si può cambiare sesso e soprattutto la diversità sessuale è oggetto di quella che io definisco una doppia delusione, cioè è legale, divertente e continuamente ridicolizzata dalla televisione. Cioè il gay, il trans, la “checca”, è popolarissima e fa ridere tutti, ma se in un collegio, in una scuola, in un asilo c’è una bambina come Tomo che ha un padre-zio e una mamma trans compagna dello zio, la tolleranza è zero. Nel film c’è un bellissimo scambio di battute: “Tu non devi andare con tizio” dicono a uno dei piccoli protagonisti. E lui risponde: “Perchè?” “Perchè non è normale”. E il bambino chiede: “E che cos’è normale?” “Ciò che non è anormale’. Ijō janai koto 異常じゃない事. E’ un concetto che arriva da lontano: la cultura sopprime il dissenso, il chiodo che spunta va battuto. Una mentalità che francamente pensavamo fosse superata e invece evidentemente è ancora viva. Lo posso confermare: vivendo in Giappone, vivo quotidianamente questo tipo di dolore, di sofferenza, che ancora oggi la società giapponese infligge.
NipPop: Però Rinko, la compagna dello zio, ha potuto cambiare sesso. Viene “emarginata” dalla madre del piccolo compagno di Tomo, però ad esempio in ambito lavorativo non sembra che venga emarginata o che subisca qualche discriminazione.
Pio D’Emilia: Le leggi contro la discriminazione ci sono anche in Giappone. Io vi posso dire con franchezza la mia impressione, corroborata anche da alcune esperienze personali e da articoli che ho scritto. Non c’è discriminazione in certi settori, ma ce n’è ancora tantissima in altri: per esempio nel settore dell’entertainment, il settore artistico, penso non ci siano particolari problemi. Ma se tu lavori in un asilo o in una scuola media inferiore e dichiari la tua omosessualità/transessualità/bipolarismo/multisessualismo, i problemi ci sarebbero eccome. Al punto di rendere impossibile continuare a lavorare.
Io non penso sia così scontato che non ci sia discriminazione. Il problema è che c’è anche molta timidezza, molta voglia di non creare uno scandalo e di non subirlo. Secondo me esistono molte situazioni che i giapponesi, sapendo che potrebbero generarsi difficoltà, preferiscono evitare. Conoscete l’espressione mendokusai? Praticamente un jolly fonetico che si utilizza in tutte le situazioni, ad esempio: “Perchè non ti sposi?” “Mendokusai”; “Ma perchè non divorzi?” “Mendokusai”; “Perchè non esci con la tipa?” “Mendokusai ”. Cioè trouble, “casini”. Ecco, molti secondo me, di fronte a potenziali difficoltà, si dimettono, oppure non presentano proprio domanda di assunzione. Ma non può continuare a lungo. Nel pezzo che ho fatto oggi per Sky proprio su Close-knit, alla fine ho detto che questo è un film che andrebbe proiettato obbligatoriamente a scopo didattico in tutte le scuole medie e superiori del mondo, non solo giapponesi, perchè aiuterebbe in tenera età, in età adolescenziale, i nostri ragazzi a prendere consapevolezza che i sessi non sono più due ma sono almeno sette o otto. E li educherebbe alla conoscenza della diversità e al rispetto.
NipPop: E’ molto interessante anche il punto di vista di Tomo, che all’inizio è un po’ stupita, è molto più vicina alla posizione della madre del suo compagno, “attaccata alla massa” per così dire. Poi, nel momento in cui vive l’affetto di Rinko, cambia. E comunque i bambini sono più facili da “plasmare” sotto questo profilo.
Pio D’Emilia: Esatto! Per questo dico che prima li educhiamo e meglio è. Un tempo la diversità non era tra famiglie trans o altro, ma tra famiglie separate e famiglie unite. Un tempo si rendeva la vita più difficile operando una discriminazione tra famiglie “naturali” e/o separati, oggi “l’offerta” è maggiore, ci possono essere le situazioni più varie. Nel caso del film le circostanze sono piuttosto complicate: una bambina abbandonata dalla madre trova uno zio che divide la sua vita con un trans. Quindi impariamo a evitare luoghi comuni e a rispettare le persone. Non si tratta di pervertiti, sono persone che soffrono, hanno sofferto e una volta che prendono, soffrendo, certe decisioni, vanno aiutati, non ulteriormente perseguitati.
NipPop: Sì, come il caso dell’amico di Tomo, la cui madre – così chiusa – arriva a tentare il suicidio.
Pio D’Emilia: Sì, esatto.
NipPop: Hai visto anche The City of Betrayal? Cosa ne pensi?
Pio D’Emilia: Anche The City of Betrayal è una bellissima storia del Giappone ‘on the road’, di tutti i giorni, quello che purtroppo nei vostri corsi non vi insegnano. Io dico sempre che per capire un paese bisogna conoscerlo e viverlo, e soprattutto un paese come il Giappone. Come umilmente ho fatto io, grazie a un professore dell’Orientale di Roma, che quando andavamo a lezione da lui quasi 40 anni fa, ci raccontava gli aspetti sociali del paese. Ad esempio ci raccontò come funzionavano i bordelli in Giappone, e poi a un certo punto disse: “Voi siete giovani, se volete conoscere, che vi frega di prendere una triennale o un diploma, prendete e partite, studiatelo sul campo”.
Comunque, tornando al film, è un’altra bella storia su una delle tematiche che da noi in Occidente, persino in Italia, sono ormai all’ordine del giorno. Penso per esempio alla vicenda del giovane che ha una relazione con una donna matura.
Tra l’altro devo dire che tutti questi film hanno in comune il fatto di narrare fenomeni più o meno drammatici in maniera delicata e anche divertente. E senza essere scurrili. L’erotismo di The City of Betrayal è un erotismo peculiare, diverso: non c’è nulla di ‘sporco’ in quel giovane che fa l’amore con una donna tanto più grande di lui, nulla di volgare. La delicatezza è una delle grandi qualità dei registi che abbiamo visto quest’anno. Quindi buone notizie per il Giappone, tranne, come dicevo per quel che riguarda Satoshi, che pare per altro sia costato tantissimo. Quanto alle pellicole di altri paesi non saprei, per ora mi hanno deluso i critici che insistevano sul regista italo-americano che ha realizzato un film d’azione in Cambogia, Jailbreak, sulle prigioni di massima sicurezza, una sorta di film di cappa e spada all’americana. Ecco, se bisogna fare film americani, lasciamoli fare agli americani, a Hollywood, che sono molto più bravi. Non dobbiamo per forza imitarli. Una volta che si trova una produzione disposta a fare un film in un paese diverso, strano, sconosciuto, in questo caso un paese uscito da un trentennio drammatico, facciamo qualcosa di diverso!
NipPop: Considerazioni generali? Cose che magari vorresti vedere o rivedere nei prossimi Far East?
Pio D’Emilia: Vorrei semplicemente che questo festival continuasse a crescere come è cresciuto finora. Sono un grande fan sia di Sabrina Baracetti sia di Thomas Bertacche, penso che abbiamo fatto un lavoro incredibile, enorme. Ho vissuto quasi tutte le edizioni del festival – sarò mancato forse a due o tre – e devo dire che cresce continuamente e nel modo giusto. E sono riusciti a mantenere anche una certa sensibilità, perché siamo in una regione culturalmente sensibile, il Friuli Venezia-Giulia. Dubito che tutto questo fosse possibile in altre regioni. L’unica cosa che mi dispiace un po’ è che sia un episodio, un ‘guarda e fuggi’, nel senso che vorrei vedere più addetti ai lavori italiani. Non so se lo avete notato, ma gli addetti ai lavori qui sono soprattutto stranieri. E le possibilità reali che uno dei film in programma arrivi sugli schermi italiani sono molto scarse, lo ammette la stessa Sabrina. Attraverso una società di distribuzione che hanno costituito, sono riusciti a mandare in giro alcuni film, per esempio Departure. Questo è un po’ un limite forse, ma io stesso posso solo lanciare un messaggio, di curare e tentare di più attraverso questa kermesse di bellissimi film asiatici, trovare il modo di sensibilizzare maggiormente il mercato sia del cinema che delle televisioni italiane, e far sì che qualcuna di queste pellicole finisca nelle nostre sale e nella nostra televisione. Quest’anno film cinesi che potrebbero piacermi non ne vedo, mentre in passato ce ne sono stati di bellissimi. C’è Taiwan che è di nuovo riemersa. Lo slogan di quest’anno è “Aspettatevi l’inaspettato”, ecco io penso che siamo stati salutati piuttosto da un “aspettato”. Nel senso che la rinascita del Giappone è una buona notizia, e speriamo che questa rinascita artistica corrisponda anche a una rinascita politica.
Se volete saperne di più su Pio D'Emilia:
The Land of Hope: Fukushima 7 anni dopo
Proiezione speciale per "Fukushima, a nuclear story"
"L'arte del sushi" a cura di Stefania Viti. Pop & posh sushi