Il lavoro di un traduttore letterario o di un interprete consiste nel facilitare il più possibile la comunicazione tra lingue e culture diverse – sono professioni caratterizzate da molte sfide, così come da molte soddisfazioni, nelle quali chi “trasporta” il significato da una lingua all’altra può sentirsi coinvolto in una vera e propria “lotta” con le parole. Di queste riflessioni ci parla La fiera delle parole, romanzo di Otokawa Yūzaburō pubblicato da Atmosphere Libri nel 2023.
I due protagonisti di questa storia, Hiroyuki e Yūko, studiano inglese nella stessa università. Vengono sin da subito descritti come persone dai caratteri opposti, ma che riflettono molto bene le rispettive professioni: lui traduttore letterario, e lei interprete in simultanea. Hiroyuki è una persona incerta, riflessiva, in una continua lotta contro sé stesso per trovare il modo migliore di esprimere i suoi pensieri. Yūko, invece, è sicura e decisa, pronta a superare qualsiasi ostacolo pur di raggiungere i suoi obiettivi.
L’autore ritrae la vita dei due protagonisti da vicino nel corso di diversi decenni, con vari salti temporali. Dopo la laurea Hiroyuki, dietro consiglio di Yūko, si dedica alla traduzione, che scopre pian piano essere la sua vocazione. La ragazza, invece, continuerà gli studi presso una prestigiosa scuola di interpretariato e traduzione negli Stati Uniti, emergendo come una brillante interprete fra inglese e giapponese. Le loro vite continueranno a incrociarsi, e i due portano avanti una relazione complicata – mediata dal lavoro, dalla distanza, dagli avvenimenti – senza mai raggiungere una vera e propria stabilità.
L’influenza delle loro vite professionali e delle scelte prese per favorire la propria carriera sulla loro relazione viene infatti esplorata a fondo. Hiroyuki è perennemente sommerso dai dubbi e chiuso nella sua bolla, con un unico pensiero costante: quello di Yūko, che se da un lato lo sprona ad andare avanti, dall’altro lo rattrista perché lo mette di fronte al fatto di essere incapace di esprimere i suoi sentimenti più profondi con le parole giuste, anzi perfette. Yūko, dal canto suo, è sempre alla ricerca di un nuovo obiettivo da raggiungere, di un nuovo traguardo da superare facendo affidamento solo e soltanto sulle sue forze, in maniera indipendente.
Un altro aspetto che viene approfondito è quello della realtà dietro queste due professioni che se da un lato si occupano entrambe di linguaggio e comunicazione, dall’altro non potrebbero essere più diverse fra loro – a livello di approccio così come a livello di tecniche e metodi. Hiroyuki, ad esempio, rimugina per ore e ore su quale possa essere l’espressione, la parola più adatta – ma non manca anche quel sottile elemento di tensione che è al cuore della traduzione, fra la tentazione di rimaneggiare un testo in maniera più marcata, adattandolo alla propria sfera culturale, e la volontà di non snaturare lo stile del testo originale. Yūko, invece, affronta sfide diverse e forse a loro modo anche più impegnative. Nell’interpretariato in simultanea, infatti, non si ha il tempo di ragionare su ogni singola parola, e per di più gli errori commessi non possono essere cancellati e riscritti – l’immediatezza è la chiave, e la pressione è alle stelle. L’indagine introspettiva nei processi ‘nascosti’ dietro queste due professioni costituisce forse la parte più riuscita di questo romanzo, raccontando la crescita professionale ed emotiva dei due protagonisti attraverso la loro personale ‘lotta’ con le parole.
La fiera delle parole non manca mai di ricordare al lettore quanto difficile può essere esprimere i propri pensieri in parole, magari in una lingua diversa, e di come ciò renda il lavoro di interpretariato e/o traduzione un’arte complessa, ma anche particolarmente stimolante. La traduzione letteraria, ad esempio, permette di esplorare non solo il testo a livello superficiale, ma di scandagliare anche il pensiero e la poetica di chi lo ha scritto, accettando l’ardua sfida di provare a “traslare” sentimenti e pensieri di persone o personaggi lontani nel tempo o nello spazio in quella che è la propria lingua – impegno che viene ricompensato con la gioia di trovare finalmente la parola perfetta.
La traduzione, in simultanea o in ‘differita’, potrebbe essere tranquillamente definita la vera protagonista di La fiera delle parole. Un lettore che non conosce bene la materia potrebbe incorrere in qualche difficoltà, soprattutto all’inizio del romanzo, davanti alle lunghe riflessioni di Hiroyuki sull’utilizzo di un termine piuttosto che un altro. A questo proposito va lodata la traduzione ‘reale’ di Eleonora Blundo che ha portato l’opera in italiano. Un’impresa non facile, vista la grande quantità di tecnicismi e sfumature di significato propri della lingua giapponese, ma che possiamo considerare riuscita.