Un romanzo poliedrico, impegnato, complicato, dalle mille sfaccettature che riflettono temi e idee come fossero raggi di luce – con Gli ultimi bambini di Tokyo torna in Italia Tawada Yōko, una delle scrittrici più importanti del panorama non solo della letteratura giapponese ma anche mondiale. Cosa potrebbe succedere se un nuovo fortissimo terremoto colpisse il paese, devastando completamente non solo l’ecosistema ma anche la stessa popolazione? Come reagirebbe il governo? Queste alcune delle domande alle quali Tawada prova a dare una risposta, immaginando un Giappone a tratti irriconoscibile e a tratti (quasi dolorosamente) familiare.
Il romanzo Gli ultimi bambini di Tokyo (Kentoshi 献灯使, 2014), pubblicato in Italia da Atmosphere libri nella traduzione di Veronica De Pieri, che firma anche la bella postfazione, si costruisce come racconto distopico, proiettato in un Giappone del futuro, in una dimensione temporale non chiaramente definita, dove tuttavia la realtà che noi conosciamo appare distorta e irriconoscibile. Durante la lettura si percepiscono dunque degli elementi che richiamano in qualche modo la quotidianità, suonano familiari, ma che al tempo stesso risultano stravolti quando vengono proiettati sullo scenario disturbante che Tawada immagina. Il romanzo ci trasporta di fatto in un Giappone isolato, che ha chiuso i propri confini e interrotto ogni relazione con l’esterno in seguito a uno spaventoso disastro nucleare che ha intaccato, forse in modo irreversibile, l’integrità del suolo e dei mari. La popolazione è quindi bloccata quasi in un mondo a sé stante, dove l’ordine naturale è ribaltato: i bambini nascono deboli e segnati dalla malattia, mentre gli anziani sono nel pieno delle loro forze e non sembrano destinati ad alcuna forma di deterioramento fisico o mentale.
Fra i protagonisti dunque un bambino di nome Mumei, dal corpo e dalla salute estremamente fragili, accudito dal bisnonno Yoshirō, che al contrario è ancora forte ed energico nonostante abbia superato i cent’anni. La scelta stessa dei nomi risulta molto evocativa: Mumei significa “senza nome”, mentre Yoshirō significa “uomo giusto”, richiamando alla mente i valori di un’epoca passata. È di fatto la voce del bisnonno a narrarci la storia, e il suo nome suona come una garanzia di affidabilità.
I continui riferimenti alla chiusura del paese catapultano chi legge oggi il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 2014, in uno scenario brutalmente familiare – inevitabile, infatti, il collegamento agli anni della pandemia globale che abbiamo appena vissuto, che ammanta Gli ultimi bambini di Tokyo di una suggestiva aura profetica. Di fatto Tawada Yōko, scegliendo la narrativa distopica, vuole invitare il pubblico a confrontarsi con le problematiche socio-politiche che attanagliano il paese dopo il disastro di Fukushima: l’inflazione, la crisi produttiva, un ritorno alla dipendenza dalle risorse agricole locali, ma soprattutto l’inquinamento e la crisi demografica.
Non a caso nel romanzo la contaminazione delle acque marine trasforma gli oceani in enormi discariche sommerse, mentre l’aria grava di sostanze dannose impercettibili all’occhio. La degenerazione arriva a toccare persino il latte materno, contaminato al punto di trasformarsi in veleno.
La paura dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici è rafforzata dal fatto che è proprio Madre Natura a ribellarsi invertendo l’ordine naturale, il ciclo della vita e della morte: non solo i giovani sono destinati a morire prematuramente e gli anziani invece a vivere a lungo, ma nelle nuove generazioni la mutazione genetica arriva addirittura a causare un cambio di sesso involontario che si può verificare anche più volte nel corso della vita.
Infine, l’autrice lascia spazio a un altro tema fondamentale degli anni subito seguiti alla triplice catastrofe di Fukushima: il pericolo del nucleare e il nemico invisibile per eccellenza, la radioattività. Nelle pagine del romanzo, Tawada dà voce a un trauma condiviso da tutti i giapponesi – il Giappone, infatti, è l’unica nazione ad aver subito sia un duplice bombardamento atomico sia un incidente nucleare. Attraverso la sua scrittura, quindi, l’autrice ci rende partecipi del proprio percorso spirituale fra i luoghi del triplice disastro del Tōhoku, dove è entrata in contatto diretto con le vittime, dando loro voce attraverso i protagonisti Mumei e Yoshirō.