Ancora in occasione di Letti di Notte, la notte dei lettori, a Milano alla Libreria Azalai, il 21 giugno 2014, NipPop intervista la scrittrice Francesca Scotti. Nata a Milano, diplomata al Conservatorio e laureata in Giurisprudenza, Francesca ha esordito nel 2011 con la raccolta di racconti Qualcosa di simile (Italic), vincitrice del Premio Fucini e finalista al Premio Città di Offida-Lussu.
Dal libro è stato tratto l’omonimo cortometraggio per la regia di Alessandra Pescetta. È autrice inoltre dei volumi d’arte Mizumono, Tsukemono e Konomono (Edizioni Il Robot adorabile) e collabora, tra l’altro, con Radio Popolare e Glamour. Vive tra l’Italia e il Giappone.
Francesca, possiamo definire la tua scrittura come un'espressione a cavallo fra Italia e Giappone, due culture apparentemente distanti che sembrano avere trovato un fragile equilibrio nei tuoi romanzi. La prima è una domanda forse obbligatoria, ma quali sono gli autori giapponesi e italiani (o anche stranieri) che hanno giocato un ruolo preponderante nella tua ispirazione?
Quando sono partita per il mio primo viaggio in Giappone non avevo all’attivo molta narrativa giapponese, ma ho pensato che, non conoscendo la lingua, leggere autori “autoctoni” mi avrebbe permesso un maggiore dialogo con i luoghi e le persone che avrei incontrato.
Nel bagaglio avevo quattro titoli: La voce delle onde di Mishima, Norwegian Wood di Murakami, La banda di Asakusa di Kawabata e L’anulare di Ogawa Yōko. Quest’ultimo è stato senza dubbio l’inizio di un grande amore per la scrittrice e le sue storie.
Per quanto riguarda il resto del mondo ho un comodino schizofrenico che va dal realismo magico di Landolfi ai libri di Elizabeth Strout, attraversando I ricordi di un entomologo di Fabre per arrivare a graphic novel come Il Nao di Brown o La chiamano estate. Poi ci sono le fiabe: ora sono in fase Cappuccetto Rosso, ne ho uno nuovo e bellissimo raccontato dai disegni di Juanjo G. Oller.
Il tuo è sicuramente un ruolo importante: sei in un certo senso una mediatrice culturale, e nel tuo ultimo libro, L'origine della distanza, oltre che narratrice ti fai – possiamo dire – presentatrice di alcuni aspetti della cultura giapponese al pubblico italiano. Aspetti sicuramente non comuni, al di fuori dello stereotipo e del conosciuto, come il fenomeno degli "evaporati" o il diverso rapporto col corpo che si ha nella cultura europea e in quella giapponese. Un compito a volte difficile…
Come dici tu, la sorgente di questo libro la ritrovo nella mia esperienza di vita in Giappone. Non solo perché Kyōto ne è lo scenario, ma per tutte le sfumature, le ombre, le scoperte che questo cambiamento ha portato con sé nella mia vita e nel mio immaginario. Il Giappone mi ha permesso di affrontare la distanza in molte delle sue declinazioni, di confrontarmi con le mie radici, di guardarle come se le tenessi in un bicchiere. Tōkyō, Kyōto e ora Nagoya sono stati tre luoghi prima reali che immaginari, e che ho raggiunto senza fascinazioni o aspettative: spero che questo mi abbia aiutato a tessere in maniera pura la trama de L’origine della distanza. Nelle vicende di Vittoria si incontra indubbiamente la meraviglia della diversità, del capovolgimento di molti aspetti della vita ma ci sono anche storie ascoltate per strada e altre completate dalla fantasia. Nessuna pretesa di “spiegare” il Giappone dunque! Ma solo il desiderio di offrire un racconto fatto di molti frammenti, di esperienze, nel quale ciò che sfugge davvero, almeno per una parte, è la propria identità.
Una domanda più giocosa: per lavoro, viaggi continuamente avanti e indietro fra Nagoya e Milano. Che cosa ti manca di più del Giappone quando sei in Italia e, viceversa, dell'Italia quando sei in Giappone?
Come scriveva Bashō: “Anche a Kyōto sento la mancanza di Kyōto”!
Può sembrare un eccesso ma devo ammettere che davanti alla bellezza profonda di alcuni scorci, o gesti, o colori naturali ho provato una nostalgia furibonda, pur essendo immersa nella meraviglia. Ecco, questo mi capita solo in Giappone. Dell’Italia mi manca il calore, non delle persone ma delle case d’inverno! Quelle giapponesi nelle quali ho vissuto raggiungevano temperature rigide se non costantemente riscaldate con i “condizionatori”. Un caldo fittizio, non molto accogliente. Mi mancano la frutta che ha assorbito il sole del nostro sud, le librerie e i giornali. Certo, se fossi brava a leggere il giapponese sarebbe diverso! E poi, ovviamente, alcuni affetti, ma questo riguarda la distanza, non il paese.
Viceversa, quando sono in Italia, del Giappone ho una nostalgia più complessiva e fatico a individuarne le componenti. È come se mi mancasse la meraviglia che, dopo anni, riesce ancora a farmi provare, la curiosità, l’eccitazione dei sensi.
Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando su una storia nuova, credo sia arrivato il momento – temutissimo! – per misurarmi con la dimensione del romanzo. Poi continuo a esercitare la mia curiosità per il lavoro degli altri curando due rubriche per il sito www.hounlibrointesta.it (“Fra le righe” e “Cosa leggono i musicisti”).