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NipPop incontra Gala Maria Follaco: La ragazza del Kyūshū

9 Dicembre 2019
NipPop Staff

 


NipPop ha avuto il piacere di intervistare Gala Maria Follaco, professoressa di lingua e letteratura giapponese presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale" e traduttrice di La ragazza del Kyūshū, l'opera che sarà protagonista mercoledì 11 dicembre della terza serata del NipPop Book Club.

NipPop: Cara Gala, prima di tutto ti ringraziamo molto per la partecipazione al nostro Bookclub attraverso questa intervista. La ragazza del Kyūshū, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1961 e in Italia nel 2019 per Adelphi, è il secondo romanzo di Matsumoto Seichō che traduci dopo Tokyo Express. Matsumoto è stato definito il “Simenon giapponese” e i suoi romanzi sono generalmente annoverati nel sottogenere del “giallo psicologico”: nel concreto, in che modo le sue trame si differenziano da quelle proposte da altri autori del Sol Levante, anche di quelli di cui ti sei occupata in prima persona, come Yoshida Shūichi?

Gala M. Follaco: Grazie a voi per avermi coinvolto e per aver scelto La ragazza del Kyūshū. Tradurre Matsumoto Seichō mi ha appassionato molto, mi ha anche divertito, perché grazie a questo lavoro ho avuto la possibilità di confrontarmi con la lingua e i temi di un’epoca a cui non ho modo di avvicinarmi spesso. Nel mio lavoro di traduzione, come pure nella ricerca accademica, mi dedico di solito a periodi anteriori (dalla fine del Novecento, con Nagai Kafū e Higuchi Ichiyō, agli anni venti o trenta, con Kawabata e Tanizaki) o di molto posteriori (in particolare gli ultimi vent’anni, con Yoshimoto Banana e Yoshida Shūichi). Matsumoto Seichō scrive in un periodo completamente diverso rispetto a entrambi, il palcoscenico delle sue opere è il Giappone del dopoguerra, che in vista di queste due traduzioni ho dovuto studiare approfonditamente. Sia Tokyo Express che La ragazza del Kyūshū raccontano storie da cui traspare lo stato d’animo delle persone riguardo ai grandi cambiamenti dell’epoca, c’è la corsa alla ricostruzione, il desiderio di una ripresa, di un vero e proprio miracolo economico, che allora era promosso anche attraverso il mito dell’efficienza e del benessere, presente in entrambi i romanzi. All’inizio di Tokyo Express c’è un breve dialogo in cui le due ragazze, passeggiando per Ginza, notano che il quartiere è molto più tranquillo rispetto alla vigilia di Natale, poche settimane prima; ebbene, la vigilia di Natale del 1957 era stata quella in cui a Ginza si registrò il maggior numero di presenze dopo la fine della guerra, un evento che fu letto dalla stampa come il segnale che il Giappone si era ormai ripreso, che non era più un paese in ricostruzione. Matsumoto, quindi, ha inserito un elemento dal profondo significato simbolico in uno scambio apparentemente casuale. In realtà il romanzo ha un’ulteriore chiave di lettura oltre a quella più puramente poliziesca: può essere considerato una meditazione sui cambiamenti sociali in atto nel Giappone del dopoguerra, e lo stesso naturalmente vale per La ragazza del Kyūshū. La psiche dell’individuo in contesti di grande trasformazione è un tema di grande fascino, a mio avviso, e non mi sorprende che Matsumoto ne abbia fatto il centro nevralgico della propria poetica.
Io sono abituata a confrontarmi con questi temi perché lavoro sull’epoca Meiji, che è stata una transizione (benché molto conservativa, e anzi, buona parte della complessità della transizione era legata agli elementi di continuità rispetto al passato) tra le più clamorose della storia giapponese, e poi, in misura minore, sulla letteratura post-bolla finanziaria. Ma se in epoca Meiji la ricerca psichica dei personaggi letterari era orientata soprattutto all’individuazione della propria identità, mentre negli ultimi decenni essi appaiono mossi dalla necessità di recuperare una visione unitaria di sé in un contesto di cronica precarietà, come per esempio avviene in Appartamento 401 di Yoshida Shūichi, nell’opera di Matsumoto l’elemento psicologico è visto come il soggetto e l’oggetto, al tempo stesso, di continue oscillazioni: esso è parte di un sistema che lo condiziona, di questo sistema intuisce le contraddizioni e fa per opporvisi, ma non ci riesce e ritorna al punto di partenza. In Yoshida l’impotenza di fronte al sistema è un dato di fatto; in Matsumoto, che scrive mezzo secolo prima, c’è la graduale presa di coscienza di tale impotenza.


Gala Maria Follaco con Yoshimoto Banana. (Copyright: napoli.fanpage)

NipPop: Accanto all’elemento mistery, ne La ragazza del Kyūshū Matsumoto introduce diverse tematiche a sfondo sociale, per esempio la disuguaglianza economica che non tutela e garantisce eguale giustizia, e la crisi della famiglia, poiché nella storia è presente una coppia di amanti che anche per motivi di immagine professionale (soprattutto di lui) non esce allo scoperto. Si dice che spesso la letteratura sia lo specchio della società: qual è, o quale può essere, a tuo avviso, la relazione tra il noir e la denuncia sociale? Leggere e tradurre questa storia ti ha ricordato altri romanzi?

Gala M. Follaco: L’autore è spietato quando descrive gli ambienti borghesi, il romanzo mette a nudo sistematicamente la vacuità della vita delle classi agiate, le contraddizioni di un sistema sociale che, anche all’indomani della tanto propagandata ripresa, era rimasto profondamente ingiusto ed elitario. L’avvocato di grido di cui tutti parlano, ma che si rifiuta di aiutare una giovane donna venuta da lontano a supplicarlo di farsi carico di una giusta causa, è presentato come un uomo combattuto, che sembra intuire i difetti del sistema in cui opera ma che non ha il coraggio né la forza di agire. Viceversa, la giovane di modesta estrazione, benché non ne abbia i mezzi, si mostra dotata di una forza morale notevole ed è disposta a tutto pur di affermare le proprie convinzioni. Ma il sistema è malato, e la sete di giustizia si trasforma ben presto in sete di vendetta. Matsumoto scardina tutti i principi etici, mette in discussione le convinzioni del lettore, introduce il paradosso: in questo leggo una precisa volontà di denuncia che avvicina la sua opera a quella di autori più dichiaratamente impegnati; inoltre la scrittura di Matsumoto ha il pregio, sfruttando forme e registri tipici di un genere più fruibile e inclusivo rispetto agli stili talvolta criptici e volutamente ambigui di tanta letteratura non “di genere”, di saper raggiungere una platea più vasta ed eterogenea, assolvendo in modo forse più efficace a quella funzione sociale della letteratura che è vista come un imperativo assoluto degli autori engagés. La stessa sua lingua, fatta di frasi brevi e asciutte, ha ridefinito i contorni della scrittura narrativa dell’epoca, influenzando il romanzo successivo, e non solo poliziesco. Traducendolo si deve lavorare per sottrazione, privilegiando la chiarezza espressiva ed evitando di cedere alla tentazione di abbellire, tentazione che, personalmente, sento di più quando mi confronto con una lingua non contemporanea. Bisogna cercare una lingua essenziale ma non povera, passata ma non obsoleta, e soprattutto limpida, perché Matsumoto non era uno scrittore della polisemia, dell’allegoria: l’efficacia del suo messaggio è dovuta anche alla trasparenza inequivocabile delle sue parole.
Non saprei offrire una spiegazione ragionata dei motivi, non so argomentare, soprattutto dopo aver sottolineato la perfetta coerenza dell’opera di Matsumoto rispetto all’epoca cui appartiene, ma mentre traducevo La ragazza del Kyūshū mi sono spesso venuti in mente i personaggi femminili di Grotesque, di Natsuo Kirino, soprattutto Kazue che, come Kiriko, è caparbia e fatica ad accettare lo stato delle cose. Un’altra opera a cui ho pensato spesso mentre traducevo è Una notte buia, un racconto di Higuchi Ichiyō la cui protagonista, gravata del fardello di una colpa mai commessa, vive reclusa e medita vendetta. Entrambe le storie vanno a finire male, forse perché nel Giappone contemporaneo, come pure in epoca Meiji, non poteva essere altrimenti; al tempo di Matsumoto le oscillazioni cui facevo riferimento poc’anzi lasciavano ancora spazio a qualche alternativa.

NipPop: La protagonista Kiriko viene descritta come una ragazza pacata, delicata e dai lineamenti ancora infantili. Eppure la sua vendetta è fredda e spietata, quasi come se fosse stata studiata ad hoc sin dal momento in cui si è congedata con un inchino dallo studio dell’avvocato che si è rifiutato di seguire il suo caso. Come vedi questa figura?

Gala M. Follaco: Devo confessare che Kiriko mi piace moltissimo. In generale, trovo che Matsumoto sia eccezionale nella costruzione dei personaggi (sfido chiunque a restare indifferente di fronte alle gesta di Torigai in Tokyo Express!), ma le figure femminili, soprattutto quelle che si riveleranno poi “fatali”, sono a mio avviso quelle che gli riescono meglio. Setouchi Jakuchō una volta ha raccontato che Matsumoto Seichō aveva avuto una brutta esperienza con un’amante particolarmente crudele; quando Jakuchō gliela nominò, lui, lungi dal rinnegare la relazione o dal parlarne in termini negativi, le confessò che era contento di averla incontrata perché grazie a lei aveva conosciuto in prima persona la cattiveria femminile, il che gli era stato poi utile nel lavoro. L’episodio mi ha reso ancora più simpatico Matsumoto, ma in generale credo che sia rivelatore di una caratteristica importante della sua scrittura: i suoi personaggi non sono mai tipi, caratteri predefiniti, bensì rappresentazioni dalle mille sfaccettature e dotate di grande complessità. Il contrasto tra l’aspetto docile di Kiriko e la freddezza con cui mette a punto il proprio piano è finalizzato a tale disegno, secondo me. A un livello superficiale, potremmo dire che il personaggio è reso più interessante da questa asimmetria. Ma se guardiamo in profondità ci rendiamo conto che l’asimmetria è funzionale al percorso di trasformazione di Kiriko, che all’inizio è ingenua, schietta, giusta, ma a poco a poco diventa spietata, fredda. Questo percorso non viene mostrato al lettore: tra la vecchia Kiriko, impiegata in una ditta del Kyūshū, e quella nuova, intrattenitrice in un club di Tokyo, c’è solo un breve episodio che lascia presagire la trasformazione, ossia la durezza e l’impenetrabilità che dimostra durante il colloquio con Abe, il giornalista. In definitiva, Matsumoto sembra volerci dire che dietro a ogni trasformazione c’è un motivo ben preciso, e che nulla si può dare per scontato. Per questo nessun personaggio è mai quello che sembra: perché viviamo all’interno di un sistema che rende ogni nostra rappresentazione inevitabilmente parziale, incompleta, variabile.

NipPop: Quali sono secondo te i punti di forza di questo romanzo, e quali quelli di (eventuale) debolezza?

Gala M. Follaco: Il romanzo è ben costruito, Matsumoto sa come orientare le aspettative del lettore e gioca con la nostra attenzione e con il nostro metro di giudizio. Il risultato è una narrazione che intrattiene, con cui durante la lettura è possibile intessere un dialogo, che non ci fa sentire inadeguati o estranei, ma ci coinvolge.
Come ho già detto, i personaggi sono tra i punti di forza. Credo che una delle caratteristiche della buona letteratura (ma anche del buon cinema e delle buone serie TV) sia la capacità di catapultare il lettore all’interno di un mondo in cui si sente circondato da persone. Capiterà a tutti, ma io di tanto in tanto devo riprendere Cime tempestose per controllare che Heathcliff se la passi bene a Wuthering Heights, dopo aver guardato tutte le stagioni di The Wire non riesco a non sentire la nostalgia di Omar Little, per non parlare delle volte che sarei voluta piombare nella scena di Berusaiyu no bara in cui Oscar e André si giurano eterno amore per dire loro di lasciar perdere la Rivoluzione e ritirarsi il prima possibile a vita privata. Con i romanzi di Matsumoto mi succede un po’ la stessa cosa: finito di tradurli, tutti quei personaggi e quei luoghi mi mancano.
E questo pure è un punto di forza: i luoghi. Uno dei temi della Ragazza del Kyūshū, e ancor più di Tokyo Express, è la dicotomia capitale/provincia. Su questo aspetto potrei dilungarmi per giorni, ma mi limiterò a dire che la Tokyo raccontata da Matsumoto ha qualcosa di magnetico, e in generale si tratta di uno scrittore capace di cogliere il genius loci ovunque ambienti le proprie opere, restituendoci immagini indimenticabili del Giappone dell’epoca.
Non saprei dire se La ragazza del Kyūshū abbia punti di debolezza. Mentre lo traducevo, mi sembrava che la soluzione fosse troppo a portata di mano, troppo semplice per i lettori disincantati del ventunesimo secolo. Temevo che il pubblico sarebbe rimasto deluso da questo poliziesco un po’ atipico, in cui la soluzione del giallo conta meno del processo di trasformazione dei personaggi. Però forse è vero che spesso i traduttori sono i critici più severi, e in effetti devo dire che ho sentito poche lamentele in tal senso.

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