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Mamoru Oshii @ Lucca C&G 2015

20 Novembre 2015
Davide Maggio

Mamoru Oshii, regista del capolavoro del 1995 Ghost In The Shell (titolo originale Kōkaku kidōtai 攻殻機動隊) è stato ospite dell’ultima edizione del Lucca Comics & Games per presentare il suo nuovo lungometraggio: Garm Wars.

Pilastri granitici della cinematografia giapponese, le opere del maestro Oshii spaziano dall’animazione al live action, discutendo ogni volta di tematiche attuali quali il cambiamento sociale nel proprio paese natìo. Come da sua stessa dichiarazione, i lavori di Mamoru Oshii vengono sì definiti come fantascienza a causa della presenza di elementi non appartenenti al reale, ma il loro obiettivo rimane quello di raccontare stralci della realtà attuale, pur rappresentandola attraverso un’immagine del mondo futuro.

Un film, in quanto tale, è finzione sia che si tratti di live action o no. Anche volendo riprendere per quanto possibile la realtà, è inevitabile scontrarsi con il gap tra il messaggio che si vuole rappresentare e la rappresentazione stessa. Questo risulta ancora più accentuato nelle animazioni, dove l’utilizzo del disegno crea necessariamente un distacco ancora più netto con il reale. Ciò non significa però che anche all’interno di lungometraggi animati non si riscontrino vari gradi di realismo: per Oshii la forza di un’animazione sta proprio nella capacità di limitare l’utilizzo di elementi fantastici, così da imprimere loro un maggiore impatto.

Un’altra grande differenza fra il lavorare a un tipo di lungometraggio piuttosto che a un altro si ritrova nel radicale cambiamento dello stile di vita:

Tra il lavoro per gli anime e quello per i live action c'è quasi un cambio di vita. Negli anime ci si alza ad orario di ufficio e anche il lavoro con lo staff si avvicina di più a quell’ambiente. Nel live action, invece, il tempo è più limitato (uno – due mesi), quindi ci si sveglia all'alba e si lavora sul momento, immediatamente. La differenza è perlopiù nelle tempistiche che la produzione ha per prendere le decisioni necessarie. Creare un anime è come manovrare una petroliera in mare, per cui si ha una rotta ben precisa da mantenere al fine di non sprecare soldi in inutili cambiamenti; i cambiamenti nei live action invece sono più frequenti e spesso migliorano la lavorazione: in questo senso il lavoro per un live action si avvicina di più alla guida di una piccola imbarcazione. Nel caso dell'animazione poi ci sono tra le 500 e le 1000 persone che lavorano, per i film invece un centinaio soltanto. Nel primo caso non mi ricordo neanche il nome di tutti i collaboratori, mentre nel caso dei live action l'interazione è diretta e con tutti.

È anche lo stesso rapporto col resto dello staff a influenzare spesso la lavorazione, com’è successo ad esempio nel caso della creazione della serie animata Lamù (Urusei Yatsura – うる星やつら), dove le vicende personali dei vari membri hanno influenzato direttamente la trama degli episodi. Questo ha dato l’ispirazione a Oshii per la creazione di Talking Head, un film live action che getta uno sguardo su uno studio impegnato nella creazione di un lungometraggio anime. Trattandosi di un gruppo di estranei che è costretto a passare un lungo periodo insieme, è inevitabile che si vengano a creare le dinamiche più disparate.

In chiusura Oshii ci ha tenuto a ribadire che produrre un buon film non significa montare insieme belle scene e dialoghi ben confezionati, ma piuttosto dare vita a ciò che si ha dentro di sé, creando qualcosa dallo stile strettamente personale:

Personalmente non mi ritengo uno sperimentatore in senso stretto. Fare un buon film non significa montare belle scene insieme a dialoghi ben confezionati, ma piuttosto dare vita a ciò che si ha dentro di sé, creando un qualcosa di nuovo e di proprio. Personalmente ho sempre voluto creare qualcosa di mio, che non fosse la copia di qualcosa già esistente, ma qualcosa di nuovo che mi rappresentasse. Il mio interesse non è quello di raccontare una certa storia nel modo migliore possibile, ma quello di creare un film, ovvero pensare a un nuovo stile e metterlo in scena a mio modo. Da questo punto di vista non ho una consapevolezza della sperimentazione in quanto tale, ma soltanto in quanto mezzo per creare quello che mi interessa di più.

 

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