Nobi – Fires on the Plain è l'ultimo film di Tsukamoto Shin'ya tratto dall'omonimo romanzo di Ōoka Shohei (pubblicato nel 1951, in italiano La guerra del soldato Tamura, Einaudi 1957). Presentato alla 71^ Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, ha concorso per il Leone d'Oro. Attualmente è in concorso al Toronto International Film Festival.
Filippine, fase finale della Seconda Guerra Mondiale. Le forze giapponesi hanno invaso alcune isole e si scontrano con esercito americano e locali per mantenerne il controllo, ma sono ormai allo stremo delle forze e manca poco alla disfatta. Il soldato Tamura, che prima della guerra scriveva romanzi, si è ammalato di tubercolosi e viene per questo abbandonato sia dal suo plotone che dall'ospedale mobile. Si unisce a un gruppo di incurabili accampati fuori dall'ospedale, finché durante un'incursione aerea questo non viene distrutto. Rimasto solo, Tamura vaga per giorni alla disperata ricerca di cibo. Si addentra in un villaggio abbandonato alla ricerca di fiammiferi per cucinare le patate dolci che ha raccolto, e qui trova una giovane coppia a cui chiede aiuto. La donna urla spaventata, e Tamura per errore preme il grilletto del fucile uccidendola. Da quel momento le urla della donna lo perseguiteranno nei suoi incubi insieme ai fuochi sulla pianura, accesi dai locali per segnalare la presenza giapponese agli americani.
Tamura riesce a inserirsi in un piccolo plotone di sopravvissuti in viaggio verso un punto di raccolta. Il percorso in mezzo alla giungla è costellato di corpi di soldati morti, esanimi o ancora impazziti per la fame e l'orrore delle battaglie. Sorpresi dalle forze alleate, i soldati vengono trucidati senza pietà e solo Tamura e pochissimi altri riescono a sopravvivere. Solo, affamato, esausto e impossibilitato ad arrendersi, Tamura viene infine trascinato in un nuovo incubo, quello del cannibalismo. Non ci sono più esercito nemico né commilitoni, la vera guerra è quella della sopravvivenza. Venire infine catturato dagli americani sembra sollievo e salvezza.
Anni dopo Tamura raccoglie i suoi ricordi in un libro, ma nonostante il passare del tempo e la sicurezza di una casa e di un pasto caldo, il suo trauma di reduce rimane immutato, così come il terrore dei fuochi nella giungla che ancora lo seguono nei suoi incubi.
Tsukamoto non è un regista che edulcora o diluisce contenuti e tematiche, e questo film non fa eccezione. La Seconda Guerra Mondiale, come l'hanno conosciuta i reduci che hanno combattuto nelle isole del Pacifico, è stata una disfatta fisica e morale, e nulla di ciò che Tsukamoto ha trasposto in film è irreale o fantasioso. Il film è forte, violento e non nasconde nulla della realtà tremenda che vuole raccontare.
Nei commenti giornalistici appena successivi alla proiezione alla Mostra c'erano alcune parole che risaltavano: "scene splatter" e "sguardo che si sofferma su dettagli raccapriccianti". Ma non è lo splatter morboso o immotivato, appunto, bensì uno sguardo realistico, inorridito di fronte alla mostruosità di ciò che accade, e privo di qualsiasi compiacimento. Più che uno spettacolo per stomaci forti, Nobi tenta di risvegliare le coscienze sonnolente dei tempi di pace e prosperità, per ricordare gli effetti della guerra sui corpi e sulle menti delle persone ‘normali’, che vengono coinvolte senza possibilità di scelta in una realtà di paura costante della morte. Questa violenza visiva è il suo coraggio: pochissimi cineasti hanno raccontato la guerra senza filtri, senza vittimismo o tentativi di mitizzazione.
Un altro punto a favore di questo racconto di guerra è il rifiuto a definire buono e cattivo, amico e nemico, e il conseguente perdersi della tensione dualistica normalmente implicita nel concetto di guerra. In questo modo il vero protagonista non è la motivazione patriottica ed eroica dei soldati, bensì l'incombente clima di paura: di morire e lasciare il proprio corpo a marcire nella giungla, di non tornare a casa, di finire ucciso e mangiato dagli ex commilitoni. Più in generale, il film dimostra l'assurdità di una guerra che porta le persone normali a vivere un inferno in terra per le motivazioni egoiste di chi, dall'alto, si limita a pensare ai propri interessi.
La narrazione è estremamente fluida e coinvolgente grazie anche al montaggio serrato e curatissimo, che porta lo spettatore a vivere la spirale discendente vissuta dal protagonista con un'ansia crescente. L'espressione terrorizzata di Tsukamoto/Tamura è simbolica: lo sguardo allucinato e incredulo è lo stesso dello spettatore, sempre più coinvolto man mano che la pellicola scorre. I paesaggi meravigliosi della natura delle Filippine e il verde della giungla a volte sono cornice alle vicende umane, a volte sono l'unico appiglio e respiro di sollievo, ma rappresentano anche il metro sullo sfondo del quale si misura la piccolezza – in tutti i sensi – degli esseri umani.
Nobi (Fires on the Plain) di Shinya Tsukamoto – Giappone, 87'
Lingua: giapponese, filippino
Interpreti: Tsukamoto Shinya, Mori Yusaku, Nakamura Yuko, Nakamura Tatsuya, Franky Lily
Musiche: Ishikawa Chu