È uscito nel 2016, pubblicato da O barra O edizioni, L'avvocato di Madama Butterfly, un interessante volumetto di Giorgio F. Colombo – giurista italiano che insegna diritto comparato all'università di Nagoya in Giappone – sulla sfortunata signora Butterfly. Non si tratta di un piccolo divertissement, dal momento che Colombo affronta proprio i singolari aspetti giuridici dell'opera di Puccini: viene infatti analizzato, con ottica comparatistica tra diritto giapponese e americano dell'epoca, l'infelice rapporto matrimoniale che lega Cho-cho san al mascalzone Pinkerton.
È valido il matrimonio tra la quindicenne e il marpione occidentale? Vale il ripudio da parte di questi come divorzio? Che nazionalità ha il figlio nato dalla loro relazione? Colombo cerca di affrontare tutte queste domande tenendo conto sia dello stato del diritto di famiglia in Giappone all'epoca dei fatti – gli inizi del '900 – sia dell'evoluzione che ha avuto fino ai nostri giorni. La maggiore tutela odierna dei diritti della donna dovuta al superamento della disuguaglianza tra i sessi avrebbe reso la vita della povera Butterfly più degna d'essere vissuta e forse avrebbe dato un altro epilogo all'opera. Per esempio con un Pinkerton suicida perché spennato vivo dagli avvocati della signora Farfalla.
L'attenzione di Colombo agli aspetti legali del matrimonio tradizionale tra i due protagonisti segue un filone che nasce già all'origine dell'opera stessa, ispirata a un racconto quasi autobiografico di Pierre Loti che, attraverso l'elaborazione dello scrittore e giurista americano John Luther Long, arriva fino ai due librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, che prima di essere drammaturgo era stato avvocato. Non si può quindi negare una certa volontà di rappresentare il dramma tenendo conto della realtà di un paese che nel frattempo assurgeva alle cronache del tempo per lo sforzo modernizzatore senza paragoni e per aver sfidato e sconfitto la Cina nella prima guerra sino-giapponese, pronto poi a piegare la Russia in una guerra scoppiata proprio un paio di settimane in anticipo rispetto alla prima rappresentazione di Madama Butterfly alla Scala, nel febbraio del 1904. Proprio in quel tempo dal Giappone arrivano manufatti e opere d'arte che in Europa riscuotono subito uno straordinario successo e di cui Puccini è estimatore e attento studioso. È la moda dell'Impero del Sol Levante, matrice di tutte le fantasie, gli stereotipi, il fascino dell'esotismo orientale che in parte si inventa un Giappone che colpisce l'immaginazione popolare e che non sembra aver esaurito la sua capacità di seduzione neppure oggi, tra cerimonie del tè, kimono, spade e crisantemi, geisha e samurai.
Come evidenzia il libro di Colombo, Madama Butterfly riflette il modo in cui il Giappone veniva percepito, un paese in metamorfosi tra tradizione secolare e modernità. Peccato però non venga affrontato nelle troppo poche pagine, un altro aspetto non irrilevante dell'opera: il ruolo di Pinkerton. È lui il villain, il mascalzone prepotente, che sposa una povera ragazzina in disgrazia contando di poterla ripudiare subito dopo e ri-ammogliarsi negli Stati Uniti. Opportunista, avido, rozzo, falso, approfittatore: viene da chiedersi se simmetricamente Pinkerton non rappresenti proprio il modo in cui l'America veniva percepita da una certa società europea al crepuscolo, una rappresentazione non priva di stereotipi, ma assai longeva, se si pensa ai molti commenti che sono fioccati dopo l'elezione di Trump.
Un altro elemento che forse meriterebbe considerazione è il costante successo di Madama Butterfly in Giappone: gli errori, gli stereotipi, le sviste del libretto non bastano a farla diventare un'opera caricaturale o comica. Il dramma commuove anche il preparato pubblico giapponese, la musica di Puccini lo trascina e lo emoziona. Sorge allora il dubbio che la lente con cui interpretare il proprio passato che i giapponesi hanno sia stata influenzata non poco dall'immaginazione occidentale rappresentata in scena da Puccini e, per quanto riguarda l'odioso Pinkerton, viene da pensare che non diversamente venga percepito come il simbolo di una certa protervia culturale colonialista americana di cui il Giappone, incarnato da Cho-cho san, sarebbe costantemente vittima umiliata. Una lettura un po' azzardata, ma che potrebbe ispirare un futuro saggio dal titolo Il diplomatico di Madama Butterfly, con buona pace del pucciniano console Sharpless.