NipPop incontra l’artista Tomoko Nagao.
A cura di Federica Cavazzuti e Francesco Barbieri.
NipPop: I tuoi lavori spesso presentano una rielaborazione di capolavori dell’arte europea (Caravaggio, Leonardo, Botticelli, Velazquez, eccetera), con alcuni esempi asiatici (Katsushika Hokusai). Tutte queste immagini sono facilmente riconoscibili, basti pensare ad esempio all’Ultima Cena di Laonardo, o alla Grande Onda di Hokusai. Nelle tue composizioni sono presenti, però, un atteggiamento kawaii, e riferimenti ai loghi di prodotti commerciali come Coca Cola, Zara, McDonald, Nutella… Come può essere interpretata tale scelta? È presente una critica al consumismo che sempre più invade le nostre vite?
Tomoko Nagao: Prima ancora di dipingere il capitalismo, volevo unire simboli classici e contemporanei. Questo perché mi interessa notare come diversi periodi storici possano mescolarsi all’interno della stessa società. Inoltre, nella mia arte, la presenza di loghi dei prodotti commerciali di oggi non è una critica. Anzi, in generale la società contemporanea, anche se sbagliata in alcune cose, mi fa avvertire una sensazione di amore e di pace mentale. Ritengo che il consumismo abbia portato a molti problemi nella nostra società, ma allo stesso tempo, essendo cresciuta in un ambiente consumista, non ho mai potuto vedere il mondo senza di esso. Brand come Coca Cola, Zara, McDonald, Nutella, Easyjet, Google, eccetera, sono per me quasi un nuovo linguaggio; possiamo trovare le stesse cose in tutto il mondo, con lo stesso nome, che viene usato da tutti senza bisogno di traduzione. Tutti li conoscono, e possono trovarli, comprarli, mangiarli e utilizzarli con facilità. Questi prodotti hanno cambiato la nostra vita in quelli che potremmo definire i quattro “fast”: fast food, fast fashion, fast transport, fast entertainment. Questi sono tutti interconnessi anche grazie ai media e al marketing. Ritengo però che la società del consumismo non esisterà più in questo modo tra 50 o forse 80 anni. Sarebbe interessante vedere come le mie opere saranno recepite allora, quando tali prodotti non faranno più parte della nostra vita. Di solito, quando realizzo i miei lavori, penso a essi nel futuro, tra almeno 50 anni.
NP: L’idea di usare certi capolavori dell’arte potrebbe essere considerata anche un tentativo di sovvertire un certo canone estetico, sopravvissuto nei secoli?
T.N.: Quando ho un’ispirazione per la mia arte, un’idea, uso il computer. Funziona in maniera più diretta per la mia mente, la mia immaginazione, e mi permette di pensare di più rispetto a materiali come matite, pennelli, colori. Mi interessa trasmettere un messaggio complicato o qualcosa di manuale attraverso la computer grafica, le forme sono spesso semplici e penso che questo lo renda più facile da comprendere, e più adatto alla nostra società.
In aggiunta, tutto in Giappone al giorno d’oggi è reso kawaii. L’aspetto kawaii è irrimediabilmente connesso alla società giapponese degli ultimi decenni e, secondo me, oggi la cultura del mio paese ha assunto una componente più “femminile”, a differenza degli aspetti più “maschili” che aveva prima della guerra. Le società europee invece sono ancora molto mascoline, ma ora, grazie alla globalizzazione, tutte queste culture possono mescolarsi e dare vita a qualcosa di veramente nuovo.
NP: Puoi nominare alcuni degli artisti che più di tutti ti sono stati di ispirazione? Considerando il tuo stile e la tecnica che usi, si potrebbe dire che alcune tue opere ricordano i colori e l’immaginario di Yoshitomo Nara (che tra l’altro ha rielaborato, allo stesso modo, capolavori di bijinga giapponesi) o Murakami Takashi. Perciò, dal punto di vista artistico, qual è il tuo rapporto con il pop giapponese (neopop e micropop)? E con altri artisti internazionali?
T.N.: Ho iniziato a creare arte quando ero molto giovane, e molti artisti sono stati miei insegnanti nella scuola che frequentavo a Nagoya. Yoshitomo Nara è uno di questi. Ritengo che mi abbia influenzato dal punto di vista delle tecniche quasi inconsciamente, per diversi anni, così come altri artisti di Nagoya, anche se i concetti alla base del nostro lavoro sono diversi. In generale, per me è molto importante essere un’artista internazionale, non voglio limitarmi solo all’interno dei confini del mio paese; nella mia arte uso il più possibile linguaggi internazionali, che possano essere capiti da tutti, anche se mi riferisco a qualcosa di personale o di giapponese.
NP: Di recente hai decorato il paesaggio urbano di Milano con le tue opere, pensiamo ad esempio ai dipinti realizzati sulle saracinesche in via Crespi. Questa scelta è sicuramente molto azzeccata, soprattutto se consideriamo che le strade sono il luogo per eccellenza dove di solito troviamo cartelloni pubblicitari e poster. Com’è il tuo rapporto con la public art? Hai in progetto altri lavori di questo tipo?
T.N.: I dipinti di via Crespi, come i loghi di Marlboro o Nutella, avevano in quel caso un diverso significato anche in riferimento al fatto che in quella zona vivono molti stranieri ed è una delle aree con il maggiore mix culturale di Milano. In generale, ritengo che le opere d’arte in luoghi pubblici presentino aspetti positivi e negativi. Vengono sicuramente viste più di quanto non avvenga all’interno di musei e gallerie, e questo genera naturalmente molte più opinioni e molti più problemi. Le mie opere in luoghi pubblici assumono una moltitudine incalcolabile di significati, che mi emoziona molto.
NP: Perchè hai scelto Milano come luogo dove vivere e lavorare? Questa decisione ha influito sulla tua arte?
T.N.: Mi sono trasferita a Milano per motivi personali, ma volevo già andare via dal Giappone dopo aver vissuto a Londra per un periodo. Questo mi ha portata a usare nella mia arte molte cose che ho appreso o visto qui in Italia. Penso che i miei lavori rappresentino una cultura ibrida, una sorta di arte di immigrazione. Se ne avrò occasione, in futuro, mi piacerebbe provare a vivere in un altro posto ancora.