Macoto Tezka ha partecipato in concorso al Tokyo International Film Festival 2019 con una pellicola conturbante tratta da Barbara, una delle opere più mature del padre Osamu Tezuka.
Immagino che nascere figlio d’arte sia un’esperienza da un lato stimolante, dall’altro faticosa per il fatto di trovarsi costantemente a confronto con il proprio genitore. Chissà se è stato così anche per Macoto Tezka (AKA Makoto Tezuka), figlio del celebre mangaka Osamu Tezuka (conosciuto anche come “Il Dio del Manga”). Quello che è certo è che, quando nel 1973 suo padre iniziò a scrivere il manga Barbara, Macoto, che allora aveva 10 anni, rimase molto colpito dalle tavole che disegnava e talvolta lasciava in giro per casa.
Infatti Barbara (in originale Barubora ばるぼら) è un racconto erotico, figlio di un momento della sua carriera in cui Tezuka voleva uscire dagli stretti panni di fumettista “per ragazzi” e raggiungere un pubblico adulto. Il manga (di cui trovate un’analisi approfondita qui) è ricco di scene di sesso e occultismo, e non faccio fatica a immaginare quanto potesse impressionare un ragazzino. Macoto Tezka, affermatosi come regista già negli anni ’80, ha aspettato più di quarant’anni per fare i conti con l’eredità del padre, e finalmente ha portato su pellicola quel racconto. Il film, realizzato in occasione del 90° anniversario della nascita di Osamu Tezuka, ha gareggiato in concorso al Tokyo International Film Festival.
La Trama
Yosuke è uno scrittore di successo dal carattere tenebroso. Un giorno incontra Barbara, una bellissima hippie, senzatetto e alcolizzata, e le offre aiuto portandola a casa sua. Inizialmente se ne pente, quando la ragazza, costantemente ubriaca, gli mette a soqquadro casa e distrugge la sua compassata routine di intellettuale. Sotto un aspetto sporco e trascurato, Barbara nasconde però una natura molto più complessa: conosce tutti i suoi libri, cita Verlaine a memoria, lo conduce in angoli di Tokyo sconosciuti e affascinanti. Ben presto i ruoli si capovolgono, ed è Barbara ad aiutare Yosuke, diventandone la musa ispiratrice.
Infatti, nonostante Yosuke sia all’apice del suo successo come autore, è ormai privo di idee e stanco dei salotti letterari. Rischia di cedere alla tentazione del denaro, svendendosi e scrivendo romanzi da quattro soldi; o a quella del potere, quando il padre della sua fidanzata, importante deputato, gli chiede di appoggiare la sua campagna elettorale. Grazie alla presenza anarchica e allucinata di Barbara, si rende conto di vivere in una realtà che è essa stessa allucinante, schiava di perverse logiche di potere. Lo vediamo in una scena che è tra le più riuscite per valore simbolico ed estetico: Yosuke, riconosciuto dalla commessa di un negozio di lingerie che è una sua ammiratrice, si ritrova da lei coinvolto in un gioco sadomasochistico di umiliazione reciproca. Improvvisamente Barbara irrompe e si scaglia contro la commessa facendola letteralmente a pezzi, rivelando la sua vera natura: si tratta nient’altro che di un manichino, intrigante metafora del feticismo della merce.
Barbara gli offre la libertà da tutto questo, la possibilità di vivere senza compromessi, dedicandosi soltanto alla sua arte e a lei. Ma c’è un contrappasso: più i due diventano vicini, più gli eventi intorno a Yosuke prendono una piega strana e misteriosa; Barbara forse è una musa non soltanto in senso metaforico. Per poter restare con lei, Yosuke dovrà firmare un inquietante contratto la madre, Mnemosyne, un’entità magica dall’aspetto giunonico a capo di una strana setta religiosa. Il prezzo da pagare è alto, e quando il contratto viene mandato all’aria da un imprevisto, i due sono costretti a fuggire, sprofondano in una spirale di decadenza e follia.
L’approccio di Macoto Tezka
Dopo la proiezione, una delle più attese al Tokyo International Film Festival, Tezka è salito sul palco per rispondere ad alcune domande dei giornalisti. Com’era prevedibile, gli sono state fatte molte domande sul rapporto con l’opera originale e con il padre. Ne è emerso tutto il peso di confrontarsi con un’eredità come quella di Osamu Tezuka, la cui fama in terra nipponica è inarrivabile.
Macoto Tezka risponde alle domande dei giornalisti dopo la proiezione del film al Tokyo International film Festival
Macoto Tezka è riuscito reggere il confronto decidendo di non cercare di riprodurre il manga. Barbara era anche e soprattutto un manga politico, l’occasione per fare una satira feroce dei salotti intellettuali e della società dell’epoca. Per evitare l’effetto nostalgico, la temporalità del film è stata spostata nel presente, sfruttando al contempo le somiglianze tra gli anni ’70 e i nostri giorni: l’accrescersi delle disuguaglianze sociali, il clima di decadenza e il disappunto nei confronti delle istituzioni. Ma Tezka mantiene gli elementi di critica sociale sullo sfondo, concentrandosi piuttosto sulla storia d’amore tra i due protagonisti e sul ruolo della città.
Per far ciò si affida soprattutto al lavoro di squadra. Fondamentale trovare un cast capace di recitare senza inibizioni in un film ricco di scene decisamente sopra le righe. Inagaki Goro (ex-idol nella boy-band SMAP) interpreta Yosuke, Nikaidō Fumi (che avevamo già visto in Fly Me to Saitama) è Barbara, mentre Eri Watanabe (celebre soprattutto per Shall We Dance) è Mnemosyne. Più che le performance attoriali in sé, convince il modo in cui gli attori riescono calzare i panni di personaggi che sembrano davvero usciti dalle pagine di un fumetto, senza finire per sembrare cosplayer, grazie anche al lavoro del costumista Tsuge Isao.
Per dipingere una Tokyo intrisa di realismo magico, che potesse ricordare le atmosfere degli anni ’70 senza scadere nella nostalgia, Tezka si è affidato all’occhio di Christopher Doyle, celebre direttore della fotografia veterano dell’industria cinematografica di Hong Kong. Il risultato è un’estetica che colpisce nei suoi giochi cromatici e nell’attenzione ai dettagli nascosti negli angoli più bui del panorama urbano.
Pur semplificando le molteplici sfaccettature del manga, il film riesce a trasmettere il proprio messaggio. Nella relazione tra Yosuke e Barbara intravediamo l’eterno conflitto interiore dell’artista romantico: combattuto tra le pressioni sociali e il ricatto della fama da un lato, e l’amore per l’arte senza compromessi dall’altro, è inevitabilmente destinato alla decadenza. Barbara, la musa, rappresenta la natura ambigua e mefistofelica dell’arte: donna da amare e diavolo tentatore. Ciò che colpisce della pellicola è però soprattutto l’apparato visivo e sensoriale, che quasi stordisce per la sua vividezza e la forte carica emotiva, sublimando con l’estetica le scene più conturbanti e violente. Ciliegina sulla torta, le musiche schizofreniche di Hashimoto Ichiko, che spaziano dal free-jazz al pop e sottolineano le personalità e gli stati emotivi dei personaggi.