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‘La scena dell’inferno e altri racconti (1915-1920)’ di Akutagawa Ryūnosuke

9 Dicembre 2021
Rebecca Scaramagli

La prima di due antologie di racconti firmati dal celebre autore giapponese, Akutagawa Ryūnosuke, edita da Atmosphere libri nella collana Asiasphere, con la traduzione e curatela di Alessandro Tardito.

 

 

Prima di due raccolte, la silloge La scena dell’inferno e altri racconti (1915-1920) raccoglie le storie d’esordio del celebre scrittore giapponese, mentre la seconda, Kappa e altre storie, si concentra sulla produzione che va dal 1920 al 1927, anno del suo suicidio. Discepolo di Sōseki, Akutagawa è considerato lo scrittore più rappresentativo della letteratura giapponese di epoca Taishō (1912-1926), sebbene la sua scoperta all’estero sia per molti versi coincisa con il Leone d’Oro assegnato al film Rashōmon di Kurosawa Akira nel 1951. 

 

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La struttura narrativa prediletta di Akutagawa vede l'autore sovrapporsi alla figura del narratore, che descrive i fatti in maniera oggettiva e distaccata. In questo modo, lo scrittore riesce a mantenere una distanza ironica dalle sue creature grottesche e fantastiche, e grazie a questa tecnica risolve anche il problema del rapporto tra l’io e la realtà, allontanandosi così dallo shishōsetsu (il “romanzo dell’io”), che all'epoca andava per la maggiore.

 

Locandina del film Rashōmon diretto da Akira Kurosawa (1950)

 

Ad aprire la silloge sono due dei racconti più famosi e significativi della sua produzione, che esprimono forse il meglio del genio narrativo di Akutagawa.

Rashōmon (羅生門), che ha ispirato la pellicola di Kurosawa menzionata sopra, è un racconto cupo e a tratti quasi drammatico, che narra la vicenda di un servo da poco licenziato con una naturale avversione nei confronti di ogni tipo di crimine ma che, dopo l’incontro con una vecchia costretta per non morire di fame a tagliare i capelli ai morti per farne delle parrucche, trova il coraggio di diventare un ladro. L’intera vicenda si fonda sull’idea di creare una pluralità di prospettive sulla realtà, creando così un effetto di ambiguità in un mondo caotico dove il bene e il male perdono i loro contorni.

Il naso (Hana 鼻) descrive con toni leggeri e sarcastici gli innumerevoli tentativi di un monaco per ottenere un naso normale. In questo racconto il grottesco non sta tanto nella deformità mostruosa del protagonista quanto piuttosto nella percezione che ha di sé stesso. E l’ironia dello scrittore emerge nella situazione paradossale per cui la normalità può essere più ridicola della vera deformità fisica.

 

Il naso, illustrazione di Wakabayashi Tetsuhiro

 

Il fazzoletto (Hankechi 手巾) è un racconto molto toccante incentrato sul dialogo tra un professore  e la madre di un suo allievo morto da poco per una grave malattia. Qui emerge il confronto tra lo stile di vita ‘occidentale’ e quello tipico giapponese, incarnato in particolare nel bushidō (“la via del guerriero”), ovvero un insieme di norme etiche codificate nel periodo Edo (1600-1868).

Il filo di ragno (Kumo no ito 蜘蛛の糸) è una favola dolce-amara in cui il Buddha Sākyamuni decide di offrire la salvezza a un uomo la cui unica azione benevola è stata risparmiare la vita a un ragno. L’autore, grazie a una complementarità di colori, suoni e odori, riesce a raffigurare in modo incredibilmente vivido e immediato sia l'ambiente paradisiaco che quello infernale, attraverso i quali viene rappresentata metaforicamente la società contemporanea che, agli occhi di Akutagawa, è segnata dall’opportunismo e dall’egoismo.

 

Locandina del film Portrait of Hell diretto da Shirō Toyoda (1969)

 

Un altro capolavoro di Akutagawa, che poi è stato scelto come titolo dell’intera raccolta, è  La scena dell’inferno (Jigokuhen地 獄 変), dove arte e realtà si intrecciano in modo inquietante e ossessivo. Il racconto narra del signore di Horikawa, uomo dotato di una grande nobiltà d’animo, che commissionò al pittore Yoshihide un paravento decorato con un’immagine dell’inferno. Nel completare l’opera, però, l’artista impazzisce precipitando in uno stato di ispirazione malata. Qui l’arte predomina sulla vita, tanto che il pittore arriva infine a sacrificare la vita della propria figlia per poter rappresentare la scena centrale del paravento. 

La scena dell’inferno e altri racconti (1915-1920) ci presenta un giovane Akutagawa dotato di “una straordinaria erudizione” – come afferma Tanizaki Jun’ichirō in una lettera del settembre 1927 – e capace di andare contro la moda narrativa dei suoi anni. Questa silloge raccoglie 14 racconti molto diversi tra loro, per temi ma anche per ambientazioni e personaggi, in cui Akutagawa realizza miniature del Giappone del suo tempo, ideologicamente dilaniato dal conflitto interno tra correnti artistico-filosofiche occidentali e la tradizione nazionale (dalla postfazione di Alessandro Tardito). 

In ognuna delle sue brevi storie l’autore, genialmente, descrive un frammento dell’animo umano o della società, e guida il lettore, più o meno esplicitamente, nell’elaborazione delle dovute conclusioni. Infatti continua Tardito: […] la presenza di Akutagawa all’interno del romanzo è sobria e interferisce il meno possibile senza tuttavia mai scomparire del tutto. Perciò, se si prendono i racconti nel loro insieme, è possibile forse delineare un ritratto, seppur approssimativo, dello scrittore, caratterizzato da un animo tormentato e sensibile ai cambiamenti della vita. 


 

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