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Restyling made in Ghibli – Il sogno dell’aviazione giapponese

20 Aprile 2015
Domenico Maria D’Adamo

Che il genio del maestro d’animazione Hayao Miyazaki sia fortemente affascinato dalla vastità del cielo e ancor di più dalla capacità dell’uomo di poterlo solcare attraverso proprie incredibili invenzioni lo si evince dalla sua abbondante filmografia.

 Dirigibili, idrovolanti e antichi aeroplani, ma anche scope stregate, futuristiche macchine volanti, un’intera città che si libra leggera, sono alcuni degli elementi che popolano i suoi numerosi capolavori, impressi con una tale naturalezza e una tale contagiosa curiosità da far innamorare spettatori d’ ogni età.

La passione per il volo del regista giapponese nasce dal contatto, sin dalla più tenera età, con il mondo dell’aviazione, all’interno di un azienda produttrice di parti per aerei nella quale il padre rivestiva il ruolo di coproprietario, e si instilla nella sua mente tanto in profondità da influenzarne in maniera decisiva la carriera artistica. Nel 2013 vede la luce il suo ultimo lungometraggio prima del ritiro dalle scene, Si alza il vento (風立ちぬ), che ripercorre con marcati cenni autobiografici la travagliata storia dell’ingegnere aeronautico Horikoshi Jirō (堀越 二郎), nato il 22 giugno 1903 a Fujioka e morto a Tokyo nel gennaio del 1982. L’opera trae ispirazione dal manga Kaze tachinu (風立ちぬ), disegnato dallo stesso Miyazaki e a sua volta ispirato all’omonimo romanzo dell’autore Hori Tatsuo (堀 辰雄).

Miyazaki, attraverso la sua fiabesca inventiva, rende lo spettatore partecipe del passaggio dai malinconici sogni d’infanzia del protagonista alla nascita del suo progetto, rimasto celebre nella storia dell’aviazione, l’aereo Mitsubishi A6M, più noto come “Zero”, velivolo impiegato durante la seconda guerra mondiale dall’esercito imperiale. Chiamato Reisen in terra natia, per gli americani aveva assunto il nome di Zeke, diminutivo di Zaccaria, secondo la tradizione a stelle e strisce di nominare gli aeroplani giapponesi con nomi maschili se modello caccia, con nomi femminili se bombardieri. L’origine del nome “Zero” sarebbe dovuta al suo anno d’entrata in servizio, il 1940, ovvero l’anno 2600 del calendario giapponese, ’00 per l’appunto. Venne ideato come modello basato su portaerei e considerato l’erede dell’ormai obsoleto Mitsubishi A5M (anch’esso un’invenzione di Horikoshi) che appare, al contrario del suo successore, numerose volte all’interno della pellicola di Miyazaki, come perno salvifico nei momenti cruciali della vita del protagonista, schiacciato nella morsa delle aspettative lavorative sempre più pressanti e della grave malattia della moglie.

La storia del Mitsubishi A6M racconta di come, già nel 1937, la Marina Imperiale Giapponese fosse alla ricerca di un modello più efficiente e raffinato dell’A5M che, nonostante non fosse ancora entrato in servizio in quegli anni (fu poi largamente utilizzato agli albori della seconda guerra sino-giapponese), veniva già considerato ampiamente migliorabile. Si mirava, nello specifico, a una maggiore velocità di salita e a una velocità di 500 km/h a 4000 m, a un’autonomia di 8 ore, a serbatoi supplementari, a un armamento composto da due cannoni (da 20 mm) e ben due mitragliatrici (da 7.7 mm), accompagnate da 60 kg di bombe. Venne inoltre sottolineata la necessità di una migliore maneggevolezza, sicuramente non inferiore al modello destinato a essere sostituito, apparati radio a bordo e radiogoniometri (necessari per poter fornire indicazioni su direzioni e posizioni anche in condizioni di visibilità pessime) e un’apertura alare relativamente ridotta per consentire un facile imbarco. Il progetto venne considerato irrealizzabile dagli ingegneri dell’azienda Nakajima Hikōki. Jirō Horikoshi, diventato capo progettista dell’azienda Mitsubishi, riuscì nell’impresa, alleggerendo l’aereo il più possibile. L’utilizzo di duralluminio (lega metallica molto leggera nata in Germania, usata in origine per la costruzione di telai di dirigibili), l’utilizzo del carrello retrattile (che rimpiazzò quello fisso dell’A5M) e un assetto alare basso e fissato alla fusoliera nella parte centrale, senza utilizzo di strutture esterne come le ali a sbalzo, resero lo “Zero” uno dei più moderni aeroplani dell’epoca, alimentando la leggenda del leggerissimo caccia giapponese. Furono i dominatori della Guerra del Pacifico, il fiore all’occhiello della Marina nipponica e l’orgoglio dell’ingegneria del Sol Levante, ma, come spesso accade, il mito finì per ingigantire la realtà, rendendola irresistibile e inattaccabile, e quindi, dietro al sogno del samurai dei cieli si cominciò ad annidare ben presto un fastidioso incubo. Lo Zero non si distinse infatti per una particolare robustezza o velocità, anzi, risultò piuttosto fragile e facilmente infiammabile.

Riconosciuta la brillantezza del suo inventore e le impressionanti tecniche di costruzione per l’epoca, l’A6M riuscì nella sua impresa del Pacifico soprattutto grazie alla qualità inferiore degli aeroplani americani e britannici. Con la modernizzazione dell’aeronautica statunitense, la scarsa disponibilità in Giappone di motori di una determinata potenza e i problemi rilevati con i modelli progettati per sostituire lo “Zero”, esso rimase in produzione sino alla fine del conflitto, con le disastrose conseguenze derivanti da questi fattori. Risultò inoltre decisiva la costante diminuzione di validi piloti, rimasti uccisi o gravemente feriti, la scarsa dotazione di paracaduti nei primi anni del conflitto, in quanto limitavano i movimenti nell’abitacolo ed erano ritenuti sconvenienti secondo il codice d’onore dei guerrieri, e la mancanza di bulloni esplosivi per l’apertura del tetto della carlinga in caso di incidenti (l’operazione veniva svolta manualmente). Nonostante ciò, la macchina nata dalla mente visionaria di Jirō Horikoshi merita il posto che detiene nell’immaginario collettivo, poiché non venne mai eguagliata nella manovrabilità da nessun aereo caccia del periodo e merita di essere ricordata tra i mostri sacri dell’ingegneria mondiale e del Sol Levante, al pari della mitica corazzata Yamato, come simbolo della potenza imperiale, della sua progressione scientifica e tecnologica.

Diviso tra la dura realtà che si prepara alla guerra e un mondo onirico dove è consentito dialogare con la saggia rappresentazione dell’eloquente ingegnere Giovanni Battista Caproni (pioniere dell’aviazione italiana dei primi anni del ‘900), che svolgerà la funzione di guida spirituale oltre che professionale, il Jirō Horikoshi presentato da Miyazaki, impossibilitato a diventare un pilota a causa di un difetto della vista, riesce a concretizzare nonostante tutto il proprio bisogno di libertà, d’assenza di gravità, in una nazione in fermento che ha tempestivamente spiegato le sue ali, approfittando dell’attimo in cui “si alza il vento”.

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