A gennaio di quest’anno è arrivato in libreria L’uomo che voleva uccidermi, il romanzo cult di Yoshida Shūichi, edito da Feltrinelli e tradotto da Gala Maria Follaco.
Il libro racconta la morte di una giovane donna e le conseguenze per l’assassino e per tutte le persone che facevano parte della sua vita. Non si tratta di un semplice mistero da svelare pagina dopo pagina, ma piuttosto di una finestra sulla società giapponese, impeccabile dal punto di vista produttivo, ma carente nella capacità di costruire rapporti umani sinceri.
Yoshino è una ragazza che lascia la periferia per trasferirsi a Hakata, nel centro di Fukuoka, e accetta il primo lavoro che le capita al solo scopo di permettersi di vivere in città. Infatti inizia a lavorare per un’agenzia assicurativa e, dal momento che spesso ha appuntamenti con possibili clienti in giro per la città, nessuno si preoccupa quando una mattina non si presenta in ufficio. L’unica a essere turbata dall’assenza di Yoshino è una delle sue amiche più intime, che continua a chiedere ai colleghi se qualcuno ha notizie. Solo dopo diverse ore, in televisione viene trasmessa la notizia di una ragazza strangolata e assassinata al valico di Mitsuse, un luogo buio e inquietante al confine tra le città di Saga e Fukuoka, e le amiche intuiscono chi è la vittima.
Chi è stato a uccidere Yoshino? Sarà stato uno sconosciuto, un amico o uno di quegli uomini conosciuti su un sito di incontri? Perché Yoshino si trovava al valico di Mitsuse?
Il racconto del delitto è solo laterale agli intrecci che si sviluppano nel romanzo. L’autore riesce a descrivere appieno le caratteristiche di ogni personaggio legato alla vicenda, portando alla luce i pensieri più intimi di ognuno di loro. Il ritmo è serrato e il passaggio da un personaggio all’altro è talmente veloce che non lascia spazio a fantasticherie. Ogni segmento del racconto è legato a un preciso momento della vita dei personaggi, connessi da un filo logico che si riesce ad afferrare solo nelle ultime pagine. L’esistenza di ognuno di loro però mostra un elemento comune ben visibile sin dall’inizio: la solitudine. Il clima del racconto è colmo di angoscia e di frustrazione, e mette in luce la mancanza di comprensione, persino all’interno dell’ambiente familiare. In particolare un problema di forte impatto nella società giapponese odierna è l’evidente distanza emotiva che separa anche le persone più vicine tra loro, e questo romanzo ne riporta una formidabile testimonianza.
Non c’è da stupirsi se con L'uomo che voleva uccidermi, Yoshida Shūichi ha vinto due premi importanti quali l’Osaragi Jiro Prize e il Mainichi Publishing Culture Award. Inoltre, la versione originale del romanzo è uscita in Giappone nel 2007 e ne è stata fatta una trasposizione cinematografica dal regista Lee Sang-il, dal titolo Akunin.