Due destini si intrecciano in un giorno d’estate sui binari di una stazione di Tokyo.
Una mano di bambino accoglie le lacrime di una ragazzina prossima al suicidio, salvata da una mamma single che ha perso la voglia di vivere.
Chiyoko è una liceale che è stata ripudiata dalla famiglia perché ha dichiarato di essere lesbica. Izumi una trentacinquenne con alle spalle un matrimonio fallito, un figlio a carico e la sensazione di non aver affatto vissuto la sua vita. Entrambe sentono di non aver più nulla per cui lottare ma, nel momento in cui le loro vite si incontrano, tutto torna a prendere senso e a brillare, come le stelle complici del loro amore segreto.
Sembrano le protagoniste di un dramma moderno ma, al contrario, si rivelano essere i personaggi principali di una fiaba contemporanea. Il nuovo libro di Ito Ogawa, La Locanda degli amori diversi (trad. di Ginluca Coci), ha tutte le carte vincenti per essere un bestseller.
Come in una favola, i nostri eroi iniziano un lungo viaggio in nome dell’amore a bordo di un minivan Volkswagen verso un paese lontano in cui brillano le stelle, ribattezzato Machu Picchu. Lì, nascosti tra le montagne dai freddi inverni, si stabiliscono in una catapecchia che, giorno dopo giorno, trasformano in una bellissima casa che profuma di caffè, pronta a ospitare avventurosi viandanti come loro. Alla “Locanda Arcobaleno” tutti sono i benvenuti, non c’è discriminazione di genere né di razza, ma solo cuori che sanno ascoltare, come ricordano le regole della Costituzione arcobaleno, appesa all’ingresso:
Non dire mai bugie, né a se stessi né agli altri
Ridere a crepapelle almeno una volta al giorno
Giore tutti insieme nel caso di un lieto evento. Soffrire tutti insieme nel caso di un evento triste.
Non spingersi mai oltre le proprie forze.
Alzare con onore bandiera bianca di fronte a un ostacolo insormontabile.
[…] Fare tutti insieme queste piccole cose ogni giorno, in pace e armonia: non è forse questa la vera essenza della famiglia?
(Ito Ogawa, La locanda degli amori diversi, Vicenza, Neri Pozza, 2016, p. 133)
Anche le voci narrative dei personaggi sono inseparabili, alternandosi e a volte quasi fondendosi nella biografia di una famiglia non convenzionale.
La famiglia Takashima ha infatti due mamme, due donne che hanno messo in discussione se stesse pur di vivere finalmente libere le loro vite e, benché siano inizialmente vincolate dagli sguardi della gente, sono riuscite a creare un luogo pieno d’amore dove allevare i propri figli, sotto un’unica grande bandiera arcobaleno, simbolo di gioia ma anche di speranza.
Con una eleganza e una leggerezza uniche, Ito Ogawa affronta una tematica molto delicata in Giappone: l’omosessualità. E lo fa scegliendo due protagoniste agli antipodi: Izumi, tradizionalista, cauta, razionale, e Chiyoko, anticonformista, ribelle, istintiva. Due generazioni diverse che affrontano la battaglia per la parità dei diritti in modo diverso, rispecchiando le due parti che vedono coinvolto il Giappone nei dibattiti per l’uguaglianza dei ruoli di genere.
Tante sono le prove e i dolori che i membri della famiglia Takashima dovranno affrontare, tra le strade di Tokyo, le campagne di Machu Picchu e le spiagge delle Hawaii, ma resteranno sempre uniti e sempre fieri di ciò che sono, consapevoli di essere un ohana, una famiglia (in lingua hawaiana) ma anche un fiore dai colori sgargianti che dà colore a un campo di fiori bianchi.
“Perchè Dio ha creato delle persone come voi?” chiesi.
“Mmh, perché?” disse per prima mamma Izumi, reiterando la domanda e piegando il capo da un lato.
“Comunque non è una cosa che si può scegliere da sé” intervenne subito dopo in tono pacato mamma Choko. “Si è così e basta. Anche i fiori non possono scegliere il loro colore, no? È più o meno la stessa cosa.”
“Ohana?” chiesi a bassa voce. Di primo acchito credevo volesse riferirsi alla parola hawaiana che significa “famiglia”, ma subito mi resi conto che stava proprio parlando dei fiori.
“Nessun fiore può cambiare il suo colore a proprio piacimento.” continuò mia madre.
“Anche se i colori degli altri fiori sono molto belli, ciascuno deve accontentarsi del suo. Il colore lo si porta con sè fino alla fine, per tutta la vita.”
Le sue parole mi suonarono molto convincenti. Aveva ragione, un fiore non può diventare rosso se è bianco, non può scegliere il colore dei suoi petali.
“Vale lo stesso anche per noi, siamo così e basta” concluse nello stesso tono disteso, guardando distrattamente il cielo tinto di rosa dai fiori di ciliegio.
(Ito Ogawa, La locanda degli amori diversi, Vicenza, Neri Pozza, 2016, p. 245)
Ito Ogawa, con le sue mamme Choko e Izumi, apre una finestra di dialogo da una piccola realtà dalla quale si può gettare uno sguardo più ampio sulle difficoltà di una minoranza, ascoltandola, con la speranza di alleggerire i loro cuori e, forse, di vederli come parte integrante di un arcobaleno di fiori.
Per saperne di più, non perdete l’intervista realizzata da M.me Red in occasione della partecipazione di Ogawa Ito a BOOKCITY 2016 il 19 novembre 2016.
Ito Ogawa, La Locanda degli amori diversi (trad. it. di Gianluca Coci), Vicenza, Neri Pozza, 2016