La senescenza, e il deterioramento del corpo, soprattutto quando il corpo è di donna, sono innegabilmnte uno dei leitmotiv della cultura contemporanea.
Nello specifio in Giappone, in anni recenti non solo la letteratura, ma il più ampio ambito della cultura cosiddetta di massa, nell’intersecarsi di media e dei sistemi semiotici che caratterizza la contemporaneità, ripropongono sempre più spesso l’immagine di corpi non più giovani, iconico riflesso di una delle più diffuse ossessioni delle società post-industriali: l’invecchiamento. Ma chi e come supera il modello di una femminilità senza età, che ci spinge a sembrare giovani anche quando non lo siamo più?
Nella nostra società mass-mediatica, età e gender si definiscono in un complesso sistema di rimandi, e cospirano nel rendere il corpo della donna matura paradossalmente ipervisibile e invisibile. E il modello normativo giovane/vecchio, specialmente laddove intrecciato a questioni di genere, in talune scrittrici e artiste esiste solo nella misura in cui esse cercano di denudarlo, criticarlo, e quindi di eccedere le convenzioni dell’invecchiamento femminile. O solo di vedere le cose da un punto di vista diverso. E i corpi maturi li espongono, pubblicamente, sulla scena, teatralmente, ironicamente, sardoniche e in tono di sfida. Consapevoli.
Come ha sottolineato Philip Auslander, nella maggior parte delle performances post-moderne il corpo può essere inteso “as a body that exposes the ideological discourses producing it” (Auslander, 1990, p.188). Si tratta quindi di performances che decostruiscono e demistificano. In altri termini, possiamo guardare all’età in modo diverso se siamo disposti a farlo, e entrare in una nuova dimensione di possibilità.
Quello che qui interessa sono le modalità e le strategie attraverso le quali la corrosione a opera del tempo viene riletta e reinterpretata come punto di partenza per la sovversione delle usuali e logore categorie indentitarie e di genere, attraverso la riproposta della senescenza in termini di ‘corpo grottesco’ così come Bachtin lo ha definito, una figura di interscambio sregolato biologico e sociale. In questo modo soprattutto le donne, scrittrici e artiste, si riappropriano di uno stereotipo maschile ricorrente in Giappone, che, dall’immagine tradizionale della yamanba – la strega della montagna – attraverso le rielaborazioni estetico-letterarie dell’eroguronansensu degli anni Venti, arriva fino alla contemporaneità, e ne tentano un ardito capovolgimento, tramite la sovversione e il superamento delle categorie di genere e degli stereotipi ad esse legati.
Le opere di Miwa Yanagi (1967-) per esempio, presentano varie immagini della femminilità e diverse tipologie di donna, ma in un’ottica che lancia una sfida ai ruoli di genere convenzionali. Attraverso strategie quali l’identity-play, che ricordano altri artisti contemporanei come Mariko Mori, Yasumasa Morimura e Cindy Sherman, sfidano le nostre aspettative in tema di sé, gender e età. Grazie a una estetica complessa che combina non solo diversi tipi di media – fotografia, video, computer grafica, suono e testo – ma anche svariate forme di espressione artistica – performance, filmati e poesia -, questi lavori spesso propongono un crossover fra arte e cultura pop che sfida le convenzioni all’interno del quale l’opera d’arte tradizionalmente si iscrive. In particolare, lavori come My Grandmothers sembrano assumere un approccio critico verso i modelli di identità femminile comuni nella cultura pop giapponese.
My Grandmothers (1999-)
La serie My Grandmothers consiste di 25 ritratti fotografici di donne apparentemente mature, ed è stata realizzata in collaborazione con i soggetti che Miwa ritrae. L’artista infatti ha chiesto a diverse donne (e anche uomini in alcuni casi), per lo più fra i 20 e i 30 anni, di raccontarle come si immaginavano a 50, nel ruolo di nonne. Dopo di che, ha dato corpo alle loro ‘visioni’ del futuro, utilizzando computer grafica ed effetti speciali nel make-up per ‘invecchiarle’. Ogni ritratto fotografico è poi accompagnato da un testo, nella forma di diario, con parole ispirate dal soggetto ritratto. E’ così che My Grandmothers diventa una rappresentazione delle più diverse fantasie sul proprio invecchiamento, più che dell’invecchiamento in sé: infatti, ogni fotografia rappresenta non un volto ‘vecchio’, ma un volto ‘invecchiato’ ed estremamente stilizzato. Per non parlare del fatto che i soggetti si atteggiano come donne giovani, non ‘vecchie’.
Nel ritratto di YUKA per esempio, incontriamo una anziana donna giapponese, che attraversa il Golden Gate Bridge in moto al fianco di un giovane uomo che, da quanto apprendiamo dal testo, è il suo amante, giovane e ricco. Ancora nel testo leggiamo che, nonostante abbia figli e nipoti, la donna non li vede da anni. Apparentemente vive una vita indipendente, lontana dalla famiglia. Qui come in altri rtratti della serie, il ruolo tradizionale e convenzionale della ‘nonna’ viene quindi riletto, sfidato e trasformato in qualcosa di nuovo e radicalmente diverso. E, per quanto la maggior parte dei soggetti con i quali Miwa Yanagi collabora abbiano un’età in cui dovrebbero essere concentrate sulla creazione di una famiglia, nessuna di loro sembra pensare al proprio futuro nei termini e nei confini del sistema famigliare tradizionale.
Come molti critici hanno osservato, i ritratti di My Grandmothers condividono diversi tratti stilistici con l’immaginario della cultura pop (stesso look multicolore per esempio), anzi talvolta ostentano riferimenti precisi alla medesima cultura, come nel caso del ritratto di ERIKO, citazione testuale ed esplicita di una delle più potenti icone del pop, la supermodel. Qui, una donna all’apparenza molto matura, posa su quella che sembra una via di mezzo fra un incrocio autostradale e la lapide di un cimitero: se da un lato il ritratto sembra indicare la futura vecchiaia e la morte della donna, dall’altra la presenta all’osservatore in un ruolo normalmente riservato a una persona giovane. La performance di Eriko quindi sfida l’ideale convenzionale di bellezza femminile riassunto nel binomio bellezza/giovinezza, normativo e onnipresente nel regno della cultura pop, e il testo che accompagna la fotografia non a caso la descrive come ‘la grande attrice’, ‘un’affascinante supermodel che ha superato tutti i confini – sesso, età, nazionalità’. In altri termini suggerisce che la donna anziana che vediamo nella foto sia in realtà un giovane uomo travestito, e per di più di nazionalità non-giapponese.
La strategia del mascheramento consente alle modelle di Miwa Yanagi di ‘giocare’ con la loro stessa identità. Nel loro futuro, immaginario ruolo nonne, ci appaiono libere dalla pressione esercitata dalle aspettative con le quali come giovani donne – o giovani uomini – sono costrette a confrontarsi. La serie lancia una sfida all’immagine mainstream non solo dell’età, ma anche dei ruoli di genere. E così facendo scardina i modelli femminili convenzionali e tradizionali.
Sito ufficiale di Miwa Yanagi:
www.yanagimiwa.net/My/e/project/01.html
Per saperne di più:
www.deutsche-guggenheim.de/e/ausstellungen-yanagi01.php
www.kontur.au.dk/fileadmin/www.kontur.au.dk/Kontur_20/Microsoft_Word_-_VAM-SKIRL_MOD.pdf