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KISHIBE NO TABI, il ritorno di Kurosawa Kiyoshi

3 Gennaio 2017
Francesco Minucci

Già vincitore del Premio della Giuria per la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes nel 2008 con Tokyo Sonata トウキョウ・ソナタ, Kurosawa Kiyoshi è il primo regista giapponese ad aggiudicarsi il Premio alla Regia nella stessa categoria alla 68° Edizione del Festival di Cannes nel 2015, con l’opera Kishibe no tabi 岸辺の旅 (Journey to the Shore).

Kishibe no tabi è un evanescente e drammatico road movie che ha come protagonista la vedova Mizuki (Fukatsu Eri 深津絵里), nel cui appartamento improvvisamente appare il marito Yusuke (Asano Tadanobu 浅野忠信), defunto per annegamento tre anni prima. Yusuke, con il desiderio di incontrare alcune persone e visitare alcuni luoghi, invita la donna a compiere un ultimo viaggio insieme attraverso il Giappone.

Kurosawa riprende un tema saldo nella letteratura classica giapponese e già presente nella stessa filmografia del regista: lo stato transitorio e intermedio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Se in Kairo 回路 (Pulse) aveva ritratto presenze spettrali immerse in un limbo inquieto dalle forti tinte orrorifiche, in Kishibe no tabi umanizza l’inumano e naturalizza il sovrannaturale. Gli spiriti non sono più agglomerati di energie negative spinti dal rancore, bensì umane figure approdate sulla terra per un ultimo saluto, per saldare questioni in sospeso, per liberarsi dal senso di colpa, per comprendere se stessi e guidare anche i vivi in un processo di autoconsapevolezza.

Mizuki è un’insegnante di pianoforte dallo sguardo vacuo, assente, che si lascia trasportare senza rimostranze dallo spirito del coniuge in un percorso di ricerca, alla scoperta della reciproca interiorità ed esistenza. Sebbene sia la donna ad accompagnare Yusuke nel suo ultimo viaggio prima del trapasso definitivo, è la presenza ultraterrena del defunto a condurre Mizuki nell’itinerario di elaborazione del lutto e nel ritrovamento di un contatto con se stessa e con il mondo a cui è ancora è legata: si tratta di una realtà composta da legami umani inspiegabili e in cui anche l’entità più piccola, a massa zero, ha il proprio ruolo e il proprio peso. Il forte sentimento che unisce la coppia permea con leggerezza l’intera pellicola e si pone quasi come motore immobile delle anime dei personaggi che fluttuano per le diverse regioni giapponesi in un fragile, nuovo equilibrio.

Come afferma lo stesso regista, la percezione che dopo la morte inizi qualcosa di nuovo trascende nazionalità e religione e accomuna le persone di tutto il mondo. Kurosawa in quest’opera non si abbandona a discorsi didascalici, non spiega: con pennellate intrise di lirismo e delicatezza, dipinge un rapporto sospeso in una dimensione precaria ed effimera, affrancandolo dai residui delle intrinseche contraddizioni.

 

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