Italia, terra d’artisti e poeti, musicisti e cineasti, ancorata alla propria tradizione ma da sempre sedotta dal fascino dell’oriental costume, sensibile al gusto raffinato proveniente dalla terra del Sol Levante ed estimatrice del cinema dagli occhi a mandorla, come testimoniano il Far East Film Festival di Udine e i numerosi riconoscimenti nelle varie edizioni del celeberrimo Festival del Cinema di Venezia, dove il maestro d’animazione Hayao Miyazaki ha abbracciato il suo Leone d’oro alla carriera.
La Tucker Film, dopo un accurato lavoro di restauro digitale dalla major nipponica Shochiku, è stata così in grado di regalare al pubblico italico 6 capolavori della storia del cinema mondiale firmati dal giapponese Ozu Yasujirō (Tarda primavera, Viaggio a Tokyo, Fiori d’equinozio, Buon giorno, Tardo autunno, Il gusto del saké).
Un regista eccentrico, perfezionista, profondo ammiratore dell’arte cinematografica euro-americana che, grazie al suo realismo, alla sua semplicità, rende il pubblico testimone dell’incontro/scontro tra l’elemento moderno e quello tradizionale all’interno della società da lui vissuta, turbata dalle devastazioni della seconda guerra mondiale, i cui bombardamenti hanno distrutto gran parte delle sue pellicole giovanili. Ricordato come un autore in costante evoluzione, nel periodo di sua massima maturità abbraccia uno stile decisamente più contemplativo, nuovo, che trascende le regole cinematografiche. Prende così le distanze da quella Hollywood che in giovane età l’aveva tanto affascinato a favore di un esasperato simbolismo, del minimalismo e di un’accurata psicologia.
Grande merito di Ozu Yasujirō fu quello di valorizzare il talento di Setsuko Hara, sua attrice prediletta e una delle più importanti interpreti femminili del cinema nipponico. Nonostante i primi approcci con il mondo dello spettacolo fossero avvenuti all’età di 15 anni grazie all’aiuto del marito della sua sorella più grande, il regista Hisatora Kumagai, la notorietà arrivò molto più tardi in seguito alle interpretazioni in due famosi lungometraggi del maestro Akira Kurosawa, quali Waga seishun ni kuinashi e L’idiota, adattamento cinematografico del famoso romanzo di Dostojevski. Ma è con Ozu che l’attrice conosce la sua consacrazione artistica, modellando su di sé le idee scaturite dalla mente del maestro con disarmante naturalezza e con una consapevolezza del proprio talento fuori dal comune.
Setsuko Hara dà vita alla rappresentazione cinematografica di una figura femminile così lontana nel tempo eppure talmente moderna da sembrar contemporanea, attuale, familiare. E’ la donna oppressa dalle convenzioni sociali, costretta a trascorre una vita travagliata da strazianti attese, pressioni, pregiudizi e oppressioni. Ma è la sua forza d’animo trasposta sullo schermo a infondere forza vitale ai volti di tutte quelle donne, le sue emozioni rubano l’attenzione dello spettatore e la custodiscono gelosamente sino ai titoli di coda, catturano gli animi speranzosi e al contempo desiderosi di godere nuovamente di uno dei suoi enigmatici sorrisi, che ondeggiano tra la celata tristezza e una calda gioia. Una donna che incarna con il suo fascino tutte le caratteristiche della impermeabilità tanto cara alla cultura giapponese, il mono no aware.
Toltasi la maschera di Setsuko Hara, dopo la morte di Ozu Yasujirō nel 1963, ritornò a vestire il nome di Masae Aida, il suo nome di battesimo censurato sino a quel momento dalle luci della ribalta. L’“eterna vergine”, così come era chiamata a causa della sua espressa volontà di non voler contrarre matrimonio, evidenziando così una profonda frattura con la tradizione (nonostante le maldicenze che la imputavano amante del regista Ozu, anch’egli scapolo), si ritirò a Kamakura per sfuggire per sempre agli occhi indiscreti di coloro che maledicevano la sua uscita dalle scene, suggellando clamorosamente la sua carriera artistica nella stessa maniera in cui si era evoluta, genio e sregolatezza della “Greta Garbo” d’Asia pronta a conquistare il pubblico italiano.