La via del grembiule (Gokushufudō) di Ōno Kōsuke è una delle numerose produzioni figlie della collaborazione fra piattaforme di streaming come Netflix e studi di animazione giapponesi. La serie è l’adattamento dell’omonimo manga umoristico, che ha avuto un certo successo negli ultimi anni. La serie offre un esilarante spaccato del quotidiano di uno yakuza ritiratosi a vita domestica: l’anima indomita di un guerriero può sopravvivere nel Giappone di oggi?
L’ideale della ‘via’ (道, letto ‘dō’ o ‘michi’) appare più volte nella storia culturale del Giappone: ognuno ha un cammino da seguire, ed è a questo cammino che si deve dedicare anima e corpo. La perfezione formale, insieme a quella morale, sono esaltate come percorso e meta di una vita ben vissuta. Per adempiere ai doveri della ‘via’ si arriva a morire per essa. Ōno Kōsuke in Gokushufudō ci pone davanti a una semplice domanda: e se la ‘via del casalingo’ e la ‘via dello yakuza’ fossero la stessa cosa?
Il manga originale, pubblicato da Shinchōsha e apparso per la prima volta nel 2018 sulla rivista Kurage Bunch, viene portato in Italia nel 2020 da J-POP con il titolo La via del grembiule – Lo yakuza casalingo. Come si intuisce fin da subito, si tratta di una serie comica che accosta due ambiti difficili da immaginare insieme, la malavita e il focolare domestico. Ed è così che nascono situazioni assurde: tatuaggi che contrassegnano l’appartenenza a una famiglia criminale sono affiancati a chiare allusioni a icone pop del Giappone contemporaneo, una seduta di yoga è reinquadrata attraverso la lente di uno yakuza pronto alla morte, un errore negli acquisti può richiedere che si faccia ammenda con lo yubitsume, ovvero tagliandosi la falange del mignolo di una mano.
I compiti di un marito a tempo pieno sono molti, ed è sempre necessario impegnarsi fino in fondo per ciascuno di essi: non bisogna mai mischiare i bianchi con i colorati in lavatrice, è bene fare attenzione agli sconti quando si va a fare la spesa, e se uccidi qualcuno poi ti devi prendere la briga di seppellirlo. Parodia della vita quotidiana, la serie racconta dei piccoli imprevisti di ogni giorno attraverso gli occhi di una famiglia della classe media, con un piccolo appartamento ed entrate stabili che permettono piccoli lussi come l’acquisto di ninnoli e curiosità per la casa. Una realtà nella quale molte persone – giapponesi e non – si possono rispecchiare. L’elemento di sovversione rispetto alla quotidianità è il retaggio criminale del personaggio principale.
Tra l’altro, non abbiamo a che fare con un malavitoso qualsiasi, ma con uno particolarmente incallito. Fin dall’inizio lo spettatore viene a sapere che Fujimi no Tatsu (‘Il Drago Immortale’, gioco di parole basato sul nome del personaggio, ‘Tatsu’, scritto con il carattere 龍 di ‘drago’) è il soprannome del protagonista, ottenuto dopo che questi si è liberato di numerose bande rivali in una sola notte, armato di poco o niente.
L’estrema determinazione e i comportamenti drammatici di Tatsu non solo creano un contrasto con la normalità di Miku, sua moglie e giovane designer in carriera, ma risuonano con una tradizione filmica ben definita di rappresentazione della malavita. Tatsu è uno yakuza dallo spirito samuraico che trova precedenti nei ninkyō eiga (任侠映画), film che romanticizzano la malavita come erede di un rigido codice d’onore d’altri tempi.
La frizione fra il vecchio e il nuovo è presente in ogni particolare, dai valori del protagonista al titolo stesso dell’opera. Gokushufudō (極主夫道), infatti, nasce dall’unione di due termini diversi. La parola gokudō (極道), scritta con i caratteri di ‘estremo’ e ‘via’, indica il crimine organizzato, e fa spazio al termine shufu (主夫), ‘marito casalingo’, che si inserisce fra i due ideogrammi, come a significare l’intrusione della vita domestica nell’esistenza di uno yakuza.
In sostanza, la serie è perfetta tanto per gli appassionati di cultura giapponese quanto per chi voglia solo divertirsi con delle pillole di comicità molto efficaci. Oltre alle gag, molti si divertiranno senz’altro a scovare dettagli e finezze, dagli onnipresenti giochi di parole ai riferimenti ad aziende famose, fino alla parlata del Kansai degli yakuza (quest’ultima, peraltro, assente nell’adattamento italiano).
Il mercato digitale appare per la prima volta nel 2015 nelle statistiche giapponesi sul consumo di anime e affini. Da allora, le piattaforme di streaming non hanno fatto altro che guadagnare popolarità, e La via del grembiule è sicuramente una delle conseguenze del successo di compagnie come Netflix. Negli anni queste non si sono limitate ad acquistare i diritti di distribuzione di opere esistenti, ma hanno anche dato il via ad una serie di progetti originali e adattamenti pensati per le proprie piattaforme. Cosa vuol dire questo per il manga di Ōno Kōsuke?
Se da un lato è vero che un adattamento animato permette tagli e inquadrature interessanti, il passaggio dalla pagina allo schermo crea il problema della gestione dei tempi comici. Il manga originale è in realtà episodico, e racconta spezzoni di vita quotidiana un capitolo per volta. Netflix, dal canto suo, ha scelto di lasciare pochi minuti ad ogni gag, valorizzando il ritmo rapido e la leggerezza in parte responsabili del successo di La via del grembiule.
Ogni episodio contiene circa sei capitoli del manga, nessuno dei quali occupa più di tre o quattro minuti, mentre il passaggio da uno sketch all’altro è indicato da una scritta a lato dell’inquadratura che introduce una nuova scena. La scelta può fare un effetto strano a chi è abituato a guardare episodi da venti minuti, ma si tratta di un compromesso facile da accettare e che consente di valorizzare la leggerezza di ogni racconto, senza che nessuno di essi risulti allungato o meno efficace.
Passiamo invece all’animazione vera e propria: la produzione ha optato per uno stile minimalista, che strizza l’occhio all’impaginazione di un manga. Di fatto, è più appropriato parlare di sequenza di vignette, in quanto l’animazione è limitata alla mimica facciale e ad altri piccoli movimenti, mentre i gesti più ampi e le sequenze dinamiche vengono spesso suggerite dal susseguirsi di immagini statiche invece che da animazioni fluide. Questa scelta non esalta particolari aspetti del manga, al contrario di quanto si è detto per il formato. Un effetto indesiderato di un simile stile d’animazione è l’impressione iniziale di guardare un prodotto di scarsa qualità, anche se non serve molto tempo per abituarsi.
Gli esperimenti stilistici non sono una novità, ma il fatto che qui si tratti di una produzione destinata ad un pubblico molto ampio rende la decisione potenzialmente rischiosa. Forse è proprio perché La via del grembiule è stato adattato da Netflix che ci si è potuti permettere di proporre un prodotto finale un po’ particolare?