Tutto ha avuto inizio nel 2011, in occasione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone (1-8 ottobre) con una sezione intitolata Pionieri del cinema d’animazione giapponese.
Essendo i primi film del Giappone un'area relativamente inesplorata, con gli stessi curatori, Johan Nordström e Alexander Jacoby, è stata ideata una collaborazione con il bolognese Cinema Ritrovato (come accennato in precedenza su nippop) conclusasi in quest'edizione.
Oltre ai titoli in programma, è stato inoltre previsto, nell'ambito di Film Restoration/FIAF Summer School un incontro sul restauro dei primi film sonori giapponesi tenuto da Nordström, Jacoby e Tochigi Akira (National Film Center – The National Museum of Modern Art di Tokyo).
Nonostante l’industria cinematografica giapponese sia sempre stata piuttosto prolifica, il suono ha faticato ad attecchire. Tra le principali ragioni del ritardo rispetto all'Occidente i costi richiesti dall'adeguamento dei teatri di posa, la mancanza di personale specializzato nel sonoro e le numerose sale non attrezzate (in particolar modo in provincia e nelle aree rurali). A tale rallentamento contribuì inoltre l'influenza della corporazione dei benshi.
È nei primi anni Trenta che il Giappone sperimenta film parzialmente o totalmente sonorizzati come Reimei (1927) di Morota Minoru. Assieme ai film muti circolano talvolta modelli di transizione come questo, che si servono ad esempio del commento – dal vivo o registrato – dei benshi, o mixato con parti parlate e altre tracce sonore post-sincronizzate.
Tecniche in parte illustrate in un inedito documentario, Nihon no eiga zukuri, girato nel 1934 da Osawa Yoshio su commissione dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Nel 1931 la Shochiku produce il primo film giapponese completamente sonoro, Madamu to nyobo (The Neighbour’s Wife and Mine) di Gosho Heinosuke, decretando in tal modo il successo del “sistema Tsuchihashi”, su ispirazione del sistema Photophone della RCA studiato dal direttore degli studi di Kamata Kido Shiro durante il suo viaggio a New York per conto della Shochiku nel 1928.
Altri metodi di sonorizzazione vengono provati, come il Mina Talkie, dal Phonofilm riadattato da Minagawa Yoshizo, o l'Eastphone, versione nipponica del Vitaphone messo a punto da Tojo Masaki e con il quale la Teikoku Kinema gira Komoriuta e Nani ga kanojo o so saseteka nel 1930.
L'affluenza che i singoli titoli hanno suscitato in tutte e tre le edizioni fa ben intuire quanto ancora c'è di sconosciuto in questa cinematografia. Come è accaduto per buona parte del cinema delle origini di tutto il mondo, anche quello nato in Giappone ha subito perdite gravissime: sono state soprattutto la guerra, la noncuranza e le calamità naturali a comportare la distruzione di circa il 90 % delle pellicole realizzate prima del '45. Molti dei titoli raccolti dal National Film Center di Tokyo (contente, stando ai dati del 2013, 72.290 film), sono arrivati sino a noi con solo la copia stampata dal controtipo negativo in 16 mm. Per questo è fondamentale il restauro di tali opere, è importante per preservare la ricchezza di questo cinema e della sua storia. Oggi in Giappone esistono quattro laboratori attivi: tre a Tokyo e uno ad Osaka (Imagica West), nei quali viene frequentemente adottata la conversione in formato digitale.